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la seduzione delle merci
- Subject: la seduzione delle merci
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 26 Jun 2006 06:20:02 +0200
Escono in Francia per l’editore Gallimard le opere complete del pensatore che aveva approfondito l’analisi marxiana del feticismo. A lui risale la fortunata categoria della “società dello spettacolo” La seduzione delle merci, Debord resta attuale Mario Pezzella Nel pensiero di Guy Debord (di cui escono ora in Francia le Oeuvres, quasi duemila pagine, presso Gallimard), la “società dello spettacolo” non è solo il mondo dello starsystem o della televisione, ma l’intero modo di produzione capitalistico nella sua fase attuale. La Società dello spettacolo - l’opera maggiore di Debord - sviluppa in modo originale la riflessione sul feticismo delle merci, compiuta da Marx. Per trasformarsi in danaro la merce deve rivestirsi di un corpo illusorio e seducente, deve rendersi visibile e appetibile come immagine. Nella moda, nella pubblicità, in ogni esposizione della merce, il desiderio del consumatore è sollecitato da immagini incorporee che penetrano nella profondità istintuale della sua vita. Sempre meno conta il valore d’uso o la qualità specifica della merce prodotta. La merce viene venduta solo se è in primo luogo immagine, capace di destare fantasmi, sogni, mitologie. La legge fondamentale della società dello spettacolo si potrebbe formulare in questo modo: quanto più l’esperienza deperisce e si degrada sul piano reale, tanto più la sua messa in scena spettacolare ne offre un surrogato seducente e potente. Ed anche: quanto più un fenomeno è minaccioso per il potere esistente, tanto più viene rappresentato come effimero, contingente, già noto. Ovunque sia possibile, occorre mostrare un universo continuo, senza strappi, lacerazioni, fessure. Più la qualità reale deperisce, più si incrementa lo splendore apparente della sua immagine, che così nasconde la nullificazione effettiva dell’esperienza. La birra ha perso il suo sapore, diceva Debord, e il sapore è in effetti la qualità distintiva della birra; esso non c’è più, ma tanto più biondo è il suo colore nell’immagine pubblicitaria, tanto più ribollente la schiuma sulle labbra, tanto più attraente il mare azzurro dello sfondo. Se non c’è più il sapore, tanto più forte è il ricordo o l’evocazione del sapore, che progressivamente sostituisce la percezione reale. La forma di merce simula l’intensità corporea, e rende irrilevante e superflua l’esperienza effettiva della sua qualità. La società dello spettacolo pratica un’inversione del vivo nel morto, in ogni ambito della vita. Essa non si limita a ribadire l’esistente e a ripeterlo in modo coattivo e incessante, come l’industria culturale nella concezione di Adorno; ma condiziona il modo stesso di percepire se stessi e il mondo. Come in Foucault, il potere non ha natura semplicemente repressiva, non si limita a confermare l’esistente, ma produce un ordine e un linguaggio, entro cui si esplica poi ogni vita possibile. I fantasmi della merce occludono il vuoto affiorante nella vita, il suo smarrimento di fronte alla perdita di relazioni corporee, sessuate, emotive, e lo rendono tollerabile. Si delinea così una forma di immaginario che (a differenza di quello descritto da Sartre) non progetta di trascendere l’esistente, ma di rovesciarlo specularmente: «Là dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini divengono degli esseri reali, e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico» (Debord). Non basta dire che esse confermano ciò che esiste: in realtà lo sostituiscono, accompagnando il suo processo di sparizione. Lo spettacolo non è una “sovrastruttura” - nel tradizionale linguaggio marxista - e neanche una “simulazione” (Baudrillard). Esso è allo stesso tempo una forma dell’immaginario, una tecnica di produzione, un motore della circolazione del capitale, e queste cose indissolubilmente insieme. Nella sua opera maggiore, Debord aveva distinto una società spettacolare diffusa, segnata dal dominio della merce, e una società spettacolare concentrata, ove invece prevalgono le forme del dominio totalitario (il fascismo e lo stalinismo). Nei successivi Commentari alla società dello spettacolo introduce una terza forma, lo spettacolare integrato, che ha un particolare interesse nel momento politico attuale. Essa realizza un connubio delle due forme precedentemente indagate, e introduce elementi autoritari nella società “democratica” delle merci. Lo spettacolare “diffuso” viene “integrato” da centri decisionali ufficiosi, e la loro attività in ombra costituisce ora lo sfondo della celebrazione pubblica dello spettacolo. Associazioni parallele e servizi più o meno segreti si dispongono accanto alle istituzioni, alle leggi e agli ordini professionali visibili. L’apparato giuridico e istituzionale resta apparentemente intatto: ma le decisioni reali provengono dai poteri paralleli. Non si tratta solo di interventi clamorosi e violenti orchestrati da servizi “deviati”, ma anche di misure che riguardano l’ordinaria quotidianità. I concorsi pubblici sono sostituiti da riunioni preliminari segrete; la libertà di stampa viene controllata prima di ogni censura da comitati editoriali, che scelgono i giornalisti affidabili; i reati finanziari sono di fatto depenalizzati, anche se le leggi che dovrebbero punirli restano ufficilmente in vigore. Si realizza così una divergenza sistematica tra la regola pubblicamente ammessa e il centro decisionale occulto: cinismo e ipocrisia oggettiva divengono comportamenti sociali indispensabili per orientarsi in questa sorta di doppio comando sociale permanente. Nei Commentari, Debord indica la P2 italiana e le sue diramazioni come il prototipo sperimentale di un simile sistema di comando. Chi resta legato ingenuamente all’apparenza pubblica dello spettacolo (e per es. si oppone a una decisione di fatto in nome di una norma del diritto) viene piegato, comprato, intimidito e - nei casi estremi e più gravi - eliminato. La mafia diviene - secondo Debord - un modello attuale di funzionamento associativo segreto: non dunque una sopravvivenza arcaica, ma un potere a pieno titolo esistente entro lo “spettacolare integrato”. La mafia scorre - per così dire - accanto al simulacro del potere pubblico, lasciandolo il più possibile intatto, colpendo le persone che volessero farlo funzionare oltre un livello semplicemente formale. Il suo modello è seguito dai centri decisionali che ormai si affiancano ai poteri formali dello stato: «La mafia trova dappertutto le condizioni migliori sul terreno della società moderna» (Debord). I poteri paralleli e i servizi segreti proliferano comunque in una molteplicità caotica, producendo eventi altrimenti inspiegabili (aerei che scoppiano misteriosamente in volo, incidenti ripetuti e sincronici, faide di cui non si sospetta l’origine): dopo tutto, essi non procedono secondo un piano unificato e omogeneo. Svalutato da codici “ufficiosi”, il diritto pubblico agisce come una semplice messa in scena. «Nello spettacolare integrato le leggi dormono». Prevale così la cooptazione e l’affiliazione diretta entro gli organismi paralleli, e cioè un sistema di dipendenza personale, non dichiarato pubblicamente, che ha le sue regole e i suoi codici non scritti: la cui semplice conoscenza è già un segno di familiarità e di possibile accettazione entro le elites del potere. Queste regole - a loro modo inflessibili - segnano il tramonto della “legge scritta” e impongono «ovunque la formazione di nuovi legami personali di dipendenza e di protezione». Contro il dominio dello spettacolo, Debord ha sperimentato forme critiche di linguaggio e di azione politica, sia scritto che cinematografico, di cui il volume offre un’ampia documentazione: il détournement, la “situazione costruita”, la rivalutazione dell’esperienza politica consiliarista. Le situazioni costruite non erano banali happening. Esse avrebbero dovuto modificare consapevolmente l’esperienza dello spazio e del tempo, liberandoli dalla reificazione: «E’ facile vedere a quale punto è legato all’alienazione del vecchio mondo il principio stesso di spettacolo: il non intervento. Si vede, al contrario, come le più valide ricerche rivoluzionarie nella cultura hanno cercato di spezzare l’identificazione psicologica dello spettatore con l’eroe, per trascinare questo spettatore all’attività... La situazione è così fatta per essere vissuta dai suoi costruttori». Con un procedimento specularmente rovesciato rispetto a quello dell’alienazione spettacolare, gli oggetti, gli ambienti, i ritmi temporali, dovevano sciogliersi e risolversi in relazioni tra uomini. La situazione costruita è destinata ad accogliere un evento che favorisca l’attività condivisa dei partecipanti. Possono essere situazioni teatrali, architettoniche, estetiche in senso lato; ma anche direttamente politiche, come le occupazioni durante il maggio 1968. Nella durata dell’evento, il tempo cronologico è sospeso, a favore di un tempo vissuto e intensivo, che lega gli attori all’esperienza comune; questa sospensione - secondo i situazionisti - era una prefigurazione della sospensione rivoluzionaria del tempo storico. La teoria situazionista del linguaggio ruota intorno al concetto, difficilmente traducibile, di détournement. Il détournement è qualcosa di più di una citazione: è lo “spiazzamento” di un frammento della tradizione culturale, la sua “estrazione” dalla storia dei vincitori. Il détournement scompone in frammenti l’opera originaria, dissolve la sua totalità, la riduce a rovina: è la rivelazione del perturbante nel familiare, della storia critica in quella monumentale, del possibile in ciò che era considerato necessario. In tal senso è una riappropriazione critica della storia e del linguaggio. Se la citazione ancora rispetta - almeno in apparenza - il testo d’origine, il détournement ne disloca e ritocca gli elementi interni. Esso può perfino invertire il senso dell’originale, rivelando in esso un significato latente o dimenticato: è un atto di rapina rivoluzionaria nel deposito della tradizione. Forse uno dei più celebri détournements di Debord è quello ricavato da un celebre passo di Hegel, a indicare lo statuto complessivo della società spettacolare: «Il vero è un momento del falso». |
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