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la rete fissa resta un monopolio
- Subject: la rete fissa resta un monopolio
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 30 Nov 2005 06:52:23 +0100
da il manifesto
20 Novembre 2005 La rete fissa resta un
monopolio
FRANCO CARLINI La polemica sulla Telecom tra Prodi e i consiglieri di amministrazione obbliga ad alcune riflessioni sul settore. I concorrenti sono ancora frenati nell'accesso ai servizi Difficoltà per chi vuole offrire l'Adsl, ma anche pessima assistenza ai clienti a causa dell'utilizzo di lavoro precario nei call center. Tutti nodi ancora non risolti FRANCO CARLINI Martedì scorso è capitata una cosa abbastanza strana: il Corriere della Sera ha pubblicato in apertura di pagina economica un documento degli undici consiglieri di amministrazione indipendenti di Telecom Italia. Sono firme illustri, dall'ex ministro Paolo Baratta a Jean Paul Fitoussi, da Enzo Grilli a Pasquale Pistorio della Stm. E' una lunga lettera di protesta contro Prodi, il quale due giorni prima aveva detto che il nostro paese vive all'ombra dei monopoli cui le autorità di regolazione lasciano uno spazio che nel resto d'Europa ci si sogna. Il leader dell'Unione aveva anche aggiunto che da noi le uniche imprese che fanno soldi sono appunto quelle che lavorano sulle tariffe, come Enel, Eni, Autostrade, Mediaset e Telecom e che esse condizionano le authority. La reazione dei consiglieri indipendenti di Telecom Italia è piccata, puntigliosa e anche sopra le righe, rivelando, per dirla semplice, una coda di paglia persino eccessiva. Il testo offre alcuni elementi di fatto indiscutibili e altri li forza in versione patriottica, ma soprattutto rappresenta una sorta di manifesto programmatico per le regole prossime venture delle telecomunicazioni. Più che una protesta verso Prodi è una esplicita (quanto lecita) azione di lobbying verso il prossimo governo dell'Unione. I fatti veri sono che l'Italia, e Telecom con essa, si è adeguata a una estesa liberalizzazione del mercato telefonico, per effetto delle norme europee e del tumultuoso avanzamento delle tecnologie digitali. Avvenne con il governo dell'Ulivo, che adeguò rapidamente il paese a quanto la Ue chiedeva. Dunque il monopolista di stato ora è senza dubbio privato e soprattutto un ex. Ma è altrettanto certamente un «incumbent», ossia il soggetto dominante e incombente sul mercato che controlla all'80%, e per questo è caricato di particolari responsabilità e soggetto a più stretta vigilanza pubblica. Altrettanto certamente ha utilizzato al meglio le regole vigenti e le tecnologie nuove non solo per contrastare i concorrenti, ma anche per aumentare il distacco da loro. La questione è strutturale e storica perché è di Telecom Italia la rete telefonica, costruita a suo tempo dallo stato, con i soldi dei cittadini, e su questa rete molti dei concorrenti devono passare, se vogliono offrire servizi come l'Adsl a banda larga. La letterona di autoelogio degli undici consiglieri ha trovato una parziale smentita due giorni dopo, quando la Corte di Appello di Milano ha confermato che queste porte alla concorrenza tanto aperte non sono: un operatore alternativo di telefonia, Tele2, aveva denunciato infatti che 155 mila attivazioni di Adsl richieste dai suoi clienti non sono state evase. Per 250 casi il tribunale ha riconosciuto che la negligenza di Telecom era provata e le ha ordinato di provvedere rapidamente. Secondo Telecom solo di disguidi si tratta, ma invece gli Internet Provider sostengono che è una deliberata politica di dissuasione. La quale avverrebbe con un trucco perfido: uno chiede l'Adsl di Tele2 ma Telecom Italia gliela nega perché su quella linea telefonica risulta già attivata una propria Adsl. Solo che l'abbonato non l'aveva mai richiesta (e infatti non gli viene fatturata). In sostanza l'incumbent bloccherebbe preventivamente le linee a insaputa degli utilizzatori per poter negare il passaggio ad altro fornitore. Questa la protesta dei concorrenti. Tra le cose che gli undici tifosi indipendenti tacciono per pudore c'è anche il disservizio ai clienti attraverso i call center. Da Telecom ci dicono che il problema è presente e che ci stanno lavorando, il che senza dubbio è vero, ma è difficile che un servizio di qualità possa essere offerto con appalti selvaggi e precari e, salvo smentita futura, questo disinteresse per gli abbonati è un tipico indizio di cultura monopolistica. Forse è un retaggio del passato, ma assai duro a morire. Le cose sono peggiorate passando dal monopolio di stato alla privatizzazione. Un altro capitolo di meriti rivendicato con orgoglio dalla lettera sono i molti investimenti nella rete telefonica. Ma anche qui le cifre parlano: sono 10.400 le centrali di smistamento telefoniche in Italia e solo 4 mila di queste sono predisposte per l'Adsl. E le altre? Molte non lo saranno mai, perché è troppo costoso farlo, rispetto agli incassi prevedibili nelle zone decentrate o rurali. Anche qui - ammettiamolo - ci scatta la nostalgia del servizio pubblico universale. Banda larga ormai non è un lusso, ma un bisogno e persino un diritto civico. Poiché gli undici tanto si rifanno al caso americano, siano almeno consapevoli che esattamente di questo negli Usa si discute. Se dovessimo dare un suggerimento al possibile nuovo presidente del consiglio, proporremmo che il broadband sia considerato servizio da garantire a tutti gli italiani e che dunque l'incumbent sia obbligato, con le dovute regole, a fornirlo. Diversamente tornerebbe attuale la decisione che Telecom teme più di tutte, ovvero la separazione della rete dai servizi. E' questa minaccia che ha costretto l'ex monopolista inglese, Bt, ad aprirsi alla concorrenza. Ma la lettera contiene soprattutto una proposta per il futuro. Sostiene che l'epoca delle regole rigide contro i monopoli è finita, negli Usa come in Italia, e che ora, corrette le manchevolezze del mercato monopolista, si possa procedere con mano leggera, in Europa e in Italia. Ma è sostenibile anche la tesi opposta: poiché tutti gli ex monopolisti detengono una quota molto grande del mercato e i cavi che arrivano in casa, sono proprio loro che, a partire da questo assetto storico, cominciano a offrire i servizi avanzati (voce su Internet, televisione via cavo, web services, integrazione tra linee fisse e mobili eccetera). E l'andamento degli ultimi anni segnala che questo avviene con processi di grande concentrazione. Persino il foglio più liberista di tutti, l'Economist, ha commentato le recenti mosse di Telefonica spagnola (che ha acquistato un operatore mobile inglese, O2) come un rischio per i consumatori. Insomma sembra confermarsi quel fenomeno ampiamente studiato dagli economisti: i più grandi lo diventano ancora di più, e il divario dai nuovi entranti si approfondisce anziché ridursi. Se la diagnosi fosse vera, allora, proprio quando si aprono nuovi orizzonti tecnologici, occorrerebbe aumentare le regole asimmetriche che sfavoriscono gli incumbent e invece, per un tempo definito, danno la possibilità ai concorrenti più seri e capaci di farsi la loro strada. E' una tesi impopolare in casa Tronchetti Provera, ma vale la pena di prenderla sul serio, sia pure per negarla. E c'è un unico modo per controbatterla: cessare ogni azione di dissuasione nascosta della concorrenza e soprattutto coprire l'Italia di rame e di fibra. La vera responsabilità sociale d'impresa si fa così, quando si è «incombenti». Serve un nuovo welfare telefonico La privatizzazione dei monopoli statali e la liberalizzazione non hanno fin qui portato i benefici che la teoria liberista prevedeva: servizi più efficienti e a costi minori. Il caso della telefonia fissa: conferma o smentisce questa lettura? Con un intervento del prof. Guerci FRANCO CARLINI A proposito delle nuove reti di comunicazione, della Banda Larga e delle infrastrutture del paese, il professor Guerci, noto studioso di economia industriale, corregge, dissente e in parte consente con noi, che peraltro ci eravamo inseriti in una discussione che sta vivendo su diverse testate. E' un dibattito che venne aperto da una lettera al Corriere della Sera, con cui gli undici consiglieri indipendenti di Telecom Italia polemizzavano con alcune frasi di Romano Prodi a proposito degli ex monopoli (Enel, Eni, Autostrade, Telecom Italia), cui le autorità di regolazione lascerebbero in Italia un campo d'azione troppo libero. Il tema è importante per molti aspetti che anche Guerci sottolinea e non tocca la sola telefonia. E' opinione diffusa infatti che quelli che furono monopoli di stato, siano stati privatizzati specialmente per consentire allo stato di ridurre il suo deficit, ma che una vera liberalizzazione sia mancata. In tal modo i possibili benefici per il paese (servizi migliori e prezzi più bassi) non si sono verificati. Il caso più clamoroso di superprofitti, dovuti a una riserva protetta e non scalfita, è quello dell'Eni, che gonfia i suoi utili solo che per effetto del prezzo del petrolio. Per non dire dell'assurdo di un'Enel, che in epoca di «doppia T» (Testa e Tatò) sognò di offrire di tutto, anche la telefonia, imbarcandosi malamente nell'operazione Wind, azienda impropriamente finanziata dalle nostra bollette della luce, senza peraltro riuscire a sviluppare una significativa concorrenza a Telecom Italia. Wind, come i lettori sanno, è oggi egiziana e ha un futuro quantomeno da ridefinire. Nei telefoni, fissi e mobili, l'assenza di concorrenti robusti (se si esclude l'ex Omnitel, ora società italiana del gruppo Vodafone) viene considerata dagli stessi dirigenti di Telecom come sgradevole, perché troppo espone il gruppo e lo tiene fin troppo sotto la mira di utenti e autorità di regolazione. Il tutto in una fase in cui una buona parte dei profitti viene utilizzata per ridurre il vistoso debito, accumulato al momento della scalata. E' questo un elemento strutturale che penalizza il titolo in borsa, il quale da troppi mesi viaggia a livelli insoddisfacenti. A queste difficoltà strutturali si aggiunge il fatto che la cultura monopolista è dura da correggersi. Se oggi Microsoft apre e condivide parte dei suoi software è perché ha di fronte avversari dinamici che operano magari nel campo del software aperto, come la Ibm. Ma è anche l'effetto di cause antitrust, in America e in Europa (grazie al commissario Monti), che hanno dato pochi risultati pratici, ma prodotto molti effetti simbolici, di «reputazione». Le cause legali mosse dai concorrenti a Telecom Italia, anche quando interessate (interessi legittimi, per quanto di parte), hanno questo effetto positivo, di evidenziare un conflitto sia tra gruppi industriali, che tra interessi generali e d'impresa. Nei giorni scorsi, per esempio, il tribunale di Roma ha di nuovo ordinato a Telecom Italia di accelerare i tempi di passaggio al servizio di Tiscali dei suoi abbonati che lo richiedano; come l'autorità delle comunicazioni prescriveva a e come non sempre avviene. Ma il problema è ben più generale: una rete larga e distribuita su tutto il territorio (il professor Guerci lo conferma) è tema di politica industriale e riguarda il digital divide tra aree ben servite e aree scoperte per l'eternità. Forse non potrà gravare tutto su Tronchetti Provera e magari non sarebbe nemmeno auspicabile, ma in buona misura dovrà farlo ed essere chiamato a farlo, essendo dominante. Qualcuno dovrà ben assicurare quel servizio universale di nuova generazione. E' come per il welfare: quello vecchio non funziona, ma uno nuovo e più avanzato è ormai necessario. |
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