uranio nemico invisibile tra noi
- Subject: uranio nemico invisibile tra noi
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 27 Jun 2006 06:31:07 +0200
da lanuovaecologia.it Lunedì 19 Giugno 2006 SALUTE| La gestione dello scarto
radioattivo
Uranio, nemico invisibile Si utilizza in guerra ma anche per costruire strumenti medici, aeroplani e collari per cani. Stoccate nel mondo 1,2 milioni di tonnellate Chi pensa che l’uranio impoverito si trovi soltanto negli scenari di guerra dovrà cambiare idea. Il famigerato Du (depleted uranium) è fra noi: dalle strumentazioni mediche ai contrappesi di alcuni aeroplani, fino ai brevetti per mazze da golf e ai collari per cani. E' l'argomento dell'articolo pubblicato su "La Nuova Ecologia" di giugno che punta l'indice proprio sul destino delle scorie radioattive. Il Du (depleted uranium) è il maggiore scarto dello sfruttamento del nucleare per la produzione di energia elettrica. Si calcola che conservati nei siti di stoccaggio di tutto il mondo ce ne siano 1,2 milioni di tonnellate . Una cifra destinata a crescere, dato che il processo di arricchimento volto a ottenere il combustile produce un residuo di uranio impoverito sette volte superiore a quello dell’uranio arricchito ottenuto a fine ciclo. Ecco perché assieme alla questione dei costi e della sicurezza, la gestione dei rifiuti radioattivi è uno dei nervi scoperti del partito del nucleare. Che ha tutto l’interesse a sperimentare nuove forme di “smaltimento” e a trovare impieghi alternativi, anche in campo non militare. Ma a quale costo? Che la gestione delle scorie sia una delle principali criticità del ricorso all’energia nucleare appare evidente se si considerano i costi, economici e ambientali, dell’opzione attualmente più usata: lo stoccaggio in siti costruiti ad hoc. Secondo i dati del Department of energy (Doe) statunitense stoccare un chilogrammo di uranio impoverito in forma solida costa 4,57 dollari. Ma altre stime della Nuclear energy agency dell’Ocse calcolano un prezzo che può superare i 100 dollari per chilogrammo: se si pensa che soltanto negli Stati Uniti sono presenti 480.000 tonnellate di scorie il conto è presto fatto. di Mariangela Paone Chi pensa che l’uranio impoverito si trova soltanto negli
scenari di guerra dovrà cambiare idea. Il famigerato Du (depleted uranium) è fra noi: dalle
strumentazioni mediche ai contrappesi di alcuni aeroplani, fino ai brevetti per
mazze da golf e ai collari per cani. Il Du è il maggiore scarto dello sfruttamento del
nucleare per la produzione di energia elettrica. Si calcola che conservati nei
siti di stoccaggio di tutto il mondo ce ne siano 1,2 milioni di tonnellate (vedi
tabella). Una cifra destinata a crescere, dato che il processo di arricchimento
volto a ottenere il combustile produce un residuo di uranio impoverito sette
volte superiore a quello dell’uranio arricchito ottenuto a fine ciclo. Ecco
perché assieme alla questione dei costi e della sicurezza, la gestione dei
rifiuti radioattivi è uno dei nervi scoperti del partito del nucleare. Che ha
tutto l’interesse a sperimentare
nuove forme di “smaltimento” e a trovare impieghi alternativi, anche in campo
non militare. Ma a quale costo? Caro stoccaggio
Che la gestione delle scorie sia una delle principali
criticità del ricorso all’energia nucleare appare evidente se si considerano i
costi, economici e ambientali, dell’opzione attualmente più usata: lo stoccaggio
in siti costruiti ad hoc. Secondo i dati del Department of energy (Doe)
statunitense stoccare un chilogrammo di uranio impoverito in forma solida costa
4,57 dollari. Ma altre stime della Nuclear energy agency dell’Ocse calcolano un
prezzo che può superare i 100 dollari per chilogrammo: se si pensa che soltanto
negli Stati Uniti sono presenti 480.000 tonnellate di scorie il conto è presto
fatto. La World nuclear association, che riunisce le associazioni e le
organizzazioni favorevoli all’uso del nucleare per scopi pacifici, da parte sua
minimizza. In un documento pubblicato nel febbraio scorso sostiene che la
gestione dei rifiuti delle centrali nucleari incide per il 5% sul costo totale
dell’energia prodotta. Ma a sentire i ricercatori dell’Anl, il laboratorio del
Doe gestito dall’università di Chicago, lo stoccaggio non soltanto rappresenta
un costo considerevole ma non garantisce il permanere di adeguati livelli di
sicurezza nel lungo periodo. Presentando uno studio sulla gestione delle scorie,
gli scienziati dell’Anl spiegano: «Dal momento che le condizioni di stoccaggio
sono peggiorate negli ultimi anni è necessario un programma per la ricostruzione
dei siti e per la manutenzione, il controllo e lo spostamento dei cilindri (in cui sono immagazzinate le scorie,
ndr). In un contesto più ampio,
il Doe ha bisogno di un metodo di valutazione dei rischi e dei costi anche per
interagire con le agenzie di controllo e il pubblico». Lo stesso Doe, a giugno
2005, ha comminato una multa di 55.000 dollari alla Safety and ecology
corporation, la società che gestisce il sito di Postsmouth, in Ohio, per le
ritorsioni commesse ai danni di operai che lamentavano problemi di
sicurezza. Riarricchire l’impoverito
Una delle opzioni più “gradite” per risolvere la
questione delle scorie è il loro reinserimento nel ciclo delle centrali nucleari
attraverso il riarricchimento. A questa seconda possibilità negli ultimi anni
hanno fatto ricorso le società europee Urenco e Cogema, che hanno impianti di
arricchimento in Francia, Gran Bretagna, Germania e Paesi Bassi, e che hanno
inviato le proprie scorie di uranio impoverito in Russia per il loro
riprocessamento. Secondo un rapporto commissionato dall’organizzazione russa
Ecodefense, datato agosto 2005, su 14.000 tonnellate di Du inviate in Russia, le
società europee hanno riavuto indietro 2.330 tonnellate di materiale
utilizzabile per le proprie attività. Il dato va letto anche in relazione ai
costi del riarricchimento, di deposito e trasporto. Una valutazione in merito la
fornisce Massimo Scalia, docente di Fisica ambientale all’università La Sapienza
di Roma: «Il tasso di recupero dell’uranio rapportato al costo unitario
dell’arricchimento raggiunge solo il 60% del valore che renderebbe economica
l’operazione di riarricchimento» spiega. Senza contare che il processo produce
nuovamente delle “code” di uranio ulteriormente impoverito. In definitiva,
secondo Scalia, «sia per la sistemazione di lungo termine che per lo
smaltimento, la soluzione del riarricchimento appare sostanzialmente marginale e
densa di incognite ambientali e sanitarie». La terza via
Sarà per questo che gli Usa stanno per sperimentare anche
un’altra via. Nel 2007 è prevista la fine dei lavori per la realizzazione di un
megasito di conversione dell’uranio impoverito a Paducah, in Kentucky. Qui
l’esafluoruro di uranio, la forma gassosa in cui attualmente sono conservati
gran parte degli stock di uranio impoverito presenti negli Usa, verrà
trasformato in ossido di uranio, una forma solida e più stabile. Sarà il primo
risultato concreto di una risoluzione operativa del Doe dell’agosto 1999, in cui
l’istituto governativo raccomandava di convertire tempestivamente in ossido
d’uranio le scorie conservate in forma gassosa. Il testo dichiara espressamente
l’intenzione di utilizzare «quanto più possibile l’ossido di uranio impoverito
per tutti i possibili usi». Inoltre il Dipartimento prospettava una conversione
in metallo «ma solo nel caso in cui fossero disponibili usi per questo
prodotto». In entrambi i casi, nel testo si faceva riferimento ai possibili usi
civili dell’uranio impoverito. A questo scopo, nello stesso periodo, il governo
ha avviato un programma di ricerca sulle applicazioni potenziali, ed
economicamente vantaggiose, delle “scomode” scorie, partendo dagli usi già
esistenti. E il riferimento non è solo all’ampio e noto utilizzo nell’industria
bellica, per la realizzazioni di munizioni e il rafforzamento di carri armati e
tank. La scoria
riciclata «Dal 1985 la nostra azienda ha convertito oltre sei
milioni di pound di uranio impoverito in 70mila prodotti sicuri». Recita così
l’home page del sito di una delle aziende che realizzano prodotti contenenti
uranio impoverito, la Manufacturing sciences corporation, società controllata
dalla britannica Bng, con sede a Oak Ridge, Tennessee. Sei milioni di pound
corrispondono a circa 2.721 tonnellate. L’elenco delle applicazioni lo fornisce
la stessa società. Si va dai componenti per strumenti scientifici alle
schermature per le radiazioni nucleari, dalle coperture per container a varie
strumentazioni mediche, dall’impiego in leghe metalliche alla realizzazioni di
contrappesi. Sono solo alcuni degli usi consentiti per l’impiego di materiali
derivati dall’uranio impoverito. Allo European patent office, l’ufficio dei brevetti
europeo che ha sede all’Aja, sono registrati oltre 800 brevetti che utilizzano
l’uranio impoverito, soprattutto per uso civile, alcuni dei quali depositati da
meno di vent’anni e quindi ancora potenzialmente validi. L’utilizzo più
consistente riguarda l’ambito dell’industria nucleare, della medicina e
dell’industria petrolifera. «L’interesse per l’utilizzo dell’uranio impoverito a
questi scopi – spiega Scalia – è facilmente comprensibile se si pensa che
l’uranio depleto metallico è un materiale a basso costo e ad alta densità (la
stessa del costoso tungsteno), facilmente disponibile: ideale, quindi, dal punto
di vista economico, per ogni applicazione in cui la limitatezza degli spazi a
disposizione impedisca il ricorso a materiali meno densi». È il caso dei
contrappesi utilizzati per molto tempo dalle maggiori corporation aeronautiche
per la costruzione di mezzi destinati all’aviazione militare e civile. «Ma –
aggiunge Scalia – c’è anche un inventario di un centinaio di invenzioni che
riguardano i campi più disparati, la quasi totalità dei quali configurano
applicazioni per strumenti, dispositivi e utensili della nostra vita
quotidiana». Oltre agli usi
industriali – come semiconduttori e catalizzatori chimici – nell’elenco dei
prodotti brevettati figurano infatti anche oggetti di uso comune come freccette
per il gioco dei dardi, mazze da golf, attrezzature per la pesca sportiva,
collari per cani, respiratori subacquei, placche antiscasso e persino pannelli
insonorizzatori per abitazioni. Incidenti collaterali
Secondo gli studi finora realizzati, come quello condotto
nel 2001 da Maria Betti dell’Istituto di ricerca europeo per gli elementi
transuranici che ha sede a Karlsruhe, in Germania, i rischi derivanti da questi
utilizzi non riguardano tanto l’esposizione alle radiazioni quanto le
conseguenze di imprevedibili incidenti. I più significativi e di maggiore
impatto riguardano lo schianto in aree abitate di aerei contenenti contrappesi
in uranio (vedi box). Ma negli ultimi anni altri incidenti hanno riguardato
oggetti contenenti uranio impoverito. Un’ampia rassegna è offerta dal sito della
Wise (World information service on energy), il network internazionale con sede
ad Amsterdam che raccoglie e diffonde notizie su tutto ciò che riguarda
l’utilizzo del nucleare, a scopi pacifici o militari. La notizia più recente
risale al febbraio 2004, ed è stata ripresa dal quotidiano francese Le Figaro. Quattro schermature per
radiazioni contenenti Du, scambiate per lastre di piombo, sono state
inavvertitamente fuse in una fonderia della Budin company ad Aubervillers,
addetta appunto al recupero del piombo. Il 19 maggio 2003, la società che aveva
acquistato i materiali recuperati ne accertò la radioattività, scoprendo la vera
natura dei componenti. I lavoratori della Budin avevano dunque lavorato in
ambiente contaminato per oltre sei mesi. Sempre in Francia è stata scoperta la
presenza di uranio impoverito, in una concentrazione del 10%, nelle polveri
utilizzate per la colorazione degli smalti. Le polveri erano liberamente
acquistabili presso la ditta produttrice e venivano vendute senza alcuna
indicazione sui possibili rischi. Sono alcuni esempi di quella che Scalia definisce «la
possibile invasione silenziosa» di componenti di uranio impoverito negli oggetti
più disparati. Proprio per questo, conclude il fisico, «vanno predisposti in
tempo utile strumenti legislativi che, come minimo, obblighino i produttori e i
distributori a evidenziare la presenza di materiali tossici e radioattivi, anche
se debolmente come nel caso dell’uranio impoverito».
Box/Voli radioattiviFino alla metà degli anni Ottanta, l’uranio impoverito è
stato utilizzato per realizzare contrappesi per aerei ed elicotteri. Secondo
l’Ente aviazione civile sono stati costruiti 551 Boeing 747 e 450 Douglas Dc10
con questi contrappesi. Anche il modello Lockeed Tristrar e alcuni tipi di
elicottero contengono uranio impoverito. Il quantitativo stipato in un Boeing
747 era stimato, a seconda dei modelli, fra i 370 e i 500 chilogrammi. La
“scoperta” dei pericoli legati all’utilizzo del Du in quest’ambito è avvenuta il
4 ottobre 1992, quando un Boeing 747 della El Al si schiantò a Bijilmermeer, un
quartiere popolare di Amsterdam. Oltre alle vittime causate immediatamente
dall’impatto, l’incidente ha lasciato una pesante eredità per gli abitanti del
quartiere. Dei 288 kg di Du contenuti nell’aereo ne sono stati recuperati solo
130. I vigili del fuoco che accorsero per spegnere l’incidente non erano stati
avvertiti della presenza di materiale radioattivo e alcuni di loro si sono
ammalati. Secondo la fondazione Laka di Amsterdam, successivamente migliaia di
persone hanno manifestato sintomi di malattie legate al sistema immunitario.
Il 22 dicembre 1999 un jumbo della Korean airlines precipita nei pressi dell’aeroporto di Stansted, in Inghilterra. Il velivolo conteneva 435 kg di uranio impoverito. Dopo questi incidenti il Du è stato via via sostituito dal tungsteno nella costruzione dei contrappesi e in alcuni dei velivoli già in uso. Nel 2000 la statunitense Nuclear regulatory commissione (Nrc) ha ricevuto una petizione con la richiesta di rafforzare le regole per il controllo dei contrappesi in uranio impoverito. La risposta dell’Nrc è arrivata il 6 gennaio 2005: «Le norme in vigore assicurano già adeguati livelli di sicurezza, sia per quanto riguarda i casi di incidenti che lo stoccaggio dei contrappesi presenti nei velivoli dismessi». |
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