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la sostenibilità e' una cosa da ricchi?
- Subject: la sostenibilità e' una cosa da ricchi?
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 31 Jan 2007 06:26:54 +0100
da Eddyburg
Insostenibile
Data di pubblicazione: 22.01.2007 Spesso sembra che anche nei casi migliori la "sostenibilità" sia una cosa per ricchi. Si può ragionare diversamente? Un contributo da Architecture Week, 17 gennaio 2007 (f.b.) Titolo originale: Unsustainable – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini Tondo, un settore della capitale delle Filippine, Manila (popolazione 11,3 milioni nel 2005), per quanto riguarda la presenza di lavoratori è simile a molte grandi metropoli. E pure Tondo, coi suoi circa 600.000 abitanti, rappresenta una situazione estrema per quanto riguarda densità, povertà, abitazioni inadeguate. La densità di popolazione di Tondo è oltre dieci volte quella di Hong Kong. Un fatto particolarmente sconvolgente, visto che la forma dell’insediamento a slum è per edifici bassi, e non sviluppata in verticale. Le condizioni della vita e dell’abitare a Tondo sono state riassunte da Simon Szreter dell’Università di Cambridge come le “4 D”: disgregazione, deprivazione, debilitazione, decomposizione. Purtroppo, si tratta di una situazione comune in molte città dei paesi in via di sviluppo che hanno sperimentato una rapida crescita urbana negli ultimi decenni, esattamente come accaduto i Europa e Nord America nel XIX secolo. UN-Habitat, l’agenzia delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani, stima che l’attuale popolazione globale degli slum — un “Quarto Mondo” composto da chi è socialmente ed economicamente isolato dalla modernità e da un’accettabile qualità di vita— sia di oltre un miliardo. Se continuano le attuali modalità di crescita, questa popolazione dello slum globale raddoppierà entro il 2030. La disperazione di Manila Chi visita Tondo viene facilmente travolto dalla
puzza, dallo squallore. Le “case” sono molto piccole, con pochissime
attrezzature di base, costruite con qualunque materiale disponibile su qualunque
superficie di terreno. Ciò spesso significa usare palafitte per edificare sopra
acque inquinate e maleodoranti, o attorno a grandi tubature, sotto ponti o
cavalcavia.
Egualmente spaventosa è l’assenza delle amministrazioni cittadina e centrale nell’assistere gli abitanti. Si possono vedere bambini malnutriti e malvestiti che frugano nelle grandi discariche alla ricerca di cibo o di qualunque cosa di valore da vendere. Gran parte delle famiglie no possono permettersi di mandarli a scuola. Ci si chiede se i cosiddetti tentativi di fare della sostenibilità abbiano alcun effetto su questa enorme parte della popolazione mondiale. Nonostante le condizioni spaventose, molti conservano un senso di dignità, cosa che appare sporadicamente nelle piante e fiori fuori dalle abitazioni dello slum, a formare piccoli giardini urbani. Ma ad ogni modo, sottoposto alla pressione demografica di queste masse impoverite, l’ambiente vacilla. Nel 2003, un’epidemia di colera e gastroenterite ha prodotto numerosi ricoveri in ospedale e decessi. Sono stati trovati colibatteri “E” nell’incostante sistema della fornitura d’acqua. Ironicamente, la rete è gestita da una compagnia pubblica che si vanta del proprio approccio alla sostenibilità ambientale, con iniziative e impegno di lungo periodo. I bambini soffrono normalmente di disturbi respiratori, tubercolosi, diarrea. Il tasso di mortalità infantile è alto, anche per la media filippina. Dal punto di vista epidemiologico, Tondo è una bomba a orologeria. E la sostenibilità? É certo che l’impegno per la sostenibilità abbia portato negli ultimi vent’anni una grande evoluzione ideale all’interno dei governi – locali, regionali, nazionali – oltre a produrre miglioramenti sociali e ambientali in molte città. Ma resta comunque aperta la questione di come i governi si confrontino coi processi di urbanizzazione e globalizzazione. Visti i molti aspetti diversi di carattere spaziale, istituzionale, economico assunti dai movimenti urbani contemporanei, possono contribuire, architetti e urbanisti, a superare il distacco culturale e materiale fra chi ha e chi non ha? Ambienti urbani come Tondo dimostrano come i governi non riescano a rispondere alle sfide della globalizzazione, di un mondo che si urbanizza, nonostante abbiano adottato la retorica della sostenibilità. Chi abita nelle regioni ricche lascia una enorme impronta ambientale per i propri elevati livelli di consumo, che superano nel lungo termine le possibilità di essere sostenuti, a scala globale se non locale. Invece là dove l’umanità è concentrata sul territorio in assenza di sviluppo, si eccede la sostenibilità in modo locale e immediato, anziché globale e sul lungo periodo. Gli enormi bisogni di Tondo dovrebbero risvegliare l’interesse di chi si occupa di questioni urbane, della forma urbana. Le professioni coinvolte possono contribuire alla (ri)costruzione della città, alla tutela dell’ambiente, ad offrire condizioni di abitabilità a chi non può esprimere politicamente ed economicamente la propria voce, a chi è lasciato indietro dalla gobalizzazione e dalla rapida urbanizzazione. Il problema per noi non deve essere se c’è o meno sostenibilità, ma in che modo le nostre professioni mancano la sostenibilità urbana. Problemi vecchi di un secolo I problemi della città postindustriale sono compresi e affrontati da circa 175 anni. In realtà i problemi della città industriale Britannica vittoriana dopo la rivoluzione industriale erano i medesimi delle città nei paesi in via di sviluppo oggi. Negli anni ’30 del XIX secolo, le autorità britanniche sapevano che abitare addensati negli slum accorciava la vita delle persone. Nel 1842, fu provato il legame fra l’ambiente di vita di un individuo e la sua salute. Al tempo stesso, le statistiche delle città industriali mostravano come i fattori della salute e della mortalità, evitabili, erano fra quelli che riducevano il potenziale economico della nazione, e uccidevano ogni anno più persone di qualunque guerra combattuta. L’aspettativa di vita era di 13 anni inferiore a quanto avrebbe potuto essere. I vittoriani sapevano che l’ambiente materiale delle città era il prodotto della loro società, e le nuove città vittoriane producevano diverse dinamiche sociali e politiche. Centri legati economicamente ad altri tipi di insediamento, a formare un sistema socioeconomico interno e internazionale. In questo modo la città in Gran Bretagna fu al tempo stesso la causa e – attraverso le politiche – la parziale soluzione dei problemi delle classi lavoratrici. La coscienza civile emergente del XIX secolo poneva in grande risalto il miglioramento sanitario e delle condizioni generali di vita. Raggiunse il suo apogeo prima del 1914 nel paradigma della Città Giardino, concetto sociale e ambientale simile al pensiero moderno sulla sostenibilità. Riforme urbane Il persistere e aumentare dei problemi urbani negli ultimi decenni, necessita una riconsiderazione delle modalità intellettuali di affrontare la città, riguardo ai bisogni, scopi, ambizioni. Dovremmo vederla nel quadro dell’offerta di un’adeguata assistenza, nel mondo attuale che si evolve, sia all’interno che all’esterno degli ambiti tecnocratici. Si dovrebbero elaborare strategie di costruzione di motivazioni politiche, per una risposta più adeguata alle condizioni e risorse locali, usate come espressioni della modernità. Ciò contribuirà a influire in modo più positivo sulle esistenze quotidiane di chi è più povero di risorse urbane, salute, servizi. In modo complementare, operando al di fuori del dominio tecnocratico, gli architetti e gli urbanisti, la cui professione è immersa nei processi culturali e politici, possono trovarsi in una posizione più favorevole per convincere le elites urbane del fatto che il mondo non sta combattendo soltanto contro il terrorismo, o per la sicurezza nazionale, ma esiste anche un conflitto con lo svantaggio, come dimostra il caso di Tondo. Alla luce di tutto questo, i progettisti possono essere in grado di individuare meglio la città nei suoi termini sociali, dimostrando come la società urbana non sia soltanto una forma spaziale, ma un sistema in evoluzione di valori, norme, relazioni sociali. É importante anche che i progettisti attraverso la propria attività, e riflettendo su come risolvono i problemi urbani, si rendano alla fine in grado di modificare valori sociali e punti di riferimento in modo accettabile per i governi. Valori modificati che possono manifestarsi sotto forma di leggi connesse allo sviluppo urbano e alle questioni associate. Inoltre, ridefinendo regole e processi che ristrutturano spazi urbani e senso sociale, la comunità dei progettisti sarà in grado di condizionare di più possibilità e limiti dello sviluppo, sia alla dimensione locale che globale. Forse in questo modo, lo sviluppo sostenibili potrà contribuire ad innalzare la qualità di vita a tutti I livelli, in particolare per quegli abitanti urbani lasciati indietro dai progressi economici e urbani, in zone metropolitane come quella di Tondo. Ian Morley lavora con un contratto di post-dottorato al Dipartimento di Storia dell’Università Cinese di Hong Kong; è autore di numerosi testi sull’urbanizzazione e la progettazione urbana. |
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