Tommaso
Sodano
Colpisce sul Sole 24 ore l’editoriale di venerdì 13 ottobre, che
definisce il nuovo decreto di modifica del Codice ambientale voluto dal
precedente Governo di centro destra, «uno dei provvedimenti più ostili al
mondo delle imprese». Principale responsabile sarebbe Rifondazione
comunista, secondo il giornale di Confindustria, infatti, l’ostilità si
esprime in appesantimenti burocratici e in “odiose procedure” per le
imprese, destinate ad intralciare la loro attività.
In realtà, questa riforma del Codice ambientale si limita,
doverosamente, ad eliminare le disarmonie tra la legislazione italiana e
la normativa comunitaria.
Le norme volute dall’ex ministro Matteoli, infatti, avevano fatto sì
che i rifiuti ferrosi e le rocce da scavo non fossero soggette alla
normativa sui rifiuti ed era stato abolito l’Osservatorio nazionale sui
rifiuti ed il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche.
Inoltre aveva abolito la nozione di scarico diretto, cosicché tutti i
rifiuti liquidi potessero confluire nelle acque reflue, esenti da
smaltimento.
Una deregulation sfrenata alla quale era impensabile non porre rimedio.
L’adeguamento alla normativa potrà costare alle imprese un po’ di
fatica e di risorse, ma la pretesa di trattare il territorio e l’ambiente,
beni comuni e collettivi, come proprietà privata, francamente ci sembra
eccessiva.
Senza tener conto del fatto che la suddetta deregulation ha favorito le
organizzazioni criminali, le ecomafie che del traffico dei rifiuti hanno
fatto un’attività molto lucrativa.
L’approvazione dello schema di decreto, da parte del governo Prodi
nella seduta di giovedì scorso recepisce in gran parte il parere espresso
dalla commissione Ambiente del Senato ed è in linea con gli impegni
assunti in campagna elettorale e sanciti dal Programma dell’Unione.
Restano dei dubbi su alcune modifiche apportate, rispetto alla bozza
che era circolata nei giorni scorsi e su cui si era creata un’ampia
condivisione: ad esempio non sono più presenti quelle nuove definizioni
(stabilimento, impianto) che erano atte ad assicurare che le prescrizioni
relative alla separazione di alcune acque di scarico venissero rispettate,
all’interno dello stabilimento, a livello di singolo impianto dove si
producono scarichi contenenti sostanze pericolose.
Nell’articolo relativo alla nozione di rifiuto, pur riscrivendolo nel
rispetto delle norme comunitarie, scompare l’inciso diretto ad escludere
la possibilità di interpretare in modo restrittivo la nozione di rifiuto,
il che comporta maggiori spazi per chi è interessato a tener fuori alcuni
beni dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti. Il rischio è
che si possa allargare il campo dei prodotti che potrebbero sottrarsi alla
nozione di rifiuto.
Sono diverse poi le norme ancora da valutare, come ad esempio le
procedure semplificate per la raccolta e il trasporto dei rifiuti e
l’ampliamento della gamma dei rifiuti agricoli sottratti alla normativa.
» indubbio che questo decreto è un notevole passo avanti che può essere
ulteriormente migliorato nel doppio passaggio parlamentare per i pareri
obbligatori delle Commissioni di merito e nella conferenza Stato-Regioni
(a questo proposito ci sembra del tutto fuori luogo la critica di Ermete
Realacci al “metodo” con cui si è arrivati al decreto: lo definirei un
iter esemplare, dal punto di vista della correttezza). Ma non va
assolutamente sottovalutato il pressing che alcuni settori industriali
faranno sul Governo per modificare, in senso peggiorativo, il testo del
decreto. Del resto basta appunto leggere Il Sole 24 ore per comprendere
l’attenzione che la Confindustria dedica a questa tematica. A partire da
questa considerazione c’è bisogno di una grande mobilitazione da parte del
mondo delle associazioni, dei movimenti, delle tante realtà di lotta per
difendere e migliorare questo decreto. Sarà una strada difficile ma
determinante ai fini di un nuovo e diverso approccio alle grandi questioni
ambientali e dello sviluppo del Paese.
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