politiche del territorio a genova e in liguria



 
 
Politiche del territorio a Genova e in liguria
 
 
Le recenti vicende politico ambientali impongono a tutti noi una necessaria riflessione sulle politiche del territorio in liguria e a Genova in particolare.
L'annunciata tornata elettorale del 2007 puo' essere un momento molto importante per affermare una discontinuità che cittadini, stampa, rappresentanti degli organismi di tutela , associazioni ambientaliste e financo la magistratura vanno chiedendo -invano - da anni ad un ceto politico bipartisanamente duro come il cemento e sordo a richiami che non partano dai poteri forti.
 
La Liguria è in campo ambientale terra del malaffare, la nostra regione è quella in cui si commettono più reati ambientali di tutte le regioni del nord  ( piu' della lombardia , del Piemonte ) e di molte altre regioni del centro e del sud.
 
Ma i numerosi arresti e processi in corso a ciclo continuo da anni a carico di molte amministrazioni pubbliche non hanno tagliato ancora il cordone ombelicale che lega gli amministratori alla rendita fondiaria, alla speculazione immobiliare, al conflitto di interessi.

Alla radice di ogni speculazione c'è spesso una distorsione del diritto, in particolare nel nostro caso il presunto diritto da parte di ogni proprietario fondiario di edificare e di realizzare un profitto.
La speculazione fondiaria garantita a Genova e in Liguria - come nel resto d'Italia da una dissennata politica del territorio messa in atto da decenni dalle amministrazioni locali ha portato nel suo caotico darsi da fare a una situazione paradossale : da una parte una continua edificazione di nuovi alloggi, nuove infrastrutture, dall'altra il mantenersi di una abnorme massa di alloggi sfitti. 
Ttutto fondato su valori dei terreni e delle abitazioni abnormi, con la conseguente impossibilità per la grande maggioranza di cittadini di acquisire una casa per la famiglia in aree socialmente ed ambientalmente sostenibili col risultato dello svuotamento dei centri storici di una quota significativa di abitanti a favore di imprese, seconde case, uffici, che ne uccidono la vivibilita' arricchendo le tasche degli spaculatori e dei politici di riferimento.
I prezi eccessivi dei terreni avviano la spirale dei prezzi, i costruttori non possono far altro che costruire solo case di lusso .
Così viene sempre saturato un settore della domanda e la domanda di alloggi di target medio basso non puo' essere soddisfatta.
Anche in una logica puramente liberista le cose non funzionano, si sganciano offerta e domanda a vantaggio della rendita fondiaria e della speculazione immobiliare e a danno dei cittadini e delle imprese.

Come ben illustrato dalle vicende legate alla delibera sugli spostamenti di volumi che ha investito come un ciclone cementizio tutta la zona del levante cittadino genovese i piccoli proprietari di terreni che il piano regolatore aveva vincolato a scarso o nullo sfruttamento edilizio - serre, oliveti, giardini, frutteti, ecc. - non avendo alcuna forza contrattuale nei confronti delle istituzioni hanno venduto i loro tereni ai grandi proprietari, agli speculatori che ( guarda caso ) si sono ritrovati improvvisamente graziati da opportune e diffuse variazioni del puc e da norme favorevolissime approntate dalle amministrazioni per costruire in aree di pregio.

Il piano regolatore che dovrebbe essere una baluardo di garanzie e di democrazia per prevenire il saccheggio del territorio e' diventato nelle mani della casta oscurantista e paladina del conflitto di interessi dei funzionari pubblici e degli amministratori dipendenti , consulenti, incaricati da grandi aziende immobiliari merce di scambio tra poteri forti, gli unici in grado di influenzare grazie alla propria forza economica e ai collegamenti politici  la norma urbanistica è diventato cornice della pratica diffusissima delle varianti al puc, delle varianti in corso d'opera, degli inesistenti ( o pretestuosi ) oneri urbanistici , dei controlli inesistenti, del ribaltamento di ruoli che vede le varie commissioni edilizie sovrane in barba ai consigli comunali, circoscrizionali e provinciali.
 
La sfida per i prossimi anni non puo' che essere quella - mandati a casa gli ascari della speculazione - di passare dall'urbanistica contrattata ( tra poteri forti e loro servitori mansueti ) a una politica del territorio partecipata , costruita insieme ai cittadini.
Siamo fermamente convinti della necessita' che i beni comuni, tutti quelli che determinano significative modificazioni nella qualità ambientale delle aree urbane debbano tornare sotto controllo pubblico e che si debba ricondurre a unità programmatica quella estrema frazionalità dei suoli e delle proprietà fonte prima delle distorsioni gestionali in atto
Da questa privatizzazione frazionata dei suoli sono derivati quei processi di speculazione che hanno così negativamente influenzato la qualità territoriale del nostro territorio toglienogli qualità e identità.

Ora, gli strumenti ci sarebbero: la nostra Costituzione (art.42) prevede l’esproprio dei terreni «per motivi di interesse generale» e «salvo indennizzo»: ma le interpretazioni della Corte Costituzionale hanno poi portato a far coincidere gli indennizzi con i valori di mercato continuamente crescenti dei suoli, rendendo così le espropriazioni su vasta scala proibitive per i Comuni. Ne è seguita una sempre maggiore difficoltà di disciplinare attraverso i Piani Regolatori crescite e trasformazioni urbane, lasciate in balìa della speculazione fondiaria da un lato e dall’abusivismo edilizio dall’altro.

Da questa situazione è poi conseguita una svolta economicista cara alla destra politica e alla speculazione( ma assunta da tutte le principali amministrazioni governate dalla sinistra in Liguria ) che, attraverso il ricorso all’urbanistica contrattata ha lasciato che sia la proprietà fondiaria stessa a fare i progetti e a “contrattarne” poi con il Comune la realizzazione.
Non più dunque la collettività che si dà il piano secondo i bisogni dei cittadini, ma lo sviluppo urbano deciso dai proprietari dei suoli e dagli spaculatori secondo i propri interessi.
Questo il meccanismo adottato dai berluscones bipartisan in tutta italia e in liguria fatto proprio dalle giunte di sinistra e dai partiti che le sostengono.

Se il recupero dell'idea e degli strumenti della città partecipata sono lo sfondo e la cornice di ogni possibile svolta delle politiche territoriali vanno assunti due paletti decisivi:

Il primo è il concetto di limite. Basta costruire in aree ancora libere in città affollatissime e in molte parti invivibili .

DA 50 anni a questa parte i terreni agricoli , i parchi, le aree verdi sono più che dimezzate a causa della espansione edilizia non più motivata - da decenni in liguria - da aumenti di popolazione ne da bisogno di case - ce ne sono anche troppe solo spesso vuote a causa di prezzi artefattamente alti.
La qualità dell'aria , del verde, della mobilità urbana delle persone e delle merci, l' inquinamento acustico, mettono a durissima prova la vivibilità urbana e impongono costi crescenti per il trasporto, la salute, la socializzazione, il cibo. In piu' gli equilibri idrogeologici sono largamente compromessi in tutta la regione.
Non possiamo assolutamente permetterci di occupare altri spazi con le costruzioni. Il che vuol dire darci come regola nell'interesse comune che le trasformazioni urbane andranno fatte soltanto “ricostruendo sul già costruito”. Cosa non solo possibile ma conveniente, oltreché necessaria per fronteggiare il degrado delle città e per adeguarne spazi e strutture alle sempre nuove esigenze.

Il secondo paletto è quello riconducibile alla questione dell' estetica urbana.L'armonia degli spazi di vita è una condizione irrinuncabile per la costruzione di una cultura collettiva della socialità in ambito urbano.
Per i prossimi anni diventerà fondamentale uscire in maniera netta ed inequivocabile dal vicolo cieco in cui ci ha portsto una logica economicistiva della gestione delle risorse pubbliche e private e puntare a darci la dimensione umana e l'estetica come obbiettivi primari della nostra idea di governo del territorio.


andrea agostini
elena dini