la fatica a far entrare in testa i problemi ambientali a chi non ne vuol sapere



da vasonline

LA FATICA DI SISIFO DI FAR ENTRARE IN TESTA I PROBLEMI AMBIENTALI A CHI NON NE VUOLE SAPERE

Da metà giugno su “Liberazione” si è svolto un dibattito sulla decrescita. E cioè sullo smetterla di far coincidere la nostra ricerca della felicità e del benessere con gli aumenti della ricchezza materiale e del Pil; sul prendere invece più chiara coscienza dei limiti delle risorse terrestri; sull’orientarci di conseguenza verso il contenimento dei loro consumi; sul darci obiettivi diversi da quelli soltanto economici... Un argomento che di solito c’è riluttanza a affrontare perché troppo in contrasto coi modi di pensare economicisti correnti (per non dire degli interessi che ci sono dietro). Il che è profondamente sbagliato, come Serge Latouche nei suoi libri si sgola a ripeterci...
Per questo sembra utile ripercorrere per sommi capi le fasi di quella polemica, con nomi e cognomi. Perché se ne torni a parlare. Perché chiarirci ancora le idee non potrà farci che bene.
La realtà dei rapporti uomo-Terra e la necessità di contenere i consumi

Il dibattito nacque da una esortazione agli europei a consumare di più di Jean Claude Trichet presidente della Banca Centrale Europea. Me ne fu chiesto da “Liberazione” un commento. A seguito del quale sono intervenuti finora - nell’ordine - Luigi Cavallaro, Paolo Cacciari, Giorgio Cremaschi, Andrea Ricci, Gianni Ventola Danese, Elvio Dal Bosco e Carla Ravaioli (il cui intervento, particolarmente centrato, è apparso su Liberazione il 13 luglio). Va anche ricordato che dopo le prime battute il dibattito trovò echi sul “Secolo d’Italia” e su “Libero” (in chiave critica verso i “catastrofisti di sinistra”), e di rimbalzo sul “Corriere della Sera” con un’intervista a Giovanni Berlinguer sul celebre “invito all’austerità” del fratello Enrico... Ma andiamo con ordine.
Comincio col dirvi come la penso al riguardo (non sono il solo: mi riferisco soprattutto a Latouche e a Ravaioli). Partendo dalla malinconica constatazione della riluttanza dei più a prendere in considerazione, contro ogni evidenza, la possibilità stessa della decrescita. Appare incredibile - specie da parte delle sinistre - il rifiuto ostinato di riconoscere che due più due fanno quattro. Tanto da far dubitare che siamo noi ambientalisti a non saperci spiegare. Così ci riprovo.
Sul fatto che la nostra Terra è quella che è – con le sue dimensioni, i suoi mari, le sue terre emerse, la flora, la fauna – dubbi non ce ne dovrebbero essere. Che noi esseri umani – con l’aumentare di numero, col moltiplicare i consumi delle risorse, con le alterazioni recate alla natura ed al clima - ne stiamo mettendo in pericolo la capacità di sopportarci e di darci da vivere è una realtà altrettanto assodata. Le temperature in aumento, gli scioglimenti di ghiacci polari e montani non lasciano incertezze al riguardo. Sembra sia arrivato a capirlo perfino G.W. Bush.
E’ a questa realtà che si riferiscono gli ambientalisti. Non è utopia. Non è ideologia. E’ come stanno le cose. E se le cose stanno così ne discende che la necessità più pressante è quella di arginare lo sfascio col ridurre i consumi e le trasformazioni in rifiuti inquinanti delle risorse terrestri, oltreché di ripristinare per quanto possibile la vivibilità della Terra.
Insisto e ripeto. C’è una realtà inconfutabile - il consumo eccessivo di risorse terrestri – e c’ è una necessità che ne segue direttamente: consumare di meno per cercar di riequilibrare la situazione. Il che vuol dire che di tutti i nostri problemi – sociali economici e politici, di solidarietà, diritti civili, equa ripartizione delle disponibilità di risorse intellettuali e materiali fra tutti (fra tutti: non solo fra noi occidentali) – vanno ricercate le soluzioni all’interno di questo contesto. E cioè in questi termini: “come risolverli, ferme restando la "realtà" del degrado e la "necessità" di ridurre i consumi e ripristinare la vivibilità della Terra?”. Riconsiderarli, cioè, entro quei limiti.
Chiaro che è scomodo. Se di spazio, natura e risorse ce ne fossero abbastanza per tutti - come seguitiamo a far finta di credere - potremmo seguitare tranquilli a ragionare di crescita e Pil. Ma non è così. E allora tutto si fa più difficile. Anche per questo i più preferiscono chiudere gli occhi... Dovrebbe essere altrettanto chiaro però che se nell’affrontare i nostri problemi non si tiene conto né di questa realtà né delle necessità che ne discendono tanto direttamente, non si può che sbagliare. Perché quella realtà ce la ritroveremo continuamente fra i piedi a ostacolarci ogni passo. Com’è dimostrato da alcuni passaggi della polemica su “Liberazione”.
E vengo al dibattito. Parto da qui: che l’invito a “consumare di più” di Trichet – con la sesquipedale ignoranza dei temi ambientali e sociali che purtroppo dimostra – mi ha ricordato la definizione di “testa-parziale” usata dal Commissario Montalbano in un libro di Andrea Camilleri. Teste-parziali sono per lui “quelli che si occupano soltanto dei soldi. Non dell’agricoltura o del commercio o dell’industria o dell’ edilizia, ma dei soldi in sé. Del denaro in quanto tale capiscono o intuiscono tutto: ora per ora, minuto per minuto. Lo conoscono come sé stessi, sanno come il denaro...” (qui si sbizzarrisce in paragoni tra movimenti di soldi e funzioni fisiologiche umane) per chiarire poi ancora che “queste teste-parziali si chiamano maghi della finanza, grandi banchieri, grandi speculatori” (accenna agli esempi Calvi e Sindona). “La loro testa funziona però soltanto in quel verso. Per tutto il resto sono sprovveduti, goffi, limitati, primitivi, perfino assolutamente stronzi. Ma ingenui mai”.
Da lì ho preso spunto, nella polemica, per ribadire le tesi che ho appena detto. Tirando in ballo tra l’altro - come tipico esempio di testa-parziale nostrana - il neo-vice-premier Tremonti con la proposta, allora appena sfornata, di dare in concessione per 99 anni le spiagge italiane.

Le opposte tesi
Gli interventi che sono seguiti possono esser divisi fra quelli che dimostrano di avercela fatta a guardare in faccia la realtà dei rapporti uomo-Terra e a trarne le conseguenze, e quelli che ancora si ostinano a non volerla vedere, quella realtà. Fanno parte dei primi (oltre la Ravaioli, ovviamente): l’assessore veneto Paolo Cacciari schierato a sostegno del “consumare di meno” e dell’“ottenere un miglior tenore di vita (accesso a beni utili, servizi migliori, più tempo a disposizione per le relazioni umane) pur essendo più poveri”; il sindacalista Giorgio Cremaschi con una chiara visione dei legami tra sistema economico, degrado ambientale, situazioni pesanti dei lavoratori e necessità di “scegliere fra la strada spietata della selezione attraverso il mercato e la solidarietà socialista”; Elvio Dal Bosco che parla di “consumi giudiziosi” sulla lunghezza d’onda di Paolo Cacciari; Gianni Ventola Danese che addirittura propone un “decalogo della decrescita” con ai primi due punti “liberarsi della televisione” e “liberarsi dell’automobile”...

Dalla parte di chi seguita a non volerne sapere si collocano il magistrato Luigi Cavallaro – che nel calo dei consumi e del Pil non sa vedere altro che il danno per i lavoratori, che propone di tassare le spese piuttosto che le produzioni (che sono due facce della stessa medaglia), che vede nel profitto d’impresa l’indispensabile motore di tutto il sistema (prestazioni sociali e ambientali comprese) - e l’esponente economico del Prc Andrea Ricci, che pure lui si preoccupa dei ceti più deboli (i cui miglioramenti attraverso politiche redistributive “non potranno non tradursi in consumi maggiori”), che parla dei “nuovi consumi immateriali” come se “si sostituissero” e non “si aggiungessero” ai vecchi (avete mai visto qualcuno dare via l’auto se si compra il computer?), che giustamente prospetta “nuove forme di consumo legate a nuove forme sociali di produzione”, ma nega in sostanza che dal contenimento dei consumi possa venire alcun bene.
Su questi ultimi due contributi vi lascio alle argomentazioni di Carla Ravaioli, che condivido per filo e per segno. A me interessava dar conto – se pure in questa forma troppo schematica – del dibattito in corso, e attrarre la vostra attenzione sui suoi futuri sviluppi. Mi resta solo un’ultima cosa da dire.
Ecco di che si tratta. Scrive Cavallaro: “i fautori della decrescita dovrebbero ringraziare i governi che, impoverendo classe lavoratrice e pensionati, ne hanno contratto i consumi” (il che equivale a tacciarli da nemici dei lavoratori, che non mi sembra tanto elegante). E Ricci conclude il suo pezzo asserendo che “l’apologia della decrescita, della sobrietà e dell’austerità... gli suona vagamente reazionaria”. A questo punto mi corre il dovere di tirare in ballo altre due citazioni. Ecco qua.
Scrive ancora Cavallaro: “non possiamo dimenticare che l’impresa privata opera col vincolo della remunerazione del capitale... Non tenerne conto è puerile, salvo che non si voglia procedere alla nazionalizzazione integrale dell’industria e” (udite udite) “alla soppressione del commercio”. Scrive Ricci: “la lotta per la costruzione di una nuova società che concordiamo nel chiamare comunista dobbiamo esser capaci di condurla dentro i punti più alti della modernità capitalista”... Qui bisogna intenderci. Sta bene la modernità sul terreno scientifico, tecnologico e culturale, ma parlare di “modernità capitalista” (osserva la Ravaioli) mentre “la crescita capitalistica si regge solo sullo sfruttamento del lavoro dei poveri e della natura” è una posizione difficile da condividere. Che sembra configurare una sorta di “comunismo-da-ricchi”, con la mentalità di chi pensa soltanto al suo paese e se ne frega degli altri... Mentre sarebbe assai meglio (invece di lanciare accuse gratuite in mancanza di buoni argomenti) ricordarci più spesso di quel che il movimento altromondista si sgola a ripeterci. Che tutti dipendiamo da tutti.
Ecco: in queste posizioni dell’uno e dell’altro – di rassegnazione-adesione al sistema neoliberista –sembra di avvertire qualcosa di non convincente. Viene da domandarsi da che parte stanno in realtà. D’accordo che non ha senso volere la luna, che agli obiettivi di fondo è ragionevole avvicinarci per gradi a seconda delle situazioni e dei rapporti di forza... Ma altro è questo, altro è accettare il terreno dell’avversario e adagiarcisi dentro così comodamente.
Tanto che a questo punto mi viene voglia di chiedervi, a proposito delle battute su chi è favorevole all’impoverimento dei lavoratori e sul “suono vagamente reazionario dell’apologia della crescita”: ditemi voi tra le due posizioni – di chi insiste sulla necessità di cambiare per motivi così reali e pressanti come il degrado di vivibilità della Terra, e di chi invece in sostanza dello “status quo” ingoia tutto – i reazionari da che parte vi sembra che stiano.
Fabrizio Giovenale