il grande fratello dello shopping



da boiler settembre 2005
27.09.2006
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Il grande fratello dello shopping
di SARA CAPOGROSSI COLOGNESI

ANDARE in un grande magazzino e mettersi a osservare il pubblico, un po’ come si farebbe in un parco naturale africano con un gruppo di scimmie, o di elefanti. L’etologia umana esiste, anche come disciplina scientifica, ma ultimamente i suoi principi vengono adottati dai negozi per incrementare le vendite. Sono stati scritti libri interi sulla tendenza delle persone a girare a destra entrando in un negozio, sul come ignorino le prime linee, per soffermarsi a controllare la mercanzia con più attenzione solo superati alcuni metri, persino sulla distanza minima da interporre tra gli scaffali. Informazioni che vengono tradotte in strutture architettoniche, in strategie aziendali e, in definitiva, in guadagni.
Per analizzare le menti delle persone intente nei loro acquisti Joshua Freedman, professore di psichiatria della University of California, Los Angeles, utilizza addirittura un apparecchio per la scansione cerebrale: risonanze magnetiche che mostrano un aumento nel flusso di sangue al cervello, risultato dai neuroni che si agitano e richiedono ossigeno. Un sistema che nel 2004 lo studioso ha utilizzato anche per analizzare le reazioni degli elettori alle pubblicità politiche. Ma dopo quell’esperienza lo studioso ha pensato che forse la politica non era il luogo più adatto per questo tipo di analisi, e si è rivolto a osservare le regole che guidano il mercato.
I suoi risultati dovrebbero forse essere reclamizzati di più, perché sembra che nella maggior parte dei casi una pubblicità non provoca reazione alcuna nel cervello degli spettatori: «spesso non c’è compartecipazione», spiega Freedman. E se non c’è reazione è difficile che nasca un qualche desiderio di acquisto. D’altra parte è comunque difficile che uno spot attivi solo la parte del cervello “giusta”: la pubblicità di una macchina non accenderà solo la corteccia orbitofrontale e lo striato ventrale, le regioni che gridano “accipicchia, voglio subito quell’automobile!»; più plausibilmente si attiverà anche l’amigdala, che è invece associata alla paura e all’ansia e che ci avvertirà: «questa è proprio una cosa stupida da fare».
Ma non ci si ferma alla risonanza magnetica. C’è chi impiega tecniche statistiche usate per analizzare insieme idee diverse, come per esempio nei test relativi all’uso delle armi nucleari. Generalmente, infatti, con un test siamo in grado di valutare una variabile mantenendo costanti tutti gli altri fattori. Per esempio, nella sperimentazione di un nuovo farmaco vengono scelti partecipanti di stesso sesso, età, situazione sanitaria; insomma gruppi omogenei che si distinguono solo per la somministrazione del farmaco in questione o del placebo. Ma in questo modo non si possono analizzare troppe variabili, perché diventerebbe un processo lungo e dispendioso. Inoltre si trascurerebbero fattori multipli: in poche parole la sinergia.
In principio furono due statistici britannici che durante la Seconda Guerra Mondiale, per esigenze di tempo, svilupparono un modo per testare velocemente tattiche diverse. Un tipo di test che ha avuto un grande futuro e che oggi viene sfruttato dai venditori per capire cosa funziona e cosa no: per esempio in un annuncio pubblicitario per ottenere una reazione forte non serve aggiungere colore o aumentare la dimensione, ma le due cose insieme funzionano a meraviglia.