autonomia energetica come e perchè



da reteambiente.it
settembre 2006
 
estratti dal volume
"Autonomia energetica "
Dubbi scientifici e politici sulle energie rinnovabili
 

Autonomia energetica
Ecologia, tecnologia e sociologia delle risorse rinnovabili
di Hermann Scheer
 
2006 - pagine 256 - euro 20,00 - ISBN 88-89014-38-5



Che cosa ostacola ancora oggi il decollo di un sistema energetico basato sulle risorse rinnovabili? Se l’interesse da parte del pubblico verso le tecnologie energetiche pulite appare elevatissimo, quando ci si sposta sul piano dei decisori si trovano resistenze enormi e spesso il dibattito sembra non solo in stallo, ma addirittura in regresso. A intervalli regolari si riprende a parlare di nucleare, mentre il peso delle fonti fossili cresce e l’impegno nello sviluppo delle risorse rinnovabili rimane perlopiù alle dichiarazioni di principio. Potenza delle lobby, certamente, ma anche una diffusa inadeguatezza della politica nell’attuare concretamente scelte ispirate alla logica dell’interesse collettivo.
Oggi ci troviamo su un crinale: l’avvio della svolta verso un sistema energetico basato sulle risorse rinnovabili sembra sempre più vicino, ma lo è quanto il rischio di una ulteriore e costosissima stagnazione.
Scheer analizza nel dettaglio le argomentazioni e le ragioni profonde di questa situazione, e individua nell’autonomia energetica il concetto chiave per porre in evidenza al meglio i vantaggi offerti dalle risorse rinnovabili e “ripulire” il dibattito dai pregiudizi e dalle falsificazioni che condizionano oggi sia l’opinione pubblica sia la politica (e a volte perfino gli ambientalisti più convinti). L’autonomia energetica non è solo il risultato della conversione alle rinnovabili, ma è anche la strategia migliore per attuarla.
Una molteplicità di attori al posto di un sistema gestito da pochi potentissimi soggetti, un sistema basato sulla produzione locale e a piccola scala al posto delle faraoniche infrastrutture che oggi si vuole far apparire insostituibili.
La realtà che emerge rompe il circuito di disinformazione che fa apparire le rinnovabili come le energie di un futuro che si allontana costantemente e permette invece di ricollocare nella giusta prospettiva lo sviluppo di un sistema energetico alternativo a quello fossile/nucleare.
La vera risposta alla ricorrente domanda “tra quanto?” apparirà con chiarezza essere: “tra non molto”. Basta decidere di agire.
Hermann Scheer è membro del Bundestag (il Parlamento Federale tedesco), presidente di Eurosolar, Associazione Europea per le Energie Rinnovabili e direttore generale del World Council for Renewable Energies. Il suo lavoro ha ottenuto riconoscimenti di prestigio, come il Nobel Alternativo nel 1999, il World Solar Prize nel 1988 e il World Prize for BioEnergy nel 2000. I suoi libri A Solar Manifesto (1993) e The Solar World Economy (1999) (pubblicato in italiano con il titolo Il solare e l’economia globale) sono tra i più letti al mondo sulle energie rinnovabili.

Dubbi scientifici e politici sulle energie rinnovabili

A parte la disinformazione tecnica sulle energie rinnovabili, sistematicamente diffusa e confutata da una ricca letteratura, sono essenzialmente sette le premesse tecnico-scientifiche dubbie e sei le premesse dell’azione politica, considerate acquisite a priori e ritenute inconfutabili. Chi le assume o ne condivide qualcuna va a finire in una posizione che comprende solo in parte il potenziale delle energie rinnovabili, lasciandolo perciò inutilizzato.
Le premesse tecnico-scientifiche dubbie sono le seguenti:
Il potenziale disponibile è insufficiente
Il potenziale sfruttabile delle energie rinnovabili non sarebbe sufficiente per poter rinunciare a quelle nucleari o fossili. Questa premessa fa ritenere inevitabile l’impiego a lungo termine delle energie fossili, che andrebbe perciò accettato nonostante tutti i pericoli.
È necessario molto tempo
L’attivazione delle energie rinnovabili su vasta scala non è immediata, sarà possibile in un futuro lontano. È perciò indispensabile effettuare grossi investimenti nelle energie convenzionali, senza i quali non sarebbe possibile soddisfare il fabbisogno energetico dell’umanità. Questa premessa, sostenuta con il pretesto di favorire le energie rinnovabili, punta a ritardarne l’introduzione mentre nel frattempo andrebbe tollerato l’uso delle energie convenzionali.
L’assoluta necessità di grandi centrali
Il fabbisogno di una società industriale e urbanizzata non si potrebbe soddisfare senza le grandi centrali; le energie rinnovabili, sfruttabili in prevalenza attraverso piccoli impianti, non sarebbero perciò idonee. Anche questa premessa punta a garantire l’accettazione delle grandi centrali. Essa induce ad allineare la tecnologia delle energie rinnovabili a forme di impianti centralizzati, trascurando le forme applicative decentralizzate, molto più diversificate e più rapidamente introducibili.
L’impatto sull’ambiente diminuisce potenziando l’efficienza delle energie convenzionali
Gli investimenti finalizzati ad aumentare l’efficienza degli impianti energetici convenzionali e a ottimizzare le utenze sarebbero meno costosi e contribuirebbero a risolvere il problema dell’impatto ambientale con maggiore rapidità. Questa premessa viene usata contro le iniziative a favore delle energie rinnovabili, suggerendo che entrambe le ipotesi non siano possibili e necessarie contemporaneamente.
La priorità delle strutture di approvvigionamento energetico esistenti
Le energie rinnovabili dovrebbero servirsi delle strutture di approvvigionamento che già esistono ed essere compatibili con queste. Soprattutto per l’energia elettrica, la struttura esistente è considerata un’esigenza tecnica oggettiva. Questa premessa trasforma lo status quo in criterio di tollerabilità delle energie rinnovabili e afferma una neutralità incolpevole delle strutture di approvvigionamento rispetto a tutte le fonti energetiche, che in realtà non è mai esistita, né può esistere.
La salvaguardia delle risorse macroeconomiche
Tutte le decisioni a livello di politica energetica devono evitare la distruzione di capitali nell’industria energetica. In questo modo gli interessi delle economie nazionali sono equiparati a quelli dell’industria energetica. Questa premessa nasconde un’idea di economia pianificata, indiscutibilmente legata alla visione che l’industria energetica convenzionale propone di sé e della politica energetica orientata su questa. Essa dà per scontato che l’industria energetica rimanga l’unico fornitore di qualsivoglia energia: una prospettiva assolutamente falsa a fronte dell’alternativa rappresentata dalle energie rinnovabili.
L’onere economico dell’introduzione delle energie rinnovabili
Questa premessa distoglie sistematicamente l’attenzione dai danni economici indiretti delle energie convenzionali e dagli enormi vantaggi economici e sociali delle energie rinnovabili. Essa tenta di opporre gli interessi del presente a quelli del futuro, e a invogliare i singoli a un comportamento egoistico nei confronti del bene comune.
Tutte le ipotesi tecnico-scientifiche suggeriscono delle ragioni oggettive che contrasterebbero la transizione diffusa alle energie rinnovabili.
Altre premesse sono invece riferite ai settori e ai metodi dell’azione politica.
Le energie rinnovabili dipenderebbero dalle sovvenzioni
Con questa premessa si distoglie l’attenzione dal fatto che i sussidi a favore delle energie nucleari e fossili erano e sono parecchio più alte di tutte le forme di sostegno finanziario erogate a favore delle energie rinnovabili. Ma tende anche a nascondere il fatto che da tempo esistono possibilità di sfruttare le energie rinnovabili che non dipendono dalle sovvenzioni ma solamente dall’eliminazione dei privilegi concessi alle energie nucleari e fossili.
La necessità di un accordo con l’industria energetica
La posizione e quindi l’influenza dell’industria energetica consolidata sarebbero tali da rendere il cambiamento energetico possibile solo in accordo con essa. Nonostante i grandi conflitti, si tratterebbe comunque di giungere a un accordo. Questa premessa accetta il monopolio dell’industria energetica in tutti i settori dell’approvvigionamento, quasi fosse l’unica in grado di fornire energia all’umanità. Lo status dell’industria energetica ottiene così una “garanzia di eternità” concettuale, come se si trattasse di un organo insediato dalla costituzione.
Il dogma della competitività nei mercati energetici
Poiché il trend generale prevedrebbe la liberalizzazione dei mercati energetici, anche i programmi di incentivi delle energie rinnovabili dovrebbero essere orientati in questo senso. Questa premessa attribuisce “al mercato energetico” la priorità in tutte le altre decisioni. E non considera che la mobilitazione delle energie rinnovabili interessa in primo luogo i mercati delle tecnologie e solo in parte i mercati energetici.
L’irrinunciabilità degli impegni contrattuali globali
Poiché i problemi energetici possono essere globali, per ragioni di distribuzione degli oneri economici nella competizione internazionale le soluzioni devono essere comuni, globali, stabilite contrattualmente e impegnative per tutti, con l’implicito obbligo di accettare gli inevitabili compromessi. In questo modo si trascura di nuovo l’utilità sociale delle energie rinnovabili. Questa premessa ignora che le vere innovazioni tecnologiche non sono mai nate da azioni contrattuali internazionali e che nulla indica che possano nascere da tali impegni. Essa conduce a concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica e l’azione degli attori sulle conferenze internazionali – nonostante i risultati decisamente deludenti – e a trascurare altre iniziative.
L’impatto ambientale delle energie rinnovabili
Dal momento che anche l’utilizzo delle energie rinnovabili ha conseguenze sull’ambiente, la loro introduzione dovrebbe essere assoggettata a valutazioni dell’impatto ambientale, come per l’energia nucleare e fossile. Questa premessa oscura le differenze sostanziali fra le distruzioni effettive e gli interventi relativamente marginali sull’ambiente, fra l’impatto ambientale irreversibile e reversibile, oppure fra gli impianti energetici con o senza emissioni contaminanti, che però “ingombrano” il paesaggio.
Il realismo politico dei piccoli passi
Procedere a piccoli passi produrrebbe meno resistenze e sarebbe un approccio più facile da attuare; una linea realistica esigerebbe quindi di non “spaventare” la politica, l’economia e l’opinione pubblica con idee troppo avanzate. Questa premessa corrisponde a una capitolazione davanti ai problemi reali, in quanto i piccoli passi non sarebbero evidentemente sufficienti a risolvere i problemi causati a livello mondiale dal tradizionale modello di approvvigionamento energetico nucleare e fossile.

Il tempo delle energie rinnovabili

Esaminiamo la legge tedesca sulle energie rinnovabili: nel 2004 in Germania circa il 10% dell’energia elettrica è stata prodotta con energie rinnovabili, di cui il 7% con fonti rinnovabili “nuove” e cioè senza la quota idroelettrica. Questo 7% è rappresentato da centrali per 19.000 MW di potenza, promosse dalla legge sulle energie rinnovabili e dalla precedente legge sulla immissione in rete delle energie rinnovabili. La crescita annuale attualmente promossa dalla legge è di circa 3.000 MW con l’energia eolica, che fa la parte del leone. Ipotizzando per i prossimi decenni lo stesso incremento annuo progressivo, le capacità crescerebbero a 48.000 MW nel 2015, a 78.000 nel 2025, a 108.000 nel 2035, a 148.000 nel 2045 e a 178.000 nel 2054; e si tenga presente che si tratta di una velocità di introduzione già sperimentata nella pratica. Con 16.000 MW l’energia eolica detiene oggi la maggior quota del potenziale complessivo di energie rinnovabili in Germania. Nello sviluppo futuro tale spettro si allargherà, ma la velocità raggiunta non deve necessariamente essere tenuta costante per decenni, in modo da ottenere – nel giro di 40-50 anni – la sostituzione completa delle energie nucleari e fossili. Il rendimento delle tecnologie ancora giovani delle energie rinnovabili aumenterà progressivamente; verranno sviluppate nuove tecnologie di accumulo. E in realtà quello che conta non è tanto la potenza installata, quanto piuttosto la quantità di energia elettrica effettivamente prodotta. Mentre le tecnologie energetiche convenzionali si trovano verso la fine del loro sviluppo tecnologico e ulteriori ottimizzazioni sono ormai difficili da immaginare, le tecnologie basate sulle energie rinnovabili sono all’inizio del loro sviluppo, e hanno quindi un notevole potenziale di ottimizzazione. 

I costi del nucleare

Per illustrare i presunti vantaggi economici dell’energia nucleare si finge di dimenticare che tutta la filiera economica era ed è basata su una macchina politica di sovvenzioni e privilegi di prim’ordine. Accanto all’esenzione fiscale dei combustibili nucleari e alla mancata assunzione di responsabilità, i costruttori di centrali nucleari ottengono crediti privilegiati e spesso anche finanziamenti di entità sconosciuta. La EdF, che produce l’85% dell’energia elettrica con le centrali nucleari, è una delle aziende più indebitate del mondo e soprattutto per ragioni “nucleari”. Nel periodo compreso tra gli anni 50 e il 1973, i governi OCSE hanno speso più di 150 miliardi di dollari (in valuta corrente) per la ricerca e lo sviluppo nel campo dell’energia nucleare, mentre non hanno investito quasi nulla sulle energie rinnovabili. Dal 1974 (ovvero da quando l’IAEA rileva i dati) al 1992 hanno speso 168 miliardi di dollari e solo 22 miliardi di dollari per le energie rinnovabili. Tutto ciò senza contare le generose erogazioni dell’UE a favore dell’atomo, mentre le cifre francesi sono tuttora segrete. Insieme ai finanziamenti dei paesi non OCSE, in primo luogo gli ex paesi oltrecortina, i contributi complessivi a livello mondiale ammontano ad almeno 1.000 miliardi di dollari; quelli per le energie rinnovabili negli ultimi 30 anni non superano i 40 miliardi di dollari, compresi i programmi di introduzione sul mercato. Nella sola Germania, dagli anni 50 in poi l’energia nucleare è stata sovvenzionata con i seguenti importi: circa 20 miliardi di euro per la costruzione di reattori sperimentali e di ricerca; 9 miliardi per progetti falliti come il reattore veloce, il reattore ad alta temperatura e l’impianto di ritrattamento; 14,5 miliardi per fermare i reattori, decostruirli, smantellarli, risanare i depositi e per i depositi finali delle scorie; 20 miliardi di mancate entrate per il Fisco per le riserve esenti previste nel deposito finale delle scorie radioattive. Non sono quantificate le misure di polizia e di ordine pubblico, le spese per gli istituti universitari e il finanziamento dei centri di ricerca.
(...)
Esistono almeno altre sei ragioni contro un futuro all’insegna dell’energia nucleare:
• Il problema dell’acqua. L’enorme fabbisogno idrico dei reattori per la produzione di vapore e per il raffreddamento è in concorrenza con il fabbisogno di acqua della popolazione mondiale, in continua crescita.
• La scarsa efficienza. Il calore residuo delle centrali nucleari è poco adatto alla cogenerazione a causa dei costi elevati del teleriscaldamento. Quella nucleare è perciò la fonte energetica con le minori possibilità di ottimizzazione dell’efficienza.
• La pericolosità. Con il rischio di “nuove guerre”, non più fra stati ma fra culture, aumenta in tutto il mondo il pericolo del terrorismo nucleare, e non solo quello di attacchi aerei contro i reattori.
• Il sistema energetico sbagliato. Le centrali nucleari sono investimenti ad alta intensità di capitali, quindi la loro costruzione è in contraddizione con la liberalizzazione dei mercati dell’energia elettrica con tempi di ammortamento brevi.
• La prospettiva incerta dei depositi finali delle scorie. Le scorie radioattive devono essere stoccate in modo sicuro per 100.000 anni. Quale sistema politico è in grado di fornire garanzie per una tale durata, visti i sempre maggiori rischi di destabilizzazione sociale?
• L’insidiosa contaminazione radioattiva. Nessuno è in grado di stimare a lungo termine l’impatto di contaminazioni radioattive anche basse sulla natura e sull’uomo. Il rischio aumenta con l’aumentare delle centrali nucleari in esercizio.

Una finta economia di mercato

La liberalizzazione limitata mette in evidenza – e anche un mercato funzionante confermerebbe – che gli investimenti in grandi centrali diventano un rischio difficile da calcolare. E infatti rapidamente i finanziamenti diventano introvabili, soprattutto nel caso di centrali nucleari che hanno elevati costi di investimento e tempi molto lunghi di ammortamento.
Ma non cessa la resistenza dei grandi gruppi contro le energie rinnovabili e questo è dovuto anche all’incoerenza delle leggi sulla liberalizzazione. Il tema raramente è stato oggetto di discussione: un sistema coerente di smantellamento dovrebbe mirare a una netta divisione fra aziende di produzione dell’energia e fornitori di combustibili. Una grande azienda dell’elettricità, che al contempo gestisce miniere di carbone ed è fornitore di gas naturale, non passerà mai dalle centrali a carbone o a gas a quelle eoliche, nemmeno quando la cosa fosse veramente conveniente. Nell’intrecciato settore energetico non c’è quasi mai un business isolato, ma attività multiple all’interno di una stessa azienda: e proprio la doppia funzione di fornitore di combustibile e gestore di centrali rappresenta lo zoccolo duro del settore energetico.
È quindi piuttosto ingenua l’idea di alcuni sostenitori delle rinnovabili secondo cui l’industria energetica si avvierebbe con grande naturalezza verso grandi parchi di generatori eolici offshore e centrali fotovoltaiche nel deserto del Sahara. Si sostiene che per attuare questa prospettiva i grandi gruppi sarebbero pronti a costruire migliaia di chilometri di nuovi elettrodotti, mentre in realtà si oppongono alla costruzione di anche solo dieci chilometri di collegamento per un parco di generatori eolici. È una perfetta illusione immaginare che i produttori effettuino investimenti di miliardi, se si considera che non solo dovrebbero fermare le loro grandi centrali convenzionali, ma che ciò troncherebbe anche i loro affari nel settore del carbone, del gas naturale e dei combustibili nucleari, agendo in senso opposto ai propri interessi.
Il mondo del petrolio è stato completamente escluso dal dibattito liberista, nonostante sia il più monopolistico di tutti i settori energetici. Qui il controllo del prodotto va dall’estrazione fino alla colonnina di distribuzione. I grandi petrolieri estraggono direttamente gran parte del loro greggio, gestiscono gli oleodotti e le raffinerie, organizzano la distribuzione e monopolizzano le stazioni di servizio. Delegano solo il trasporto via nave, spesso ad armatori di dubbia reputazione, battenti bandiera di paesi che permettono di schivare la responsabilità in caso di guasti e sversamenti delle petroliere. E intanto si è da tempo affermata la forma di liberalizzazione che è più utile al settore petrolifero: le materie prime energetiche sono esenti da dazi. È molto forte ormai l’esigenza di riorganizzare anche il settore petrolifero, in modo da garantire una netta separazione fra fornitori di petrolio, raffinerie e stazioni di servizio, affinché ogni distributore possa, ad esempio, scegliersi liberamente il proprio fornitore.
Il processo di liberalizzazione non ha ancora toccato il mondo potente dell’oro nero, proprio per evitare di scontrarsi con il suo consolidato giro di affari, mentre attecchisce bene dove può battere interessi poco organizzati. I potenti dell’economia chiedono a gran voce il libero mercato quando coincide con i propri interessi, e lo schivano se invece li intacca. Perciò la liberalizzazione dei mercati energetici – pur suonando convincente sulla carta – rischia nella prassi di essere solo apparente, vale a dire un’economia pianificata, privatizzata, internazionale e travestita da economia di mercato.

L'autonomia delle energie rinnovabili

I programmi di successo per introdurre le energie rinnovabili sono riconducibili a strategie politiche autonome, oppure a quelle che hanno promosso una piattaforma per un’azione autonoma degli investitori. Al contrario, tutte le concezioni che puntano a un inserimento nell’industria energetica sono state fallimentari: esse di fatto hanno voluto solo riconoscere la priorità delle strutture energetiche tagliate sulla misura delle energie convenzionali.
Le prove del successo delle strategie che sfruttano le autonomie politiche e favoriscono le iniziative economiche autonome sono lampanti: i pochi paesi che, indipendentemente dall’esito delle trattative internazionali, hanno avviato le energie rinnovabili, hanno sortito più effetti di qualità rispetto a ogni altro tentativo internazionale di un’azione politica integrata. E non è un caso che siano state soprattutto le città, con una decisione autonoma, a favorire le primissime iniziative, proprio perché non sono così incasellate quanto i governi nel “complesso politico-energetico-economico”. Sorprende, in Germania o in Austria, il grande numero di piccole città o di province che puntano o hanno già raggiunto il traguardo della completa autonomia energetica a livello comunale. Senza la “retribuzione con copertura dei costi” per l’immissione in rete dell’energia solare – introdotta negli anni 90 in più di 30 città tedesche, a partire da Aquisgrana, e promossa dall’associazione locale che promuove il solare e dallo Spiritus Rector Wolf von Fabeck – non ci sarebbe stata alcuna possibilità di lanciare nel 1999 il programma del Governo dei 100.000 tetti e nemmeno il successivo massiccio aumento del compenso per l’elettricità di origine solare, previsto dalla legge LER del 2000. Le iniziative comunali possono quindi spianare la strada a una legge generale. Se le città più avanzate avessero chiesto, prima di agire, la consulenza scientifica di periti che verificassero i costi comparativi dei progetti rispetto ad altri progetti teorici in altri luoghi, probabilmente nessuna di queste iniziative sarebbe mai decollata. Probabilmente i progetti comunali non sono sempre stati “efficienti sul versante dei costi”, ma hanno invece migliorato la qualità della vita nei comuni e creato posti di lavoro locali e regionali.
I precursori imprenditoriali nella produzione di tecnologia nel campo delle energie rinnovabili sono di norma dei neofiti e non industrie energetiche tradizionali, i cui rapporti d’affari con la clientela non ammettono evidentemente iniziative solitarie su terreni inesplorati. Fra i gestori degli impianti ad energia rinnovabile, la situazione è analoga: in Germania a partire dall’entrata in vigore della LER, più del 95% degli investimenti proviene da gestori privati o da aziende municipalizzate. Benché le industrie energetiche si lamentino di continuo che la legge permette investimenti senza rischi con guadagni interessanti, non sono saliti su questo treno. Solo il 23% (9.750 MW dei 42.400 MW complessivi) di tutta la capacità eolica installata nel mondo al 2004 è in mano a grandi industrie energetiche.
L’attenzione strategica per affermare le energie rinnovabili si deve perciò concentrare su tre punti:
• su una disponibilità indipendente e diffusa anziché verso una concentrazione in siti internazionali particolarmente “convenienti”, come ad esempio nel “sun belt” del globo;
• sulla decentralizzazione politica anziché su istituzioni internazionali e sulla “armonizzazione del mercato”;
• sulla promozione di investimenti autonomi anziché sulle pianificazioni statali ed economico-energetiche degli investimenti.

Un nuovo modello di sviluppo economico

Nonostante il suo dominio, il sistema energetico fossile-nucleare globale si è rivelato incapace di rifornire di energia tutta la popolazione del pianeta. Un terzo dell’umanità è rimasto escluso dal suo approvvigionamento. Il numero degli esclusi aumenterà anziché diminuire, e con essi aumenteranno le sproporzioni nello sviluppo economico mondiale. Sproporzionato è anche il rapporto nei paesi industrializzati fra i centri economici e gli spazi rurali, che sono diventati dipendenti dagli eccessi dei centri. In questo modo, prima o poi, ogni società perderà il terreno che la sostiene.
Né la disoccupazione in crescita nella maggior parte dei paesi industrializzati né l’impoverimento nel Terzo mondo potranno essere superati senza un nuovo rilancio del valore dell’agricoltura, che può venire solo dall’attivazione della risorsa rinnovabile della biomassa, da una gestione delle risorse naturali che rappresenteranno la materia prima dell’industria del domani.
È ormai certo che seguire lo sviluppo della società industrializzata è la strada sbagliata quando si vuole intraprendere la via politica della cooperazione e dello sviluppo. Pur trattandosi di un fatto acquisito, non sono state tratte le conseguenze necessarie; questo perché in un’economia mondiale sempre più globalizzata non è possibile seguire due modelli di sviluppo economico diversi. Questa contraddizione può essere superata con il riorientamento alle energie rinnovabili nei paesi industrializzati e in via di sviluppo.