rivoluzione sanità: come governare un bene comune



da il manifesto
15 Febbraio 2007
Rivoluzione sanità Come governare un bene comune
Strutture fatiscenti e poli d'eccellenza. Serve una svolta

Gli ospedali sono spuntati come funghi sul territorio senza alcuna pianificazione. Perché? Sono centri di potere e di clientele, lo sono sempre stati Un incontro al manifesto tra medici e politici per discutere dei problemi di pazienti, ospedalieri e universitari in un sistema sanitario obsoleto. Con Ignazio Marino, Bonadonna, Sommella, Mastroianni e Suozzi
Eleonora Martini
Roma
«Policlinico inferno». Basta un titolo di giornale per riaprire una vecchia ferita. Escrementi e incuria all'Umberto I di Roma, topi al Vecchio Policlinico di Napoli e tangenti per appalti in quello di Milano. Le cronache ci parlano di vittime quasi quotidiane della malasanità in Calabria come in Sicilia, ma anche di mafiosi nel nosocomio di Vibo Valentia e cartelle truccate nelle cliniche private milanesi. Eppure «il sistema sanitario pubblico italiano è spesso un modello per altri paesi», sostengono in molti. Ed è «ricco di esempi di buona sanità e di centri di eccellenza di fama internazionale», sottolinea la stessa ministra della salute Livia Turco, forte anche dei risultati non del tutto deludenti delle ispezioni dei Nas che hanno setacciato il territorio in cerca di carenze igienico-strutturali. Con questa convinzione il governo dell'Unione mette in campo le prime riforme: alcune benaccolte, come nel caso del ddl Mussi-Turco sulla proprietà degli immobili in uso ai Policlinici; altre più discusse, come l'esclusività obbligatoria del rapporto di lavoro di primari e dirigenti negli ospedali pubblici; altre ancora decisamente respinte dai cittadini, come l'introduzione dei ticket nei pronto soccorsi.
Il manifesto ha allora deciso di avviare un ragionamento, insieme a «tecnici» e politici, su quali aspettative riporre in un nuovo modello di ospedale e di sanità pubblica, «intesa come bene comune». A questo primo forum, coordinato dal chirurgo, farmacologo e pubblicista Roberto Michele Suozzi, hanno partecipato: il presidente della commissione Igiene e Sanità del Senato, Ignazio Marino (Ulivo), esimio chirurgo specializzato in trapianti di organi; il vicepresidente della commissione Finanza e Tesoro del Senato, Salvatore Bonadonna (Prc); il direttore sanitario dell'ospedale San Filippo Neri di Roma, Lorenzo Sommella; e il professor Claudio Mastroianni, ordinario di Malattie Infettive all'università La Sapienza di Roma.
SUOZZI - Vorrei che provassimo, con questo forum, a discutere di alcuni punti che rapidamente vi espongo. Innanzitutto si può immaginare una distribuzione sul territorio di piccoli presidi sanitari dove fioriscano anche reparti di eccellenza? Secondo: il problema della gestione economica. Secondo me dovrebbe essere centralizzata se pensiamo ad un modello di ospedale concepito non come un «governo di risparmio», ma come un'azienda finalizzata a ristabilire un buono stato di salute pubblica. Terzo: bisogna mettere mano, oltre che agli ospedali, anche alle strutture territoriali. Va affrontato il problema della diagnosi e ripensato il lavoro dei medici di base sui quali è sempre più diffuso un giudizio negativo. Anche perché la medicina non è solo tecnologia...
BONADONNA - In questo periodo si è tornati a parlare del Policlinico Umberto I di Roma. Sulla questione policlinici va affrontato il nodo specifico della commistione di interessi non sempre trasparenti tra il potere baronale (segnatamente il preside della facoltà di Medicina), il potere politico e un ruolo non sempre limpido delle organizzazioni sindacali. Questo nodo va però collocato in un ragionamento sull'organizzazione della politica sanitaria. Mi chiedo allora - e chiedo a voi medici - se le strutture del Ssn e delle Asl che abbiamo oggi siano adeguate ad affrontare la domanda di salute di una cittadinanza e di una società più complessa di quella dell'epoca in cui erano state pensate. E se il mercato e gli interessi delle industrie farmaceutiche e delle attrezzature non condizionino l'organizzazione sanitaria e il tipo di risposta che si offre alla domanda sociale di salute. Non è questo a determinare quei livelli di inefficienza da un lato e di altissimi costi dall'altro che stanno facendo diventare il diritto alla salute un lusso per pochi?
MARINO - Concordo con le osservazioni fatte sul Policlinico che è un caso emblematico delle strutture a gestione mista, ospedaliera e universitaria. Ma al di là delle responsabilità del preside o del direttore generale, credo che dobbiamo prendere atto che ci troviamo di fronte a un vero disastro e che è arrivato il momento di intervenire in modo deciso per creare una figura di responsabilità simile a quella che gli inglesi chiamano «accountability». Un concetto che non corrisponde alla responsabilità o al potere amministrativo separati ma è tutte e due le cose insieme: l'effettiva e totale responsabilità di tutto ciò che accade, nei successi come nei disastri. Perché un sistema bicefalo, tricefalo, come quello dei Policlinici universitari è l'ideale per non avere responsabilità individuali. Nessuno è colpevole e davanti allo scandalo degli escrementi nei corridoi dell'università più importante di Roma il direttore generale risponde indicando addirittura pareti da cui colano feci. Questo non è più accettabile e per me, che ho lavorato 18 anni negli Usa e ho contatti con colleghi di tutto il mondo, è una profonda vergogna. Spero che il centrosinistra abbia il coraggio di portare avanti con determinazione una riforma straordinaria così come si attendono tutti i cittadini. D'altra parte cosa interessa di più gli italiani: la grande opera - i porti, le linee ferroviarie veloci - oppure una rete ospedaliera che risponda prontamente nel momento della necessità? Preferiscono impiegare venti minuti in meno sulla tratta ferroviaria, o trovare in ospedale un ambiente pulito, un'organizzazione di eccellente livello, una rete informatica che custodisca i dati personali e le terapie individuali e di conseguenza tanti disagi in meno, e soprattutto tante vite salvate? Credo di sapere la risposta. E allora prendiamo atto che abbiamo una rete ospedaliera con un'età media di 60-70 anni e che nel frattempo la scienza e la tecnologia - ossia il contenuto - si sono talmente evolute da aver bisogno di cambiare anche il contenitore, la struttura. Oggi è tutto molto diverso da 70 anni fa, quando erano necessarie strutture separate perché c'era una divisione molto netta tra le specializzazioni, e i medici quasi non avevano bisogno di parlarsi. Bisogna adeguarsi, come è successo in tanti paesi del mondo, non solo occidentale. Naturalmente è molto più rapido ed economico costruire un ospedale nuovo con un blocco unico, anziché ristrutturare, come è il caso del Policlinico, 54 palazzine. Ma una fantastica rete ospedaliera non basta se non avremo anche sistemi di controllo e di verifica nelle sale operatorie, nei reparti e nei pronto soccorsi. Pensiamo al caso della morte dell'adolescente dovuta al black-out in sala operatoria: in quella sala esistevano e venivano verificati periodicamente dalla direzione sanitaria i manuali delle procedure d'emergenza? C'erano le torce gialle facilmente individuabili nel caso manchi la luce? Le spine collegate al gruppo di continuità erano colorate con un colore diverso? Sono cose che nel resto del mondo vengono controllate nella «simulazione periodica d'incidente».
Un altro problema che voglio focalizzare è la divisione in due dell'Italia: dal 1988 - quando vennero messi a disposizione 30 mila miliardi per rammodernare le strutture ospedaliere italiane - a oggi, la maggior parte delle regioni del centrosud non hanno utilizzato quei fondi. E che cosa ne è stato fatto? I governi, di centrodestra come di centrosinistra, hanno preso quei fondi che, ad esempio, la regione Sicilia non ha utilizzato in 15 anni (1000 miliardi) e li hanno allocati in regioni del nord provviste invece di progetti per nuove strutture ospedaliere. Così, se dal punto di vista del bilancio dello stato non fa una piega, succede però che, invece di rimuovere gli amministratori che non hanno saputo utilizzare i fondi, si sono puniti i cittadini siciliani. Il risultato è che quel milione di persone che ogni anno si sposta dal sud al nord aumenterà perché le proprie risorse strutturali continueranno a diminuire o a diventare sempre più vecchie. E questo non è accettabile: lo stato deve utilizzare poteri sostitutivi per punire gli amministratori e non i cittadini.
Infine è vero che la medicina non è solo tecnologia e che va usata come strumento e non come elemento di separazione tra il medico e il malato: io lo ritengo uno dei punti fondamentali. L'esempio banale è che nei paesi ricchi non si fa più la diagnosi di appendicite acuta senza effettuare una Tac, perché il medico vuole una prova concreta pensando più a tutelarsi nell'ipotesi di un tribunale che alla necessità di intervenire d'urgenza e curare il malato. Così la spesa sanitaria lievita e si incentiva anche la contrapposizione tra medico e paziente, perché diminuisce il tempo di visita medica e non si stabilisce il rapporto umano che è fondamentale nella diagnosi. Così nel tempo aumenta il grado di litigiosità e si sviluppa la cosiddetta «medicina difensiva» che fa lievitare ancor più i costi e fa scadere il servizio. Possiamo dire quindi che alla base di una buona sanità c'è l'attenzione umana che i medici e gli infermieri devono dare al paziente.
MASTROIANNI - Vorrei insistere sulla questione dei Policlinici perché mi sembra importante affrontare il nodo dell'integrazione tra la struttura universitaria e la struttura ospedaliera. Peraltro ci sono esempi in Italia in cui le due facce si integrano con dei buoni risultati, al contrario che nell'Umberto I. Secondo me, quindi, è fondamentale che i politici arrivino ad individuare una responsabilità unica della struttura universitaria-ospedaliera rispetto alle tre funzioni essenziali: ricerca, didattica e assistenza. L'altro punto importante è quello sollevato dal senatore Marino, cioè che non ha più senso l'idea di avere reparti a compartimento stagno, mentre invece è necessario pensare a percorsi diagnostico-terapeutici: i Policlinici vanno ristrutturati con un padiglione centrale dove effettuare la diagnosi clinica e selezionare i pazienti, e tutt'intorno centri specialistici che siano d'eccellenza sia dal punto di vista ospedaliero che di ricerca. Per quanto riguarda l'università poi e il cosiddetto potere baronale, permettetemi di dire che i tempi stanno cambiando e che le nuove generazioni favoriscono una maggiore integrazione. D'altra parte noi stessi stiamo lavorando in questo senso per sviluppare un rapporto di lavoro collegiale tra docenti e studenti.
SOMMELLA - Abbiamo parlato di continuum tra le varie specializzazioni all'interno dell'ospedale ma c'è il problema dell'integrazione tra l'ospedale e il territorio, «a monte» e «a valle». Mi spiego: gli ospedali sono drammaticamente sovraffollati nelle aree metropolitane e penosamente sotto utilizzati in altre aree. Questo perché le strutture territoriali non riescono a svolgere una funzione di filtro «a monte», e quindi a indirizzare in ospedale i pazienti che ne hanno realmente bisogno, e «a valle» invece per la lungo degenza dei pazienti che stazionano in ospedale per molto più tempo di quanto, in realtà, ci dovrebbero stare. Si parla molto di cure graduali, quindi cure da effettuare non solo nei nosocomi. Strutture che tra l'altro - ha ragione il senatore Marino - sono mediamente molto vecchie e mal distribuite sul territorio. E questo perché? Perché l'ospedale è un centro di potere, lo è sempre stato, è un centro di clientele. Evidentemente, quindi, gli ospedali sono spuntati come funghi in tutta Italia, indipendentemente da una volontà programmata. E così la rete ospedaliera è fatta oggi di alcuni istituti dedicati all'eccellenza e tutti gli altri che non possono che avere funzioni di servizio, ossia filtrare e individuare i pazienti che finiranno poi comunque nei centri d'eccellenza. I problemi da affrontare sono molti: quello degli ospedali piccoli, e per questo pericolosissimi, disseminati sul territorio solo per esigenze locali, come quelli nati per seguire 50 parti l'anno; l'igiene nelle strutture sanitarie (non è possibile che i bagni di un autogrill siano a volte più puliti di quelli di un pronto soccorso); l'inaccessibilità di alcuni ospedali che sorgono all'interno delle aree metropolitane (ben venga la loro collocazione nelle aree periferiche della città). E infine il problema dell'umanizzazione, quindi più spazio anche per i parenti che devono stare vicino ai malati. Sono problemi che non si risolvono solo elargendo più fondi, ma agendo sui sistemi di controllo attraverso un disegno di legge sulla «clinical governance» che si basi su una nuova alleanza tra amministrazione e medici. Un sistema di governance che individui responsabilità precise e ne chieda l'assunzione.
MARINO - Vorrei aggiungere qualcosa su meritocrazia e trasparenza. Quando, dal 1999 al 2002, ho fondato e diretto un centro di trapianti nel sud Italia ho voluto realizzare, con altri, un sistema di trasparenza attraverso una rete di collegamento tra i migliori centri italiani di trapianto del fegato. Rete che oggi è sul sito internet del ministero della Salute. Mi chiedo perché non si possa realizzare anche per altre specialità mediche in modo da innescare meccanismi virtuosi di competizione tra primari, su indici come la mortalità e l'efficacia delle cure.
SOMMELLA - A nessuno piace essere ultimo in classifica: se si pubblicizzassero gli indici di efficacia dei reparti, tutti sarebbero spronati a fare meglio.

Salute pubblica
È tempo di un mutamento scientifico e culturale
Ripensare l'ospedale vuol dire riformare la rete territoriale, a partire dai medici di base. E rimettere al centro l'uomo
Roberto Suozzi
Affermare che nella riorganizzazione del sistema l'ospedale debba essere concepito con le più moderne strutture e la tecnologia più avanzata e con una struttura che tenga conto del territorio ove questo sorgerà, può sembrare quasi una banalità. In realtà tutto ciò, se realmente e correttamente applicato, presuppone una vera e propria «rivoluzione culturale e scientifica» che implica non solo una diversa strutturazione e distribuzione - più periferica - degli ospedali, ma anche un nuovo approccio (anche se non del tutto nuovo) nel modello sanità e salute.
Un ospedale realmente utile, infatti, va correttamente distribuito ed integrato in quel territorio (che dovrebbe essere ben conosciuto nelle esigenze e problematiche «a monte»), e dove il «territorio stesso» viene riorganizzato in termini di salute coinvolgendo i medici di medicina generale. In tale contesto, il ruolo della prevenzione - che non significa solo indagini per scoprire o «anticipare» le malattie - gioca un ruolo fondamentale. Intervenire sull'ambiente, sul lavoro, sul miglioramento delle condizioni di vita, educando sempre più ad una corretta alimentazione quali-quantitativa, diventa essenziale per aumentare il numero dei «sani».
Concepire un nuovo ospedale, ove periferizzazione non significa una qualità inferiore e dove i reparti di cosiddetta «eccellenza» devono essere la norma, non può prescindere da quanto schematicamente detto. Ospedali, dunque, correttamente distribuiti e strutturalmente più piccoli (400-500 posti letto), non sovraffollati, circondati dal verde, facilmente accessibili, con forte presenza di tecnologia avanzata ed informatizzazione (che dovrebbe riguardare anche le strutture territoriali), con un rapporto di interdisciplinarietà tra reparto e reparto, tra ospedale e territorio. L'idea che l'ospedale debba accogliere, sostanzialmente, i cosiddetti malati «acuti», le urgenze o tutti coloro che siano difficilmente «gestibili» in altre situazioni, non è recente. Altra questione, non meno importante, è la riabilitazione del malato «post-acuto» dei cosiddetti «lungodegenti».
Mutamento culturale significa valorizzare l'aspetto più umano della gestione della salute, e non va dimenticato che la medicina non significa soltanto tecnologia che, pur essendo centrale, non è in grado di sostituire il valore socio-culturale, il sapere e l'opera dell'essere umano.
Quando si parla di sanità, infine, sarebbe più corretto anteporre il concetto di «salute» (sia fisico che psichico), che rappresenta un inalienabile «bene comune». Diventa pertanto fondamentale la questione delle responsabilità nella catena del comando, della trasparenza e dell'ottimizzazione della spesa (non si può lesinare sulle spese per la salute), pensando anche ad una «centralità» della gestione economica che esuli dall'ospedale stesso. Per esempio, mi auguro che restino tali le voci, i sussurri sul fatto che una parte dell'anziano e storico Policlinico Umberto I di Roma possa essere trasformato in un ipermercato. Sarebbe una grande violenza nei confronti dell'intera collettività.
Un'ultima, ma non secondaria riflessione, riguarda le leggi del mercato, dei soldi e del profitto (detto brutalmente). Un insieme di meccanismi che riducono salute e sanità al livello di una semplice merce tra le altre, in un mondo dove viene negato l'accesso agli standard minimi di assistenza per garantire la salute, farmaci compresi. Un mondo ingiusto e diseguale che è dovere di tutti combattere.