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Chi ha ucciso il pomodoro
Anselmo Botte*
8 settembre 2005

La campagna di trasformazione del pomodoro di quest'anno ha evidenziato in
tutta la sua drammaticità alcune criticità che rischiano di stravolgere il
settore nel nostro territorio.

Il primo elemento di criticità riguarda un eccesso di produzione che in
questi giorni ha determinato forti tensioni in Puglia e che denota una
mancanza di programmazione tra le parti datoriali agricole e quelle
industriali della trasformazione. È da anni che si evidenzia una carenza di
pianificazione, che l'anno scorso ha determinato un eccesso di produzione
equivalente a cinque mesi di consumo. Il buon senso avrebbe dovuto portare
alla definizione di una contrattazione preventiva che tenesse conto di
tutto ciò, invece si sono contrattati quantitativi ancora in eccesso che
nel 2005 produrranno ulteriori eccedenze.
Le manifestazioni dei produttori di pomodoro foggiani sono da addebbitare a
questa situazione in quanto i trasformatori campani hanno difficoltà a
trasformare un prodotto per il quale sanno in partenza che non ci saranno
sbocchi di mercato.
La cattiva pogrammazione non penalizza soltanto il mondo della produzione
agricola, a rimetterci sono le stesse aziende industriali, in quanto le
eccedenze di produzione determinano contrattazioni capestro per la vendita
del prodotto trasformato.
Il prezzo della crisi, come al solito, colpisce in maniera rilevante il
mondo del lavoro composto dalle migliaia di lavoratrici e lavoratori delle
campagne e delle aziende di trasformazione. Che si manifesta con una
drastica riduzione dei già limitati periodi di lavorazione e
nell'inasprimento delle condizioni di sfruttamento: basti pensare alle
drammatiche condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori immigrati nelle
campagne stagionali del conserviero nel salernitano (sottosalario,"cavallo
di ritorno",ecc.).

In questo scenario la sbandierata concorrenza cinese ha un ruolo
decisamente marginale, in quanto il nostro paese importa esclusivamente
concentrato che viene rilavorato e destinato all'export verso i paesi
terzi.
La crisi di questa campagna di trasformazione invece evidenzia i grossi
limiti della contrattazione tra il sistema delle imprese industriali e
quelle agricole che deve muoversi invece in un quadro di programmazione
interregionale tra i territori di produzione agricola come la Puglia e
quelli di presenza industriale come la Campania, che devono essere
considerati un unico elemento della filiera e non territori in
contrapposizione.

La campagna conserviera in corso sarà molto probabilmente l'ultima
caratterizzata da una così consistente presenza occupazionale nella nostra
regione composta da circa 20.000 lavoratori stagionali e 2.000 fissi.
Dal prossimo anno il gruppo A.R. (2.400 unità tra stagionali e fissi)
sposterà tutta la sua produzione di pomodori, legumi e succhi in Puglia,
nel foggiano, dove la vicinanza ai luoghi di produzione dovrebbe accorciare
la filiera e ridurre i costi di produzione.
Ciò potrebbe rappresentare un pericoloso precedente per un comparto che
nato nelle nostre aree ha registrato una costante e lenta riduzione di
produzione a favore dell'Emilia-Romagna prima, ed oggi rischia, con questa
delocalizzazione, di innescare un processo che potrebbe determinare la sua
fine.

Riteniamo dunque opportuna qualche riflessione.
La prima ci induce a constatare il totale fallimento delle politiche di
sviluppo territoriale, va ricreduto infatti, che l'area
dell'Agro-Sarnese-Nocerino e Sud-napoletano è stato oggetto di ben tre
strumenti di sviluppo locale: il Distretto Agroalimentare, il Patto
Territoriale e il Contratto d'Arca.
Nessuno è stato in grado di creare condizioni di sviluppo, hanno al
contrario determinato le condizioni per l'abbandono essendo incapaci di
offrire soprattutto soluzioni delocalizzative adeguate.
La seconda riguarda una pericolosa tendenza alla concorrenza
delocalizzativa che rischia di innescare nel Mezzogiorno una guerra tra
poveri, giocata sulle "agevolazioni" fiscali, strutturali, amministrative
ecc., offerte dai territori trascinati in una competizione selvaggia della
quale è facile ipotizzare le conseguenze negative di una economia costruita
su soluzioni "drogate".
La terza è legata alla mancanza di una strategia di siluppo del comparto,
caratterizzato da un'elevata frammentazione dell'apparato produttivo e da
un'esasperata competizione tra le aziende.
La filiera del pomodoro nel nostro territorio avrà un futuro se riuscurà a
coniugare l'alta qualità della produzione e l'altra professionalità
raggiunta dalle maestranze. Questi due elementi legati ad una
programmazione seria potranno rappresentare una opportunità di sviluppo di
un settore che anche se da tutti considerato maturo può esprimere rinnovate
potenzialità economiche per il territorio.

*Anselmo Botte, Flai Cgil Salerno