[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
FW: decrescita
- Subject: FW: decrescita
- From: "giacomo catrame" <giacomocatrame at hotmail.com>
- Date: Wed, 19 Apr 2006 17:44:10 +0200
From: "CUB Scuola Torino" <torino at cubscuola.it>To: "Capello Stefano" <giacomocatrame at hotmail.com>,"Saudino Matteo" <msaudino at libero.it>CC: <torino at cubscuola.it>,"Scarinzi Cosimo" <c_scarinzi at virgilio.it> Subject: decrescita Date: Thu, 13 Apr 2006 11:24:05 +0200 testo di Angelo Barbieri CUB Scuola Enna _____ Capita che anche in ambito libertario o antagonista le discussioni sull’economia si concludano con una sorta di auspicio per l’avvento di unafase neokeynesiana e il ripristino del Wefare state. Di fronte alla barberieattuale è questa una posizione che si riconosce senza dubbio riformista, ma che costituirebbe il segnale minimo e indispensabile di “civiltà” e permetterebbe quelle condizioni da cui far rampollare un nuovo ciclo di lotte. Tuttavia, è proprio perché oggi si è raggiunto un picco di barbarieche è necessario aprire orizzonti e analisi più vasti, più in profondità. La proposta neokeynesiana presta il fianco ad alcuni importanti equivoci. Primoritenere che in qualche misura l’economia sia neutra, nel senso che vi sono delle leggi o comunque dei meccanismi che maneggiati in un modo o in un altro diano dei risultati attesi. Secondo cadere in una sorta di determinismo marxista per cui solo un capitalismo maturo può innescare quelle contraddizioni e quella lotta di classe che porteranno al suo superamento. Terzo, in assenza di forti lotte sociali non è immaginabile la ripresa di un discorso keynesiano, allora tanto vale aspirare a qualcosa di più del ritorno dello Stato sociale. Centrale nella comprensione dell’attuale momento storico e delle lotte da potere innescare ritengo sia la critica dell’economia e dello sviluppo. Su questo punto sono utili le riflessioni di Serge Latouche che nel suo ultimo“ Come sopravvivere allo sviluppo” conduce una lucida critica al concetto di sviluppo economico. Tradizionalmente la teoria economica ha sempre distintoi termini crescita e sviluppo, indicando col primo un avanzamento dei soli fattori economici e col secondo un più diffuso benessere sociale. Recentemente coloro che criticano un’impostazione prettamente economicista hanno provato a riprendere la parola sviluppo legandola a qualificazioni che dovrebbero sottrarla all’impronta negativa dell’economico tout court; così sono nate le espressioni sviluppo sostenibile, sviluppo locale, sviluppo umano, ecc. Se poi guardiamo all’attualità politica italiana e siciliana in questa fase preelettorale, a destra come a sinistra, la parola sviluppo senza alcuna aggiunta è la più gettonata. In realtà, come scrive Latouche, : “ il contenuto implicito o esplicito dello sviluppo è la crescita economica, l’accumulazione del capitale con tutti gli effetti positivi e negativi che conosciamo:concorrenza senza pietà, crescita senza limiti delle disuguaglianze, saccheggio sfrenato della natura. […] Lo sviluppo realmente esistente può essere definito come un processo che porta a mercificare i rapporti tra gli uomini e tra gli uomini e la natura. Lo scopo è sfruttare, valorizzare, ricavare profitto dalle risorse umane e naturali.”. Ora cos’altro significano le parole d’ordine di ricerca, innovazione, competitività, tanto care alla sinistra moderata o alternativa italiana per risollevare le sorti della nostra economia, se non perseguire uno sviluppo come quello descritto da Latouche? Si ha voglia ad insistere che lo sviluppo deve essere sostenibile, cioè armonizzabile con la natura ( non con gli uomini!), resta comunque il fatto che lo sviluppo implica crescita economica, proliferare di grandi gruppi economici il cui unico scopo è ottenere profitto a qualsiasi costo, concorrenza e competizione traeconomie nazionali o regionali ( battere la Cina sul piano dell’innovazione,migliorare la qualità delle arance siciliane per superare la concorrenza delle arance spagnole e così via discorrendo).Smontare “l’impostura sviluppista” conduce a pensare una società alternativache da molte parti viene indicata come una società della decrescita. Unasocietà della decrescita è innanzitutto una società che riduce drasticamente il livello di produzione materiale ( nocivo e non) e che punta al riuso e alriciclo. Tuttavia non è semplicemente una società nella quale si produce meno o addirittura austera, ma una società che privilegia relazioni sociali e convivialità e che, come ancora Latouche precisa, “ non può essere un impossibile ritorno al passato; inoltre, non può prendere la forma di un modello unico. Il doposviluppo è necessariamente plurale. Si tratta della ricerca dei modi di realizzazione collettiva nei quali non viene privilegiato un benessere materiale distruttivo dell’ambiente e dei legami sociali. L’obiettivo di una buona qualità della vita si declina in molteplici forme a seconda dei contesti.”. In ogni caso il dibattito sulla decrescita è avviato anche in Italia, il movimento anarchico e libertario ha necessità di dire la sua. Per motivi di spazio e in attesa di ulteriori approfondimenti e momenti di discussione volevo qui indicare schematicamente alcuni punti, ciascuno dei quali richiede analisi più dettagliate. Primo, una società della decrescita è urgente non soltanto per l’emergenza ecologica, ma anche per assicurare una giustizia sociale su scala veramente globale. Secondo, una società della decrescita è impensabile dentro la società del capitale. “ Per concepire la società della decrescita serena e accedervi, è necessario uscire, senza mezzi termini, dall’economia. Questo deve chiaramente comportare una Aufhebung ( rinuncia, abolizione, superamento) della proprietà privata dei mezzi di produzione e dell’accumulazione illimitata del capitale”. Terzo la decrescita di conseguenza non può essere intesa come una piccola nicchia ecologista dentro gli attuali rapporti di mercato, appannaggio di una élite consapevole senza progetto politico complessivo e nemmeno una nuova versione concertativa nei rapporti tra Stato, padronato e sindacati. Quarto, è necessario avviare da subito un’operazione di disinquinamento o, per riprendere sempre Latouche, di “decolonizzazione dell’immaginario” permettere a nudo gli inganni dello sviluppo e immettere germi di doposviluppo.Quinto, una società della decrescita attiene a quella coerenza mezzi-fini che è fondamentale in un reale processo di cambiamento sociale e che da sempre distingue il pensiero anarchico. Sesto, è possibile e praticabile oggi un passaggio alla società della decrescita? Nessuno ha, come si dice, la palla di vetro e i movimenti nonscaturiscono da un auspicio,ma lavorare nella direzione di una società delladecrescita forse è più semplice di quanto si creda. Ad esempio promuovere reti di scambio tra produttori e consumatori locali che possano prefigurare una parziale fuoriuscita dal sistema mercantile. E’ chiaro che questo momento locale deve essere concepito come un percorso che si deve saldare con rivendicazioni diciamo così più generali, quali possono essere per fare qualche esempio la richiesta di una forte riduzione dell’orario di lavoro o dell’iternalizzazione dei costi sociali da parte delle imprese. Insomma si tratta di mettersi concretamente sulla strada della decrescita.
_________________________________________________________________Personalizza MSN Messenger con sfondi e fotografie! http://www.ilovemessenger.msn.it/
- Prev by Date: Uscita nuovo numero A-sud.org, rivista di Economia, Cultura e Societa' dei popoli del mediterraneo
- Next by Date: Newsletter del 20/4/06 - n. 2
- Previous by thread: Uscita nuovo numero A-sud.org, rivista di Economia, Cultura e Societa' dei popoli del mediterraneo
- Next by thread: Newsletter del 20/4/06 - n. 2
- Indice: