agricoltura senza petrolio



 
da carta.org
[13.10.2006]

L'agricoltura senza petrolio
[di Edward Goldsmith, da Ecologist.it]

La via per Chou: una leggenda cinese
Dopo la caduta della dinastia Han, vi fu in Cina un secolo d'instabilità chiamato "il periodo degli stati in guerra", nel quale il paese rimase diviso in molti stati indipendenti spesso in guerra fra loro. Il più importante era il regno di Wei, governato a lungo da un potente re Tsao Tsao che si faceva chiamare l'"Imperatore", perché rivendicava la sua sovranità sull'intera Cina. Il suo primo ministro, Ki Leang, era un uomo saggio e retto impegnato soprattutto a mantenere la pace e farne apprezzare i benefici a un popolo che poteva così diventare sempre più civile.
Un giorno partì per un viaggio, ma dopo poche giornate di cammino fu raggiunto da un messo con la notizia che l'Imperatore aveva improvvisamente deciso di invadere il vicino regno di Han Tan. Ki Leang ritornò immediatamente alla capitale per la via più breve. Quando fu alla presenza dell'Imperatore raccontò la storia seguente: "Maestà, oggi, quando sono arrivato alle mura della città ho visto una carrozza che prendeva la via del nord verso Min-Li. Senza ombra di dubbio era la più bella carrozza che avessi mai visto, costruita in ebano, intarsiata con pietre semipreziose lavorate in disegni di una delicatezza che solo i nostri maestri artigiani sono capaci di fare. Nel chiarore dell'alba sembrava una strana apparizione dal mondo degli spiriti. Ma, Maestà, anche i cavalli che la tiravano erano impressionanti: sei magnifici stalloni bianchi, animali alti ed eleganti con corpi dalle forme meravigliose. E mi sono fermato per un po', affascinato dallo spettacolo straordinario, quando ad un tratto la carrozza si fermò.
La occupava un uomo distinto che parlava come se fosse abituato ad essere trattato col massimo rispetto. Si affacciò al finestrino e mi chiese quanto distava la città di Chou. Risposi, 'La città di Chou è a 200 miglia a sud, ma voi state andando dalla parte opposta'. Il viaggiatore non sembrò per nulla turbato da quello che avevo detto e replicò, 'Ciò non ha nessuna importanza: ho i migliori cavalli di tutta la Cina'. Ripetei 'Ma Chou è a sud e state andando a nord'. 'Sì' replicò il viaggiatore, sempre imperturbabile, 'ma il mio cocchiere è il più abile di tutto il regno di Wei'. 'Non lo metto in dubbio,' risposi, 'ma state andando dalla parte opposta'. 'Ah', rispose il viaggiatore con la solita mancanza d'interesse, 'Ma ho scorte illimitate per un viaggio lunghissimo'. Replicai: 'Se andate a nord, più sono buoni i vostri cavalli, più abile il cocchiere e più abbondanti le vostre scorte, e più servono solo ad aumentare la distanza fra voi e la città di Chou, che è a sud'. Poi, rivolgendosi all'imperatore Tsao Tsao disse: "Maestà, fin dall'inizio del vostro regno, il vostro unico scopo è stato accrescere la felicità e il benessere del popolo cinese. Se decidete di far guerra al popolo di Han Tan, più grande è l'armata che metterete in campo, più brillanti i vostri generali, più abbondanti le vostre scorte e più che vi allontanerete dal vostro scopo. È come andare a Chou per la strada del nord".

L'intera civiltà occidentale è in marcia verso il "progresso". Ma la nostra nozione di progresso è giusta? Se non lo fosse l'inventività scientifica, le capacità tecniche e gli sforzi umani impegnati in questa impresa andrebbero nella direzione sbagliata. Sta diventando sempre più evidente che si sta andando a Chou per la via del Nord.
Consumo energetico Le componenti dell'agricoltura industriale moderna più energivore sono la produzione di concimi chimici azotati, le macchine agricole e l'irrigazione artificiale con pompe a motore. Rappresentano più del 90% di tutta l'energia consumata direttamente o indirettamente dall'agricoltura e ne costituiscono gli elementi essenziali. Le emissioni di anidride carbonica provenienti dall'uso di combustibili fossili per fini agricoli in Inghilterra e in Germania toccano rispettivamente 46 e 53 chilogrammi l'ettaro, mentre sono solo 7 chili, cioè sette volte di meno nei sistemi agricoli non meccanizzati.
Ciò concorda con la stima di Pretty e Ball , secondo cui la produzione di cereali e legumi con l'agricoltura moderna richiede da 6 a 10 volte più energia che coi metodi agricoli durevoli. Si può ribattere che adottare fonti di energia rinnovabili, come l'eolica e il solare, le onde del mare e le pile a combustibile permetterebbe di evitare il consumo di energia per proteggere il nostro clima. Ma questa sostituzione essenziale richiederà diversi decenni per realizzarsi, alcuni ritengono mezzo secolo. Dobbiamo perciò sviluppare un sistema agricolo che non provochi danni al clima e anzi sia in grado di contribuire a ricostruire la fertilità del suolo. Coloro che sono impregnati dall'ideologia del progresso si sorprenderanno nel sapere che un sistema del genere è molto simile a quelli praticati una volta dai nostri lontani antenati e ancora in atto nelle zone più isolate del terzo mondo, che sono riuscite a restare, in certa misura almeno, fuori dall'orbita del sistema industriale. Può darsi che queste pratiche non siano "economiche" secondo i criteri di una società industriale aberrante e necessariamente effimera, ma sono le sole concepite per nutrire le popolazioni locali in maniera veramente durevole.
È significativo a questo riguardo che le autorità scientifiche più rispettate in materia di agricoltura durevole, fra le quali Jules Pretty, Miguel Altieri e molti altri, usino l'espressione "Agricoltura durevole" come sinonimo di "agricoltura tradizionale".Se l'agricoltura tradizionale è la soluzione, si ha ragione di domandarsi perché i governi e le organizzazioni internazionali ci tengano tanto a impedire che venga praticata e a sostituirla con l'agricoltura industriale moderna. La risposta è che l'agricoltura tradizionale non è compatibile col processo di sviluppo che imponiamo ai popoli del terzo mondo, ancora meno con l'economia globalizzata e gli interessi a corto termine delle multinazionali che la dominano. Ciò emerge chiaramente dai seguenti passaggi di due rapporti della Banca mondiale. Nel primo, in merito allo sviluppo della Papuasia-Nuova Guinea, la Banca mondiale riconosceva che "una delle caratteristiche dell'agricoltura di sussistenza in Papuasia Nuova Guinea è la sua relativaliricchezza". Di fatto "nella maggior parte del paese, una natura generosa produce alimenti sufficienti con uno sforzo relativo".
Perché cambiare allora? La risposta è netta: "Finchè il modo di vivere di un numero sufficientemente alto di contadini che praticano l'agricoltura di sussistenza non cambierà, e non aumenteranno i nuovi bisogni di beni di consumo, la necessità di produrre per la sussistenza rischia di rendere difficile l'introduzione di nuove colture", evidentemente si parla qui delle colture necessarie a una produzione su larga scala per l'esportazione. Anche nell'iniquo rapporto Berg della Banca mondiale si riconosce che "i piccoli agricoltori sono degli ammirevoli amministratori delle loro risorse di terra, capitale, fertilizzanti ed acqua". Ma nello stesso rapporto si stima che la prevalenza di questo tipo di agricoltura (o produzioni per la sussistenza) "sia di ostacolo allo sviluppo agricolo. I contadini devono essere incitati a produrre per il mercato, adottare nuove colture e a correre dei rischi".
Scomparsa annunciata dell'agricoltura industriale
Che piaccia o no, l'agricoltura industriale moderna è destinata a scomparire. Si dimostra sempre meno efficiente. Infatti, i concimi chimici hanno rendimenti decrescenti. L'organizzazione delle nazioni unite per l'agricoltura e l'alimentazione (FAO) ha riconosciuto nel 1997 che i rendimenti delle colture industriali di grano in Messico e negli Stati Uniti non sono aumentati nei 13 anni precedenti. Nel 1999 la produzione mondiale di grano è diminuita per il secondo anno di seguito, scendendo a 589 milioni di tonnellate, cioè il 2% in meno rispetto al 1998. I concimi chimici costano troppo e come ha affermato McKenney, "la salute biologica dei suoli è stata talmente impoverita per migliorare rapidamente e facilmente la produzione che la produttività è ora minacciata e i concimi sono sempre meno efficaci ". Un'altra ragione per la quale l'agricoltura industriale è destinata a sparire, anche senza cambiamento climatico, è la sua vulnerabilità agli aumenti del prezzo del petrolio e, più ancora, alla sua mancanza. Se tre milioni di persone hanno conosciuto la fame in Corea del Nord negli ultimi decenni è in parte perché, in conseguenza della crisi del mercato russo che assorbiva la maggioranza delle sue esportazioni, il paese non ha più i mezzi per importare le grandi quantità di petrolio da cui la sua agricoltura, altamente meccanizzata sullo stile sovietico, era diventata totalmente dipendente. I suoi contadini avevano semplicemente dimenticato come si usa una zappa o si spinge un aratro.
Anche la Gran Bretagna avrebbe potuto trovarsi in una situazione altrettanto disastrosa se lo sciopero dei camionisti nel 2000 fosse durato qualche settimana in più. In una società industriale il petrolio è necessario per l'importazione dei prodotti alimentari di base, per costruire e far funzionare i trattori, produrre e spandere i concimi chimici e gli anticrittogamici, confezionare e trasportare gli alimenti nei supermercati. È difficile immaginare un sistema più vulnerabile in tempi normali, ma diventa addirittura suicida oggi. Siamo chiamati ad affrontare non solo carenze temporanee di petrolio per bruschi rialzi del prezzo, ma anche una continua diminuzione della sua offerta. Di conseguenza il petrolio diventerà sempre più caro finché solo una minoranza di grandi imprese, con tutta probabilità nord americane, potranno permettersi di comprarlo, infatti il settore petrolifero degli Stati Uniti si prepara a far man bassa delle riserve in rapido declino. La ricerca petrolifera si sta rivelando molto deludente e la maggior parte del petrolio utilizzato oggi è stato scoperto quarant'anni fa'. La regione del mar Caspio che, come speravano molti specialisti, si riteneva contenesse 200 miliardi di barili, non ne avrebbe che 25 miliardi e comunque non più di 40 o 50 miliardi secondo Colin Campbell, una delle massime autorità dell'industria petrolifera8. Non è molto se si pensa che il consumo mondiale di petrolio ogni anno è di 78 miliardi di barili e aumenta a una velocità allarmante.
Gli Stati Uniti hanno cercato disperatamente di ridurre la loro dipendenza dal Medio Oriente e ci sono riusciti in qualche misura, ma le altre fonti di approvvigionamento si stanno esaurendo più in fretta del previsto. È poco probabile, per esempio, che da qui a dieci o quindici anni l'Iran produca più petrolio del necessario a soddisfare i suoi bisogni interni.
Anche le produzioni di paesi come l'Angola, la Nigeria, il Venezuela e il Messico stanno cominciando a diminuire, fra vent'anni gli Stati Uniti saranno ancora più dipendenti di oggi dal Medio Oriente. Ciò spiega perché l'industria petrolifera americana che è al governo oggi negli Stati Uniti, si dimostra così fanaticamente decisa a mantenere l'Irak che possiede l'11% delle riserve mondiali conosciute, delle quali solo una piccola parte è sfruttata e il cui petrolio resta il meno caro del mondo per i bassi costi di estrazione. Le conseguenze della futura crisi petrolifera mondiale non devono essere sottostimate. L'unica ricetta è il motto di Mae-Wan Ho, direttore dell'ISIS e consulente scientifico del Third World Network: "Possiamo vincere il cambiamento climatico e la crisi petrolifera con l'autosufficienza energetica e alimentare".