fondi pensione? Tenetevi il vostro tfr



da Soldi & Diritti
periodico dell'associazione AltroConsumo

Tenete il tfr
n° 84 - settembre 2005

Editoriale

La riforma delle pensioni ha compiuto 10 anni. Lo scenario che si prospetta
non è dei più incoraggianti: tutti i lavoratori, chi più chi meno, al
momento di andare in pensione vedranno ridotti notevolmente i propri
introiti e non potranno mantenere lo stesso tenore di vita.
Nei casi più fortunati, si può sperare che la pensione raggiunga il 50% dell
’ultimo stipendio. D'altra parte, nel 2050 il 40% della popolazione avrà più
di 60 anni e già si è rotto il patto generazionale che consente che chi
lavora paghi le pensioni di chi si è ritirato.
Ma la maggior parte dei lavoratori ha le idee tutt'altro che chiare: ignora
quale percentuale del proprio stipendio finisca all’Inps (e non sa che serve
a pagare le pensioni in essere e non ad alimentare un proprio fondo), non sa
a quanto ammonterà la propria pensione futura e non pensa ad aderire a una
forma di previdenza complementare o a studiare un piano alternativo di
risparmio.
Bisogna invece essere già oggi più che coscienti del fatto che colmare quel
50% che manca non è cosa semplice. E, senza dubbio, non saranno le forme di
previdenza integrativa, come versare il Tfr in un fondo pensione, su cui si
è dibattuto tutta l'estate, a dare sicurezza e tranquillità per il futuro.
Lo scontro fra Governo, sindacati e industria sulla previdenza integrativa,
nonché gli interessi propri che assicurazioni e banche cercano di difendere,
non fanno che aumentare confusione e diffidenza. Mentre si lesinano le più
elementari informazioni che consentano ai lavoratori di prendere decisioni
consapevoli e di qualche utilità.
Partiamo dalla prima. Se la riforma partirà il 1° gennaio 2006, i lavoratori
dipendenti avranno tempo fino alla fine di giugno del prossimo anno per
decidere se versare o no il proprio T fr in un fondo pensione. Che fare?
Meglio non aderire. D'altra parte finora sono pochissimi, il 15%, i
lavoratori che hanno “scelto” di aderire a un fondo pensione, per il
semplice motivo che non conviene ( vedi SD n. 79, novembre 2004).
Il problema è che, con la formula del silenzio-assenso, chi non si esprimerà
entro 6 mesi, sarà automaticamente iscritto a un fondo, nel quale verserà
tutto il Tfr. A quale fondo? Al fondo pensione aziendale o, in sua assenza,
a quello di categoria o, se neanche questo esiste, a un fondo regionale se c
’è, se no a quello dell’Inps.
Data la poca informazione che - volontariamente e colpevolmente - viene data
su questo tema, il rischio è che molti lavoratori si troveranno iscritti a
un fondo integrativo senza saperlo - ma forse è proprio quello che si
vuole - o con il dubbio  (fondato) che sarebbe stata più conveniente una
scelta diversa. Questo non è fare gli interessi dei lavoratori, ma
distribuire le commissioni sulla gestione di 13 miliardi di euro all'anno
dei Tfr tra i soliti noti, che operano su un mercato privo di concorrenza.
Per fare davvero gli interessi dei cittadini, bisogna offrire loro la
possibilità di muoversi su un mercato più ampio e concorrenziale, in cui
ciascuno possa scegliere liberamente come costruirsi una rendita per la
vecchiaia. Per questo chiediamo che lo Stato agevoli fiscalmente tutti gli
investimenti che possono essere presi in considerazione a fini
previdenziali. Solo così si avrebbe maggiore trasparenza e i prodotti
offerti sarebbero più competitivi.