trasporto pubblico locale si puo' spendere meno



da lavoceinfo.it
Infrastrutture e trasporti 

21-08-2006
Trasporto pubblico locale: si può spendere meno
Francesco Ramella

Nella prima settimana di settembre si riunirà la cabina di regia sul sistema dei trasporti in Italia istituita lo scorso 14 luglio: all’ordine del giorno le problematiche connesse al trasporto pubblico locale. L’incontro potrebbe essere una buona occasione per verificare la volontà del Governo di procedere a 360° sulla strada delle liberalizzazioni. Nello scorso mese di luglio il ministro Bersani intervistato dall’Espresso disse: "Se riusciamo a dare come governo il senso che si può guidare il cambiamento, tante altre questioni possono essere affrontate. Riforme sui punti generatori della spesa pubblica".
L'inefficienza del settore in Italia
Non vi è dubbio che, nel settore dei servizi pubblici locali, il maggior "generatore di spesa pubblica" sia quello del trasporto pubblico locale. Il divario fra costi di produzione e ricavi commerciali si attesta infatti intorno ai 4 miliardi di euro all’anno (esclusi i servizi su ferro: Trenitalia ha ricevuto nel 2004 sussidi dalle Regioni per un ammontare pari a 1,2 miliardi di euro). Per comprendere il livello di inefficienza del settore, può essere utile porre a confronto un’azienda italiana, ATAF di Firenze, ed una britannica, First Mainline di Sheffield. Le due aziende operano in aree urbane di dimensioni analoghe, circa 600.000 abitanti, con un organico simile intorno ai 1.300 dipendenti, e con condizioni di traffico paragonabili: la velocità commerciale dei mezzi si attesta in entrambi i casi intorno ai 16 km/h.
Il costo totale di produzione dei servizi di ATAF è pari a circa due volte quello di First Mainline mentre i ricavi commerciali dell’azienda di Sheffield sono superiori a quelli dell’azienda fiorentina in misura pari al 40%.
L’entità complessiva dei sussidi e del deficit annuale di ATAF è pari a circa 45 milioni di Euro a fronte degli 8 milioni di First Mainline.
La differenza dei costi è da ricondursi sia ad una maggiore efficienza tecnica dell’azienda britannica – 70mila km percorsi in media da ogni veicolo contro 40mila – che ad una più elevata efficienza del lavoro: a fronte degli oltre 31.000 km per addetto al movimento di First Mainline si ha un valore nell’intorno di 20.000 per ATAF. Analoghi divari di produttività si riscontrano nell’ambito dell’amministrazione e della manutenzione dei mezzi.
Assai elevata è, inoltre, la differenza del costo del lavoro: per l’azienda inglese il costo unitario del personale si attesta intorno ai 20mila Euro analogo a quello di un operaio italiano e pari a poco più della metà di quello di ATAF (37mila Euro).
Il costo del lavoro per unità di prodotto risulta quindi in Italia pari a tre volte quello del Regno Unito. Tale proporzione sussiste anche per il costo unitario totale di produzione del servizio pari a circa 3,8 Euro per bus-km a Firenze ed a 1,27 a Sheffield.
E’ come se un’azienda italiana producesse una vettura di media cilindrata con un costo di 60mila euro contro i 20mila di una concorrente britannica: non è difficile immaginare quali sarebbero le conseguenze per tale impresa.
Quali le ragioni di tale eclatante divario? Pur considerato il maggiore cuneo fiscale che grava sul costo del lavoro nel nostro Paese, non sembra esservi dubbio che la differenza di efficienza fra le aziende sia da ricondursi principalmente al fatto che in Gran Bretagna la liberalizzazione del settore è riuscita mentre nel nostro Paese è sostanzialmente fallita. A seguito della deregulation in Gran Bretagna i costi di produzione sono stati quasi dimezzati; da noi, tranne rare eccezioni, i costi sono diminuiti di pochi punti percentuali.
Gli Enti locali ai quali, quasi un decennio fa, sono state trasferite le competenze in materia di trasporto pubblico locale sembrano finora aver avuto più a cuore le ragioni dei produttori che quelle dei consumatori–contribuenti (di questi ultimi in particolare: il prezzo pagato dagli utenti del tpl in Italia è tra i più contenuti in Europa). Rarissime le gare per l’affidamento dei servizi e nessuna vera privatizzazione delle aziende municipalizzate.
Quali azioni possono oggi essere messe in campo per superare l’attuale situazione di stallo?
Da un lato: starve the beast. Ridurre progressivamente o quantomeno congelare per un lungo arco di tempo, i trasferimenti alle Regioni obbligandole così, qualora vogliano perseverare nella "tutela dei produttori", ad accrescere il livello di tassazione locale (nel caso di Firenze, i trasferimenti all’azienda di trasporto pubblico locale sono pari a circa un terzo del gettito ICI).
Dall’altro si potrebbe immaginare, come accaduto nel Regno Unito all’infuori di Londra, di rimuovere le barriere legali all’offerta di servizi di trasporto collettivo locale passando da un regime di competizione per il mercato ad uno di competizione nel mercato (un primo, timido, passo in tale direzione è del resto già contenuto nel decreto Bersani).
Occorre sottolineare al riguardo che, se dal punto di vista dell’efficienza la competizione nel mercato ha dato esiti migliori rispetto ai casi di mantenimento di una pianificazione unitaria ed affidamento dei servizi tramite gara, quest’ultima opzione si è mostrata preferibile in termini di domanda soddisfatta. A differenza di quanto accaduto a Londra ed in altre città del nord Europa, nelle città inglesi ove è stata posta in essere la deregulation è infatti proseguita dopo la riforma la riduzione del numero di utenti del trasporto collettivo.
Peraltro, tale evoluzione non ha comportato significative conseguenze negative né sotto il profilo dell’inquinamento atmosferico (la qualità dell’aria nelle aree metropolitane inglesi ha continuato a migliorare rapidamente ed è oggi conforme agli standard UE), né sotto il profilo della sinistrosità stradale (il numero di morti e di feriti gravi è stato dimezzato nel decennio successivo alla riforma del tpl pur in presenza di una forte crescita della mobilità privata ed è largamente inferiore a quello che si registra nei maggiori paesi europei) e neppure in termini di tempi di viaggio che, grazie allo spostamento di una quota di domanda dal trasporto collettivo a quello individuale, sono complessivamente diminuiti.
Per poter coagulare il necessario appoggio della popolazione, la politica sopra delineata dovrebbe essere accompagnata da una migliore informazione dei cittadini. Oggi, infatti, la stragrande maggioranza della popolazione è, non casualmente, inconsapevole del livello di inefficienza del settore e dell’entità di risorse pubbliche assorbite dallo stesso e tende a sovrastimare i benefici conseguibili grazie ad una ripartizione modale più favorevole al trasporto collettivo, argomentazione quest’ultima costantemente ripetuta dai produttori per acquisire ulteriori finanziamenti pubblici.