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cosa resta del progresso
- Subject: cosa resta del progresso
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 13 Nov 2006 06:43:51 +0100
da repubblica di mercoledi 8 novembre
2006
CHE COSA RESTA DEL PROGRESSO Un saggio di Massimo L. Salvadori sulla crisi di una delle idee forti fra Otto e Novecento Il mondo muta con ritmi senza precedenti Eppure vacilla la fiducia nel futuro Ne risulta un senso di precarietà. Lo sviluppo di scienza e tecnica apre un cammino insicuro MASSIMO L. SALVADORI Esce oggi L´idea di progresso di (Donzelli, pagg. 152, euro 13). Anticipiamo qui parte dell´introduzione. Ora che ci siamo inoltrati nel XXI secolo ci troviamo a dover fare i conti con un grande paradosso, vale a dire che - mentre viviamo in un mondo il quale muta con ritmi che non hanno precedenti, conosce trionfi sempre maggiori delle scienze e delle tecniche, vede cadere ogni giorno vecchi confini e moltiplicarsi in maniera grandiosa i mezzi atti ad assicurare lo sviluppo della società - la fiducia nel progresso complessivo dell´umanità appare come una fede tramontata, un´illusione d´altri tempi. Ne risulta un senso di precarietà che induce a considerare le continue e immense conquiste della scienza e della tecnica e lo sviluppo socio-economico alla stregua di porte oltre le quali si apre un cammino quanto mai insicuro. Tanto che cresce il numero di coloro i quali temono persino che la strada imboccata porti a un peggioramento senza ritorno delle condizioni dell´uomo. Costoro possono aver torto o ragione - ed è naturalmente da augurarsi che il loro sia solo un pessimismo eccessivo e infondato -; ma è certo che un simile atteggiamento costituisce in ogni caso un sintomo assai allarmante e molto significativo dell´indubbio e diffuso malessere contemporaneo. L´idea del continuo progresso dell´umanità come solida possibilità o addirittura suo destino necessario è stata rovesciata. Essa appare relegata o a un auspicio di cui si è assai poco convinti oppure a un mito consumato d´altri tempi. Perché si operasse un tale rovesciamento, perché si passasse dalla fiducia nel progresso, inteso come sintesi del miglioramento delle condizioni spirituali e morali e di quelle materiali, a un atteggiamento opposto occorreva che quella fiducia - trasformatasi durante un iter che appariva trionfale da ideale regolativo delle azioni umane qual era nel Settecento in vera e propria fede nell´Ottocento - subisse colpi devastanti ad opera dell´evoluzione sia spirituale sia materiale dell´uomo; di più: che essa prima raggiungesse l´apice in quanto aspirazione e credenza dogmatica e dopo subisse duri colpi e drastiche smentite dal corso della storia. Osservando lo sviluppo dell´idea di Progresso nel vecchio mondo che l´aveva partorita, possiamo dire che questa acquistò nel XIX secolo il carattere e la consistenza di un credo religioso il quale, penetrato dapprima nelle élites laiche borghesi, si estese in seguito, per il tramite essenziale dei partiti socialisti, a grandi masse, fino ad essere portato al culmine dal comunismo novecentesco; e infine, attaccato e irriso dai teorici della politica di potenza, dai nazionalisti e imperialisti, dagli antidemocratici, dai razzisti, dalle correnti culturali antilluministiche, antipositivistiche, antisocialiste, andò incontro a uno scacco via via più profondo tra le due guerre mondiali in conseguenza dei macelli ineguagliati, dei crudeli regimi autoritari e totalitari, delle ideologie e delle pratiche del genocidio, del grave deterioramento dei sistemi rimasti democratici, dell´impiego massiccio delle scienze e delle tecniche poste al servizio delle violenze del potere. Uscito il mondo dall´incubo della seconda guerra mondiale - specchio di tutti i fallimenti dell´epoca precedente - ebbe inizio una fase fitta di contraddizioni stridenti. Per un verso si affermò nei paesi più sviluppati un lungo periodo di forte sviluppo economico, in Occidente la democrazia andò riprendendosi e consolidandosi, si assistette al crollo degli obsoleti imperi coloniali europei e alla nascita di una serie di nuovi Stati. Per l´altro si vide che l´imponente sviluppo economico, mentre era in grado di aumentare in maniera assai consistente i beni materiali complessivamente disponibili innalzando il tenore di vita di componenti significative delle classi lavoratrici, lasciava pur sempre ampi strati negli stessi paesi più ricchi in una situazione di precarietà e di emarginazione, e troppa parte del resto del mondo in preda al sottosviluppo e alla miseria; che le nuove superpotenze dominavano la terra divisa nel quadro di una guerra fredda posta all´ombra del terrore atomico; che il saccheggio indiscriminato delle risorse naturali - fatto di cui si prese una crescente coscienza solo negli ultimi decenni del secolo - aveva assunto il carattere di un attacco senza precedenti alle condizioni che consentono la riproduzione della vita. Sicché l´insieme di questi fattori induceva a concludere che l´evoluzione della società continuava a porsi per molti sostanziali aspetti in un drammatico contrasto con quello che era stato definito il Progresso concepito come combinazione di un miglioramento spirituale e materiale destinato a radicarsi prima nel mondo occidentale e poi ad estendersi da questo al resto del mondo dando vita a una koinè culturale, politica e sociale in grado di aprire le porte alla «rigenerazione universale». (...) Certo, sia ben chiaro, la storia del Novecento - per attenerci ad essa - non è in alcun modo ascrivibile indiscriminatamente alla categoria del «negativo». A fronte del trend prevalente vi sono stati, come abbiamo già accennato, importanti progressi, quali in primo luogo: la caduta dei regimi totalitari, la fine degli imperi coloniali, il miglioramento delle condizioni di vita di vaste masse nei paesi più sviluppati, l´affermarsi e l´estendersi di nuovi diritti politici e sociali, la marcia delle donne verso la parità con gli uomini. Sennonché, fatti i conti all´inizio del XXI secolo e valutati come meritano i passi avanti talvolta enormi compiuti in molteplici settori, resta il dato che nessun paese può guardare con tranquilla fiducia al proprio futuro e a quello degli altri. Lo impediscono problemi aperti i quali sollevano grandi interrogativi che - seguendo un elenco che ha il valore di un´enumerazione e non di un´indicazione gerarchica in base a criteri di importanza - potremmo così indicare. Il primo riguarda la capacità di costituire organi in grado di governare questioni che si presentano con sempre maggiore urgenza a livello mondiale e che richiedono soluzioni che travalicano come mai avvenuto in passato i confini degli Stati esistenti. Il secondo attiene a un modello di sviluppo economico, che, mentre si intensifica e si estende vertiginosamente a immensi paesi quali la Cina e l´India, da un lato innalza lo standard di vita di popolazioni in precedenza escluse, ma dall´altro si fonda su uno sfruttamento via via più massiccio delle risorse che sconvolge l´ambiente al punto da far gravare sull´uomo la minaccia di «ritorsioni» da parte della natura dalle conseguenze che rischiano di risultare catastrofiche. Il terzo è legato ai processi determinati dalle ondate di emigrazione che inducono un numero crescente di poveri e miserabili privi di speranza nei loro paesi a dirigersi verso i paesi più ricchi in cerca di nuove opportunità, portando con sé le proprie diversità etniche, culturali e religiose, e anche creando problemi di integrazione nei contesti di approdo di assai complessa e difficile soluzione. Il quarto concerne gli effetti del processo di globalizzazione economica relativi sia al forte indebolimento degli istituti del welfare, che nel mondo occidentale erano valsi a costituire un´efficace rete di protezione per gli strati più deboli, sia al diffondersi della precarietà dei rapporti di lavoro creata dall´ondata neoliberista impostasi nell´ultimo trentennio e sia al tipo di sviluppo che ha coinvolto ampie zone dell´America Latina e soprattutto dell´Asia. Uno sviluppo questo, che crea sì numerosi posti di lavoro per settori prima esclusi, ma al tempo stesso introduce condizioni di sfruttamento spesso inumano di grandi masse che ignorano che cosa siano e possano essere i diritti sociali e approfondisce gli squilibri territoriali interni. Il quinto ha a che fare con l´inesorabile tendenza alla crescente accumulazione di immense ricchezze nelle mani di ristrette oligarchie in un contesto che vede accentuarsi il divario tra le quote di reddito riservate agli strati più alti e a quelli medi e più bassi della gerarchia sociale. Il sesto è legato ad un processo di allargamento delle frontiere delle istituzioni democratiche nel mondo che però è intimamente eroso dall´indebolimento della capacità di queste stesse istituzioni di sottoporre ad un efficace, effettivo controllo il potere delle oligarchie economiche e politiche, le quali dispongono di mezzi enormi per influenzare gli strati subalterni a sostegno dei propri interessi. Il settimo è rappresentato dall´emergere degli integralismi religiosi, i quali sfidano le conquiste della concezione laica dello Stato, delle libertà politiche e civili, del pluralismo culturale alla luce di una visione teocratica del potere politico e dei rapporti sociali. L´ottavo è riconducibile all´idea che i più acuti contrasti di interesse e le grandi differenze culturali, politiche e sociali portino inevitabilmente alla contrapposizione e allo scontro di due mondi inconciliabili, quello del «bene» e quello del «male», tra i quali non si possono gettare ponti (di questa idea costituiscono testimonianze tanto il terrorismo islamico quanto l´ideologia delle forze neoconservatrici occidentali orientate a una lotta globale basata sulla forza contro gli «Stati canaglia» e la mappa variegata dell´universo delle «tenebre»). |
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