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legambiente elogio della soft economy
- Subject: legambiente elogio della soft economy
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 4 Nov 2005 13:02:27 +0100
da affari italiani sabato 29 novembre
2005
elogio della soft
economy
"Qualità, innovazione, passione creativa, ma anche tradizione e provincia. Sono gli elementi intangibili che costituiscono il cuore della soft economy, l'economia del sapere che è la frontiera dello sviluppo. Soft economy che si contrappone all'hard economy. L'economia delle infrastrutture targata Usa, che è il modello della globalizzazione e dei grandi numeri. Elementi che, però, non hanno lo stesso valore e forza competitiva delle componenti soft, come, appunto, la creatività, la cultura e l'innovazione". Per Ermete Realacci, rutelliano della Margherita, intervistato da Affari e autore del libro "Soft economy" (di cui Affari pubblica in esclusiva un capitolo), questa è anche l'essenza del made in Italy. Elementi di un modello del quale gli imprenditori del nostro Paese, nell'affacciarsi sui mercati globali, devono essere consapevoli. Modello che può consentire loro di rilanciare la nostra economia. Uno stile italiano realmente trend-setter che può contaminare i gusti di miliardi di consumatori. L'Intervista Qual è la ricetta per rilanciare l'economia made in Italy? "Fare quello che tutti i Paesi avanzati dell'Occidente fanno, investire molto, cioè, nei saperi e nella ricerca. L'Italia lo fa ancora troppo poco. E valorizzare, poi, quello che ci rende famosi in tutto il mondo e in cui eccelliamo". E cioé? "L'intreccio straordinario di città, patrimonio storico-culturale, paesaggi, prodotti tipici, gastronomia, creatività e coesione sociale. Ingredienti di un marchio unico al mondo". L'Italian way of life... "Esatto, un minimo comune denominatore di storie di successo di aziende che, assieme ad Antonio Canciullo, abbiamo cercato di raccontare nel libro 'Soft economy'. Inmprese che riescono a competere sui mercati, proprio perchè si fondano sulla qualità dei loro territori d'appartenenza e sulla capacità di saper fare". Come definisce la qualità? "E' un concetto ampio. Le storie che raccontiamo non solo legate solo al made in Italy tradizionale. Stm o Tecnogym non appartengono al tradizionale comparto della moda o dell'agroalimentare. La qualità è un incrocio, che in Italia avviene in modo peculiare, fra saperi, conoscenza, ricerca e identità. Un patrimonio sia fisico sia culturale". Perché ha intitolato il suo libro "Soft economy"? "E' un concetto che echeggia il soft power proposto dal politologo americano Nye. Uno studioso che propone un dualismo fra l'hard power statunitense, basato sulla potenza militare e una capacità tutta europea in grado d'influenzare, al contrario, il mondo, facendo leva sul convincemento e il sex-appeal". Un carisma... "Esatto e non è affatto detto che sia più debole dell'hard power. E' la carta che noi europei possiamo giocarci. Dobbiamo fondare la competitività della nostra economia non inseguendo i modelli che da noi non possono funzionare. Quelli, cioè, che si basano sull'abbassamento dei diritti e sul dumping ambientale. Sono dei modelli, per noi, perdenti. Dobbiamo individuare i nostri punti di forza ed esaltarli. Solo con questa forza e consapevolezza saremmo in grado di competere e di vedere l'India e la Cina come delle opportunità e non come delle minacce". La logica del declino è diventata ormai un cancro inestirpabile o si può ancora fare qualcosa? "Certo che si può fare qualcosa. Bisogna proporre a livello politico un disegno convincente. L'esponente istituzionale che più ha cercato d'intervenire in questo campo è stato il presidente della Repubblica Ciampi, che ha provato a indicare all'Italia una meta mobilitante. Meta che facesse forza sui fattori unici e sull'identità del Paese. Bisogna avere un'idea dell'economia italiana per ottimizzare le risorse. Non si possono dare gli stessi soldi sia al'impresa che innova sia al notaio che si rifà il salotto sia all'azienda che costruisce un capannone. Bisogna costruire un'idea di futuro che sia mobilitante per tutti i cittadini e le imprese". Ma tutte queste aziende di successo, alcune di nicchia, sono in grado di fare massa critica e di trainare tutta l'economia italiana? "Se fanno rete, sì. La fondazione Symbola, che presiedo, sta cercando di misurare quanta parte del Pil italiano è legato a fattori quali conoscenza, qualità, made in Italy avanzato, creatività e rapporto con il territorio. Credo che non sia una percentuale irrilevante. Le imprese italiane devono rafforzare la loro spesa in marketing. Cosa che, vista la dimensione media delle aziende, al momento, è possibile fare solo agendo in rete". Qual è la storia di successo che più delle altre è stata in grado di racchiudere al suo interno queste componenti soft? "Ce ne sono tante, ma a me piace molto la storia di Brioni. E' un'azienda che è nata dalla scommessa di un ex docente universitario di organizzazione aziendale, Marco Tullio, che ha deciso di produrre abiti in un paesino, Penne, situato alle pendici del Gran Sasso. Ora, esporta in tutto il mondo e i suoi abiti sono portati dal segretario dell'Onu Kofi Annan e dall'attore Pierce Brosnam nel film 007". Qual è la sua ricetta vincente? "Tullio, rifiutando delle offerte istituzionali per collocare la sua azienda vicino all'autostrada, ha deciso di localizzare la sua produzione, perdendo dei soldi, quindi, in un piccolo paesino. Era convinto che poteva produrre gli abiti più belli del mondo solo se la produzione fosse diventata una missione del territorio. Un modello, alla fine, che non era possibile imitare. E ha avuto ragione". Andrea Deugeni |
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