Guy
Zucchi
Nairobi Agire o morire. Kofi Annan va di sciabola. Il
segretario generale delle Nazioni Unite, non usa il fioretto davanti ai
leader di governo riuniti nella capitale del Kenya per salvare clima e
pianeta. E Annan ammonisce che non è più tempo di continuare a parlare dei
rischi, ma di concretizzare “azioni politiche”. Altrimenti il topic day,
il punto del non ritorno, sarà più vicino rispetto al 2050. Fa rumore
anche la lettera inviata dal presidente francese Chirac: il cambiamento
climatico non è solo una questione legata allo sviluppo ma anche alla pace
e alla sicurezza.
Toni duri, quelli del numero uno dell’Onu. Annan utilizza una sponda
già nota, il documento di Nicholas Stern che nelle ultime settimane ha
fatto il giro dei giornali di mezzo mondo. L’economista, ex alto
funzionario della Banca Mondiale è anche lui a Nairobi. E anche Stern
ripete numeri da brivido: se non si interviene subito gli effetti del
mancato intervento saranno pari a più di tre trilioni di euro entro il
2014.
Numeri. Certo. Ma la Conferenza mondiale di Nairobi non è solo un
rosario di cifre nefaste. «Il ricarico politico del discorso di Annan è
forte», dice l’europarlamentare del Prc Roberto Musacchio. E spiega
perché: «L’idea che ci voglia una implementazione di volontà politica
intorno al protocollo di Kyoto è un’idea che necessita di essere messa in
campo subito per traguardare il dopo Kyoto e cioè per il dopo 2012», tema
al centro della Conferenza di Nairobi che si concluderà domani. «Nuova
sensibilità mondiale, europea, ma anche maggiore sensibilità del governo
italiano grazie a una coesione rossoverde», commenta il sottosegretario
all’Ambiente, Laura Marchetti, in Kenya con il ministro Alfonso Pecoraro
Scanio. Aggiunge la Marchetti: «Dalla nuova sensibilità di governo ne
scaturisce una sorta di compatezza almeno sulle opzioni di fondo che
riguardano la drastica riduzione delle emissioni e l’inversione del
modello industrialista». Un’inversione che il presidente del Forum
Ambientalista, Ciro Pesacane, legge senza equivoci: «Il messaggio contro
il modello Bersani è chiaro. Non si può fare una politica energetica che
scavalchi il protocollo di Kyoto né contro il Libro Verde dell’Europa e le
direttive Ue che impegnano gli Stati membri a ridurre rispetto al 1990 le
emissioni di gas serra dell’8 per cento nel periodo 2008-2012». Non passa
inosservata la sintonia d’intenti all’interno della delegazione italiana e
la sinergia con il mondo dei movimenti per i quali è già scattato il conto
alla rovescia: a fine gennaio si ritornerà a Nairobi per il social forum
sui Beni Comuni. «E non è un caso che oggi, da qui, in un contesto
istituzionale e formale, venga svelato un forte bisogno di altraeconomia»,
fa eco Mario Agostinelli, capogruppo Prc alla Regione Lombardia e
rappresentante del Contratto per l’Energia.
Un punto di forza che Musacchio ha sostenuto in più di un incontro al
tavolo negoziale: «La forza delle Conferenze delle parti (le Cop, ndr) è
legata moltissimo alla costruzione di una fonte tecnico-scientifica che
sia a carattere multilaterale. Ho proposto che il rapporto che le parti
stanno preparando e che renderanno noto a novembre del 2007 venga
formalmente discusso non solo nel Parlamento europeo ma anche nei
parlamenti nazionali». Poi, la necessità di coniugare la svolta: «In
passato abbiamo avuto solo l’adeguamento del Protocollo di Kyoto al
sistema del commercio attraverso la compravendita delle emissioni, adesso
possiamo costruire un ritorno un’altra idea di sviluppo economico».
Nessuna esitazione, allora: azioni politiche. A patto di chiarire bene i
termini della questione. La parola d’ordine della Cop 12 è adattamento
alla situazione già catastrofica, non più mitigazione. Osserva la
Marchetti: «Se il problema è l’adattamento, allora politica e emergenza si
sposano, e si spostano gli interventi dalle cause agli effetti.
L’ambientalismo diventa arma potente di business. Davanti all’inquinamento
e alla devastazione di una città della costa, piuttosto che curarla si
progetta e si costruisce da un’altra parte. Non può essere coniugato così
l’adattamento, perché altrimenti assisteremmo a un’operazione di
redditivizzazione della catastrofe, un’operazione nella quale il punto di
vista dell’altro è ignorato». Riflette ancora la Marchetti: «Bisogna
riaprire la discussione, come ha fatto la rappresentanza della Bolivia,
sulla categoria di mitigazione, di adattamento e di accesso a una
cooperazione tecnologica. Non vorrei che dietro la richiesta di tecnologia
universale che viene dalle popolazioni del Sud, penso al Ghana,
all’Indonesia, ci sia una forma di omologazione». E qui si gioca l’altra
grande partita che vede in prima fila proprio la Marchetti: il sistema dei
crediti ai Paesi impegnati a bloccare le deforestazioni che da sole
rappresentano il 20 per cento delle emissioni inquinanti. «“Un sistema che
deve ricadere non sui governi quanto sulle comunità e che deve mettere in
moto uno scambio tra la conoscenza universalistica e le conoscenze
tradizionali», spiega il sottosegretario.
Azioni plurali, dunque, ma coerenti. Musacchio insiste: «Per stare
dentro Kyoto non puoi dare soldi come fa l’Italia col Cip 6 a chi produce
con le peggiori fonti inquinanti invece che investire su innovazioni. Se
si dicide di stare dentro una politica ambientale europea, delle sei
proposte del Libro Verde dell’Ue si devono prendere proposte avanzate che
sono la cultura della comunità economica dell’energia, ma anche
innovazione, efficienza e fonti alternative e non quella di fare l’hub del
metano attraverso rigassificatori che sono la parte più contestabile e più
povera della politica europea».
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