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in crisi i "padroni dell'acqua"
- Subject: in crisi i "padroni dell'acqua"
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 28 Mar 2006 06:34:58 +0200
dal manifesto
22 Marzo 2006 La crisi dei «padroni dell'acqua» Si è chiuso a Città del Messico il IV forum mondiale. La ribellione dei paesi sudamericani mette in crisi il modello neoliberista Sull'altro fronte, il forum alternativo chiede compatto la gestione pubblica delle risorse idriche. E progetta mobilitazioni GIANNI PROIETTIS CITTA' DEL MESSICO L'acqua è un bene comune, un diritto umano universale e inalienabile o è una necessità che va soddisfatta mediante un servizio, soggetto quindi alle leggi del mercato? Questo dilemma, che ci poniamo raramente quando apriamo un rubinetto in casa nostra, ha mobilitato decine di migliaia di persone in questi giorni a Città del Messico. Dalla sua soluzione, tutt'altro che filosofica, dipende il destino di una parte consistente dell'umanità e dell'intero pianeta. Il 4° Forum mondiale dell'acqua, che ha riunito governi, organismi internazionali e imprese, ha mostrato che i «padroni dell'acqua» giocano in difesa e che il progetto neoliberale di accaparramento e mercificazione delle risorse idriche mondiali, per quanto avanzato, non avrà vita facile. Le Jornadas en defensa del agua, animate negli stessi giorni da accademici, ecologisti e organizzazioni della società civile, hanno annunciato una dura battaglia contro le multinazionali del settore e i governi e gli organismi internazionali che le assecondano. La dichiarazione finale del foro alternativo, il più qualificato dei due a livello scientifico e di autorità morale, è stata resa pubblica domenica scorsa e crea un fronte comune, a cui partecipano attivisti e organizzazioni di più di 40 paesi, per la difesa del diritto all'acqua. Secondo l'italiano Renato Di Nicola, che ha partecipato alla stesura del documento, «la dichiarazione è frutto di un processo democratico, che ha raccolto tutti gli interventi di questi giorni, in contrasto con il forum ufficiale, che non presentava una struttura partecipativa». Intitolata El derecho al agua es posible: gestión pública participativa, la dichiarazione del foro alternativo presenta una piattaforma unitaria che si articolerà, a partire da settembre, in una serie di iniziative locali dirette alla costruzione di un movimento mondiale. Il progetto prevede la creazione di un quadro normativo internazionale che garantisca la gestione pubblica delle risorse idriche, una serie di campagne contro l'appropriazione e la mercificazione dell'acqua oltre alla moltiplicazione dei tribunali dell'acqua in tutti i paesi. Un altro obiettivo consiste nell'obbligare imprese e governi a riparare tutti i danni alla salute umana e agli ecosistemi che provocano e a favorire tecnologie pulite, impianti di potabilizzazione e riciclaggio così come campagne informative sull'uso appropriato dell'acqua. Molto più diviso e confuso del fronte altermundista, il foro ufficiale ha avuto serie difficoltà per arrivare alla redazione di un documento che accontentasse tutti i partecipanti e si è trovato a fronteggiare l'imprevista opposizione di alcuni paesi - fra cui Francia, Spagna, Venezuela e Messico - capeggiata dal nuovo governo boliviano. Abel Mamani, ministro dell'acqua di Bolivia, si è rifiutato di firmare qualsiasi documento che non menzioni chiaramente l'acqua come un «diritto umano. La Bolivia, di fatto, ha al suo attivo una delle poche battaglie vincenti nella guerra dell'acqua. Nel 1999, il governo boliviano, seguendo le ricette della Banca Mondiale, aveva concesso all'impresa Bechtel, un gigante del settore, la gestione e la distribuzione dell'acqua nella città di Cochabamba. Questa concessione non solo violentava le forme tradizionali di distribuzione, ma espropriava i pozzi, sia privati che comunitari, e incrementava le tariffe. Una vera e propria sollevazione cittadina, nell'aprile 2000, obbligò il governo a rescindere il contratto. Con una contromossa che la dice lunga sul codice di comportamento delle multinazionali, la Bechtel chiese allora un indennizzo di 25 milioni di dollari per i mancati profitti. Dopo un lungo iter giudiziario, la richiesta dell'impresa è stata finalmente bocciata in sede legale. Dopo la grande manifestazione di giovedì scorso a Città del Messico, la società civile ha fatto sentire ancora la sua voce: decine di ecologisti e di rappresentanti di ong hanno fatto irruzione domenica nel Centro Banamex, che ospitava il foro ufficiale, gridando slogan contro la privatizzazione e la mercificazione dell'acqua. I manifestanti agitavano bottiglie di plastica vuote con dentro delle monete. Loïc Fauchon, presidente del Consiglio Mondiale dell'Acqua, un organismo privato che raggruppa le maggiori multinazionali del settore, ha tentato di spostare il problema, mostrando la strategia di ripiego dei neoliberisti. «Oggi il problema principale - ha affermato - è il cattivo uso della risorsa e non il conflitto sul fatto che l'acqua deve stare in mani private o pubbliche». QUANDO L'ACQUA E' UN PROBLEMA MORTI DI SETE Nel mondo sono oltre un miliardo e cento milioni le persone che non dispongono di acqua potabile, tra questi 400 milioni sono bambini africani. E 34 mila coloro che ogni giorno muoiono non avendo l'accesso a questo bene essenziale. Oltre due miliardi e mezzo non dispongono nemmeno dei più comuni servizi igienico-sanitari. Le malattie legate alla cattiva qualità o alla mancanza di acqua uccidono annualmente oltre 8 milioni di esseri umani. Nell'Africa sub-sahariana la situazione peggiore: il 42% della popolazione non può bere acqua potabile e solo il 36% dispone di un gabinetto. In Asia meridionale e orientale i servizi igienico-sanitari sono il problema principale di sopravvivenza. BAMBINI A RISCHIO Sono però i bambini a pagare il prezzo più alto. Le precarie condizioni igieniche e le malattie legate al consumo d'acqua contaminata, rivela l'Unicef, uccidono più bambini sotto i cinque anni di qualsiasi altra malattia: 4.500 ogni giorno. ITALIANI SCIALACQUONI Oltre 50 milioni sono le persone che rischiano quotidianamente la vita abitando in territori ricchi di falde acquifere inquinate e che vengono a contatto con pericolose sostanze, come l'arsenico e il fluoro. Il consumo di acqua potabile per uso domestico varia in media tra 12 e 50 litri al giorno per abitante nei paesi africani, mentre sale tra 170 e 250 litri in quelli europei, con gli italiani a guidare questa speciale classifica. E ANCHE GLI AMERICANI Gli Stati Uniti sono invece il paese che la utilizza di più al mondo: sono infatti oltre 700 i litri d'acqua che ogni americano usa quotidianamente. L'Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che al di sotto della soglia di 50 litri al giorno si può già parlare di sofferenza per mancanza d'acqua. Si prevede che nel 2020 quasi 3 miliardi di persone non avranno accesso a questo bene primario. Dove l'«oro blu» è firmato Coca Cola Cosa bevono gli indios messicani Nel paese che ha ospitato il forum dieci milioni di persone non hanno accesso all'acqua potabile. Tra questi soprattutto gli indigeni. E il mercato è in mano alla Coca Cola, che imperversa nell'imbottigliamento e nella perforazione di pozzi. Grazie alla privatizzazione selvaggia cominciata negli anni '80 CLAUDIO ALBERTANI CITTA' DEL MESSICO Dopo due decenni di neoliberismo, la parola privatizzare ha perso buona parte del suo fascino. Lo si è visto al IV Foro mondiale dell'acqua, conclusosi ieri a Città del Messico, dove tutti - dalla Banca Mondiale a Michel Camdessus, ex direttore dell'Fmi, da José Angel Gurría, ex ministro delle finanze del Messico e attuale segretario generale dell'Ocse, ad AquaFed, l'associazione internazionale degli operatori privati dell'acqua - hanno negato l'accusa di voler convertire l'acqua in una mercanzia. Di fronte a un tema politicamente esplosivo, preferiscono parlare di «partecipazione» e «decentralizzazione». La ricetta però è la stessa: alzare i prezzi «fino a far male», secondo la formula poco fortunata di un ex ministro messicano. Molto diversa, invece, è la problematica emersa dai molteplici fori alternativi che si sono realizzati in differenti punti della città. Associazioni popolari, comunità indigene, economisti, scienziati e giuristi si sono trovati d'accordo nell'affermare che il mondo è sull'orlo di nuovi e sanguinosi conflitti che ruotano intorno alla questione dell'acqua. Di chi è la colpa? Il verdetto è unanime: delle grandi compagnie e di politiche di stato irresponsabili. Il caso del Messico è paradigmatico. Fiumi in secca, manti freatici esauriti, pozzi inquinati, cambiamenti climatici globali e catastrofi definite naturali come i terribili uragani della scorsa stagione. Inoltre, più di 10 milioni di messicani non hanno accesso alla rete pubblica dell'acqua potabile. Nei cinque stati dove si concentra la popolazione indigena (Chiapas, Guerrero, Oaxaca, Veracruz e Yucatán) la situazione peggiora. Qui, il 25% dei giovani (in gran parte di sesso femminile) raggiunge a piedi la fonte più vicina e trasporta in spalla i secchi d'acqua per uso domestico. Come spiegare una tale situazione? Le radici del problema risalgono agli anni Ottanta, quando lo stato smise di essere il principale agente dello sviluppo sociale per limitarsi ad essere garante del mercato. Secondo gli imperativi neoliberisti, bisognava inserire l'acqua nel circuito economico, smantellando i servizi pubblici e le ultime vestigia delle organizzazioni comunitarie tradizionali. La mercificazione ha seguito molte strade. Una è la concessione a privati dello sfruttamento di sorgenti, pozzi, acquedotti e canali, in spregio alla costituzione messicana che lo proibisce. Di fronte al cattivo stato degli acquedotti e all'inefficienza delle istituzioni pubbliche, le multinazionali si presentano come un'alternativa efficiente. L'esperienza, però, è disastrosa. Quasi a smentire i dogmi neoliberisti, ad Aguascalientes, città dove la gestione dell'acqua potabile è in mano al gigante Vivendi, si è avuta un'impennata dei prezzi accompagnata da un peggioramento del servizio. Non è un caso isolato visto che situazioni analoghe si presentano anche a Cancún, Navojoa e Saltillo. Di fronte all'esaurimento progressivo delle sorgenti, un'organizzazione del Chiapas, il Consejo de Médicos y Parteras Indígenas Tradicionales, denuncia che i signori dell'acqua stanno mettendo gli occhi sulla selva Lacandona, polmone dell'America Centrale ed ultima grande riserva idrica del Messico. Come in Europa, un'altra via maestra della privatizzazione è lo stimolo al consumo di acqua imbottigliata a detrimento di quella del rubinetto, truffa colossale visto che gli imbottigliatori non usano acqua di fonte, ma quella della rete pubblica. In Messico vi sono comunità indigene nelle quali le famiglie spendono in Coca Cola il 20 per cento delle magre entrate di 40 pesos il giorno (circa tre euro). Va detto che l'onnipresente Coca Cola possiede in Messico decine di imprese d'imbottigliamento e perfora pozzi a suo piacimento con concessioni di 50 anni a prezzi ridicoli. Le ultime barriere sono cadute due anni fa, quando il Parlamento ha approvato una riforma alla Legge delle Acque Nazionali che legalizza le concessioni, stimolando i comuni a privatizzare il servizio a cambio di ottenere finanziamenti per programmi sociali. Il risultato è che si stanno privatizzando anche i fiumi: nel 2002, l'imprenditore Rafael Zarco Dunkerley, amico del presidente Fox, ha ottenuto una concessione di 30 anni per trasportare le acque del fiume Panico da Tampico fino a Monterrey. La crisi dell'acqua presenta anche risvolti geopolitici. In Bassa California, ad esempio, gli agricoltori lottano contro il prosciugamento del fiume Colorado, il cui delta era fino a pochi anni fa un paradiso naturale. Il disastro è provocato dalla decisione da parte delle autorità statunitensi di deviare il suo corso in direzione di Los Angeles e delle agroindustrie californiane. Un altro gravissimo problema è quello delle grandi dighe, il miraggio degli anni Cinquanta. Non importa se è ormai dimostrato che a lungo andare provocano danni irreparabili. Il Messico ne ha in cantiere 56, gran parte delle quali si trova in territori indigeni, il che significa un'intensificazione della guerra che da tempo lo stato messicano conduce contro le comunità. Prendiamo il caso di una diga idroelettrica in progetto, La Parota, sul fiume Papagayo, a pochi chilometri dal porto di Acapulco. Se dovesse costruirsi - ed è molto probabile che succeda - inonderebbe 24 villaggi oltre a una quantità imprecisata di terre agricole. Da anni, i 25 mila campesinos coinvolti si trovano sul piede di guerra. Dopo aver fondato il Consejo de Ejidos y Comunidades Opositoras, hanno dato vita al Movimiento Mexicano de Afectados por las Presas y en Defensa de los Ríos (Mapder) i cui partecipanti si dichiarano «in resistenza totale e permanente contro la costruzione delle dighe nel paese». Il Mapder è un'alleanza legata a livello continentale con la Red Internacional de Ríos di San Francisco, California, e con il Movimiento Mesoamericano contra las Presas. Quest'ultimo, che oltre al Messico comprende i paesi centroamericani, si oppone alla costruzione di circa 350 dighe nella regione. Il movimento esige che lo stato messicano ripari i danni arrecati nel passato a più di 100mila persone, il risanamento degli ecosistemi, la modifica della legislazione in materia d'acqua e medio ambiente ed il rispetto del diritto delle popolazioni all'acqua, stabilito dal Trattato 169 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, di cui il Messico è firmatario. Una vera e propria guerra dell'acqua è in corso tra gli indigeni mazahua della regione del fiume Cutzamala e la Comisión Nacional del Agua. Situato nel cuore dell'altopiano centrale, il sistema del Cutzamala soddisfa una parte importante del fabbisogno di Città del Messico. Tuttavia, mentre gran parte delle comunità mazahua soffre della mancanza d'acqua potabile, circa il 38% dell'acqua spedita a Città del Messico si disperde a causa del cattivo stato dell'acquedotto. Negli anni scorsi, sull'onda lunga della ribellione degli indigeni del Chiapas, le donne mazahua hanno creato un Ejército zapatista de mujeres en defensa del agua. Armate di rudimentali fucili di legno, machete e attrezzi agricoli, hanno bloccato in varie occasioni l'impianto di purificazione. Le donne mazahua denunciano la politica idraulica del Messico come ingiusta perché «giova solo agli abitanti delle grandi città», esigendo che il governo provveda la comunità di acqua potabile e risani le foreste. Per il momento non hanno avuto successo, però hanno sollevato un'ondata di simpatia nazionale. |
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