petrolio trivelle d'italia



da lanuovaecologia mensile ottobre 2005
 
Sono 5,4 i milioni di tonnellate di petrolio estratti in Italia nel 2004, 110 quelli importati
Tra guerre e disastri naturali la stagione del "barile alle stelle" non sarà passeggera. Numeri e impatto di petrolio e gas estratti nel nostro paese
A FABIO DESSI e UGO FERRERÒ

Chiamarlo "oro nero" non è più tanto un luogo comune. Solo pochi mesi fa, all'inizio del 2004, il petrolio costava 30 dollari al barile. Al momento e scrivere sfiora i 65 dollari. Per gli analis la stagione del "barile alle stelle" non sarà passeggera e il greggio, complice anche il disastro dell'uragano Katrina che ha ridotto la produzione nel Golfo del Messico, potrebbe superare la soglia dei 100 dollari nel giro di pochi anni. Mentre si stima che i consumi, sempre più destinati ai trasporti, aumenteranno nei prossimi vent'anni di almeno il 60% Tanto è bastato per far tornare in mente a qualcuno che anche in Italia esistono dei giacimenti - in Basilicata, Sicilia (vedi box), lungo la costa adriatica e jonica - che si potrebbero sfruttare meglio: portando a pieno regime le attività estrattive nelle valli dell'Agri, de Camastra e del Sauro, tutte e tre in Basilicata, secondo l'Eni si potrebbe soddisfare il 10-12% del fabbisogno nazionale. Ma conviene davvero fra rischio di incidenti, impatto delle raffinerie, subsidenza e trasporti puntare su queste risorse? Ed è questa la strada verso l'autonomia energetica del paese?

Fra terra e mare
Innanzitutto un po' di numeri. La produzione annuale di greggio italiano nel 2004 (secondo l'Unione petrolifera) è stata di 5,4 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), provenienti per 1*82% da pozzi a terra e per il 18% da giacimenti a mare. Poca cosa rispetto ai circa 1 10 - tra greggio, semilavorati e prodotti finiti - importati principalmente da Libia, Russia, Arabia Saudita e Iran. La produzione nazionale di gas naturale è stata invece di 1 2 ,9 milioni di metri cubi contro i 62 importati, tra gli altri, da Algeria, Russia e Olanda. Ma se per la materia prima dipendiamo dall'estero, la musica cambia per la raffinazione e la distribuzione; la nostra industria per volumi di lavorazione è la terza in Europa. Da Porto Marghera a Cagliari sono 17 le raffinerie sparse lungo lo Stivale. Lo scorso anno hanno trasformato oltre 100 milioni di tonnellate di greggio destinato in larga parte al mercato interno, dove il consumo annuo di prodotti petroliferi si è attestato sugli 88 Mtep.
I fantasmi dei petrolchimici...
Nonostante l'industria petrolchimica abbia fatto progressi nella gestione dei processi produttivi, dal punto di vista ambientale i costi maggiori a livello locale sono legati proprio alla fase di raffi n azione, Un caso balzato agli onori della cronaca internazionale è quello dello stabilimento lìnichem di Priolo; qui, in una vona dove si concentra il 28% della capacità di trasformazione italiana, nel 2003 un'inchiesta della Procura di Siracusa ha portati, a galla un inquinamento da mercurio - scaricato in mare -con valori ventimila volte superiori ai limiti di legge. Se quello siciliano è l'eccezione, la regola nella convivenza con i petrolchimici o comunque la paura. Come a Falconara, "costretta" a ospitare la raffineria Api (la concessione è stata rinnovata nel 2003) nonostante l'area sia stata dichiarata «ad elevato rischio ambientale» e inserita nel 2002 tra i 49 siti da bonificare.
L'impianto è stato luogo di numerosi incidenti: l'ultimo un anno Fa, quando un serbatoio con 600 metri cubi di bitume è esploso causando la morte di una persona. Una disgra/.ia che avrebbe potuto avere effetti ancora più devastanti se il serbatoio avesse centrato quello accanto, scatenando l'effetto domino sfiorato nell'incidente del '99, che da allora è diventato l'incubo dei falconatesi. «Per quanto si siano diffusi i sistemi di certificazione ambientale come l'Emas, che richiede una certa trasparenza nelle scelti: industriali e nella ciminniea/.ione al pubblico, la situazione non può certo Jirsi sotto controllo. A Priolo |>er esempio lo sversamento illegale è avvenuto in un'area dove c'era un impianto certificato» spiega Giuseppe Onufrio, direttore dell'Istituto sviluppo
sostentile Italia (Issi). «Una richiesta minima - aggiunge - è imporre i sistemi di certifica/ione e l'impiego delle Bai (fa'tf avnilable tcfbuit/ues, le migliori tecniche dìijionìbUi, ntlr) non solo ai singoli stabilimenti ma a tutta l'area dei petrolchimici». Tecniche che potrebbero ridurre i rischi anche nella fase estrattiva, dove pure non sono mancati gli incidenti.
Il caso più eclatante è l'esplosione nel '94 del po/zo di Trecate, al margine del Parco del Ticino, con la fuoriuscita di
circa 15miìa tonnellate di greggio. «In quel caso - ricorda il direttore di Issi -l'imperizia della società che conduceva le perforazioni (la Pergemine, ndr) ha ridicolizzato tutti i discorsi dell'industria petrolifera sullo sviluppo sostenibile». Sembra che l'incidente fosse legato alla "Ic^fjerez'/a" dei fanghi usati per tenere la pressione del pozzo: un modo molto pericoloso di contenere i costi.
Incidenti a parte, un rischio legato alle estrazioni di idrocarburi è l'abbassamento della crosta terrestre: la cosiddetta subsidenza. Un caso emblematico, finito nell'aula di un Tribunale, è quello dell'Alto \driatico. La vicenda parte dall'alluvione del '51 e dalle inondazioni che fino al '66 hanno flagellato il Polesine. In quegli anni furono registrati abbassamenti del terreno fino a tre metri e mezzo, ricondotti alle estrazioni di gas: i pozzi vennero chiusi. .Ma nel '98 la Conferenza nazionale su energia e ambiente stabilisce che il 40% del fabbisogno energetico deve essere coperto da fonti nazionali e l'Eni decide di riprendere le attività al largo delle province di Venezia e Rovigo, Unico ostacolo il decreto Ronchi, che vieta le estrazioni entro le 12 miglia nautiche dalla costa, limite che sarebbe stato aggirato per i pozzi di almeno due giacimenti. \el 2002, dopo un provvedimenti» del ministero dell'Industria che autorizza l'Eni a installare le due piattaforme fino al 2016, arriva la "benedizione" della commissione Via (Valutazione d'impatto ambientale), l'er la Procura di Rovigo in quelle autorizzazioni mancano i documenti sulla localizzazione e l'i sione dei giacimenti e le indicazioì come sarebbero state condotte le f razioni. I reati ipotizzati per i tredici rinviati a giudizio, tra vertici Eni e funzionar] del ministero dell'Allibi vanno dalla tentata inondazione al pa mento delle bellezze naturali.

Salute a rischio
Spesso però non è soltanto l'ambito naturale a pagare le conseguenze di  attività estrattive. All'altro capo dt penisola, nel mare di Crotone, olt subsidenza e all'erosione costiera i Consiglio comunale ha denunciati agosto «un'incidenza allarmante d patologie oncologiche da porsi in relazione con l'attività industriale condotta dall'Eni o da imprese ad collegate». Le forze politiche loca chiedono fra l'altro che venga fina un centro per il monitoraggio ambientale. «Un'o| indispcnsal) spiega Amo Tata, presid del circolo i
cluso un accordo con la Total per lo sfruttamento delle valli del Sauro e del Camastra, si intravede l'apertura di un nuovo fronte a guida Esso all'interno del Parco regionale di Gallipoli Cognato. Ed è intorno a questi temi che Ulderico Pesce, tra le figure di spicco del teatro civile italiano, sta costruendo (dopo il fortunato Storie di scorie, dedicato alla protesta di Scanzano Jonico contro lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi) il suo nuovo spettacolo, intitolato Petrolio: «Essere lucani è come possedere un albero senza essere padroni delle radici - dice - La nostra regione è ostaggio delle compagnie petrolifere». (Marilena Chierico)
 
AMARO LUCANO
È in Val d'Agri il giacimento on shore più grande d'Europa
Nelle valli lucane si racchiude il giacimento on shore più grande d'Europa. Non per nulla secondo le stime dell'Erti potrebbe soddisfare il 12% del nostro fabbisogno energetico. Un triangolo petrolifero che si trova fra Viggiano, Calvello e Corleto Perticara, ricco di sorgenti e siti protetti. Ed è l'acre odore del petrolio, oltre alle strade dissestate dal via vai delle autocisterne, a tradire la presenza di pozzi nascosti nei boschi. «Gli incidenti avvenuti con sversamento di petrolio
- dice l'avvocato Alfonso Fragomeni di Sos Lucania, l'associazione che raccoglie la protesta delle comunità locali - hanno minacciato corsi d'acqua e inquinato terreni mai bonificati». Intanto i cittadini, denuncia l'associazione, vivono vicino ai pozzi senza conoscere i rischi che corrono: non esiste neanche una rete fissa per monitorare acqua e aria come previsto dal Protocollo del '98 tra Eni e Regione. «Su questo versante - sostiene Marco De Siasi di Legambiente Basilicata - si registrano inammissibili ritardi: dai programmi di sviluppo per la compensazione ambientale all'adozione di un piano per le emergenze, fino all'istituzione di un Osservatorio ambientale». E mentre l'attività petrolifera prosegue si continuano a ignorare i costi economici e sociali, «II petrolio - sottolinea Fragomeni  non ha portato i risultati sperati sul piano occupazionale, come dimostra lo spopolamento dei paesi della Val d'Agri». Ora si inizia a temere anche per le altre attività economiche. Un rischio non indifferente se si pensa che l'agricoltura, nella sola Val d'Agri, produce ogni anno oltre 26 milioni di euro e impiega 1.700 persone. Nonostante questo, mentre la Regione ha con-
 
Maree nere
Ma ù nell.i Lise dei trasporti che si strano i danni ambientali maggior Secondo i dati presentati a giugni dall'Unione petrolifera, nel solo Mediterraneo le petroliere traspo ogni giorno S milioni di barili

Scarichi a largo
Con quali effetti lo denuncia l'associazione ambientalista: ogni anno un milione di tonnellate di prodotti petroliferi finisce in acqua a causa ili sversamenti deliberati, come il lavaggio delle cisterne. "Il .Mediterraneo - spiega Roberto Gnmgrcco, biologo marino - è già oggi il mare con la più alta densità di residui catramosi fra tutti i mari del mondo. Ogni anno finiscono in mare 60 e "Ornila tonnellate di residui solo per il lavaggio delle cisterne o per lo sversamento delle acque di sentina: è come se si rovesciassero in mare due o tre Prestige». Il nostro inoltre è un mare con un tempo di ricambio estremamente lento (quello completo delle acque superficiali richiede circa 100 anni), dalle coste densamente popolate. «Uno sversamento consistente - riprende fìiangreco -sarebbe rovinoso per la catena alimentare, bisognerebbe bloccare la pesca e il turismo entrerebbe in crisi».