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3 sett-Tessile e cotone a Sbilanciamoci: ong, imprese e filiere equo&bio per la campagna La via del cotone
- Subject: 3 sett-Tessile e cotone a Sbilanciamoci: ong, imprese e filiere equo&bio per la campagna La via del cotone
- From: "Monica Di Sisto" <moni.disisto at iol.it>
- Date: Fri, 2 Sep 2005 16:39:52 +0200
Comunicato Stampa - [fair] per Roba dell'Altro Mondo Info stampa: Monica Di Sisto [fair] +39 3358426752 Cristiano Lucchi [metamorfosi] +39 3396675294 Trame di diritti sociali a Sbilanciamoci il 3 settembre ong, sindacati, imprese, e nuove filiere equo&bio protagoniste della campagna La Via del Cotone per un tessile sostenibile. MTV tra i nuovi sostenitori Roma, 2 settembre - Appello ai dazi in casa e delocalizzazioni selvagge nei Paesi più poveri del pianeta. Giusta protezione delle imprese europee e del Made in Italy e allarme dei supermarket globali per il pericolo di scaffali vuoti, dopo le clausole di salvaguardia messe in campo per arginare l'invasione del tessile a basso costo. Il settore tessile vive in questi giorni profonde contraddizioni, stretto com'è tra gli interessi di un settore importante dell'economia europea, la caccia all'ultima maglietta a prezzi stracciati dei giganti globali della distribuzione e la richiesta che sale dai lavoratori e dai consumatori responsabili per una maggiore tutela dei diritti sociali, ambientali e del lavoro lungo tutta la filiera, dalla fibra agli armadi di casa nostra. Ma esiste una strada alternativa, tra l'accettazione passiva del dumping ecologico e sociale e l'esclusione dall' opportunità di sopravvivere a intere aree produttive dell'Est Europa, dell'Asia ma anche della nostra Italia? Una risposta positiva arriva dalla società civile, che sceglie la via della sostenibilità, delle buone pratiche, della riconversione concreta delle filiere tessili, ma che chiede politiche coraggiose e innovative, strategie commerciali e di investimento più trasparenti e sostenibili, nel Nord come nel sud del mondo. Nell'appuntamento romano del Forum Sbilanciamoci, sabato 3 settembre prossimo alle ore 15.00 a Corviale, viene lanciata "La via del cotone - Sulla buona strada", la terza fase della Campagna sul cotone promossa da Tradewatch (Osservatorio sul commercio internazionale promosso da Campagna Riforma Banca Mondiale, Centro Internazionale Crocevia, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Gruppo d'appoggio al movimento contadino dell'Africa occidentale, Mani Tese, Rete Lilliput, Roba dell'Altro Mondo <http://www.tradewatch.it>www.tradewatch.it). Con il Seminario (v. programma dettagliato in fondo) TRAME DI DIRITTI SOCIALI. LA FILIERA TESSILE DAI DIRITTI DEL LAVORO ALLA CONFERENZA MINISTERIALE DELLA WTO, le organizzazioni di Tradewatch si confrontano con le realtà del biologico come Icea, i sindacati come FILTEA-Cgil e il mondo delle imprese rappresentato da CNA-Federmoda, per trovare insieme risposte e percorsi di cambiamento, in attesa di interlocutori politici all'altezza delle loro ambizioni. Dopo due anni di analisi e di mobilitazione, la campagna propone un'alternativa, pratica e politica, alla portata di tutti: un progetto di cooperazione e di riconversione biologica ed equa e solidale di una filiera di prodotti di cotone (monitorata dalla Campagna Abiti Puliti), che porta dall'India nelle nostre case maglieria, borse della spesa e biancheria a prova di etica e di ambiente. "La via del cotone - Sulla buona strada" a Sbilanciamoci riapre anche il cantiere per un pacchetto di proposte politiche e di azioni di mobilitazione che coinvolgano enti locali, parlamentari, sindacati e imprese responsabili, in vista dell'assemblea ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), convocata per il prossimo dicembre a Hong Kong. Oltre alle associazioni del Tradewatch la campagna viene sostenuta dall'ente per la certificazione biologica ICEA, Legambiente, i periodici Altreconomia e Carta e il canale musicale MTV. Approfondimenti Cotone: un mercato a competizione limitata Il mercato internazionale non è libero né si basa davvero sulla capacità di competere. Il cotone ne è la prova più evidente. A un coltivatore del Mali per produrre un chilo di cotone occorrono 22 centesimi di dollaro contro i 68 di un produttore americano. Con quei 22 centesimi paga i semi, la chimica, e il piccolo margine che resta non gli paga né il lavoro, né l'assicurazione previdenziale e sanitaria di cui non gode. Eppure i contadini del Mali sono in crisi. Dal 1997 al 2002 il calo del prezzo internazionale di questa materia prima è stato del 40%. Dopo un parziale recupero nella stagione 2003/2004, dovuto ad una momentanea riduzione della produzione cinese, si stima un calo del 12% nella stagione 2004/2005. Nonostante le esportazioni del Burkina Faso siano aumentate del 50% dal 1994 ad oggi, i ricavi sono diminuiti di un valore pari a 60 milioni di dollari. Quali le cause della costante discesa dei prezzi? Diverse, non secondaria la sovrapproduzione mondiale sostenuta dalla deregolamentazione del mercato americano avvenuta proprio nel 1995. Da allora l’amministrazione USA fornisce pagamenti diretti ai suoi 25 mila grossi produttori per compensare la diminuzione dei prezzi di mercato, favorendo di fatto l’esportazione di cotone a prezzi inferiori a quelli di produzione, effetto comunemente definito col termine di dumping. La finanziaria agricola del 2002 (la Farm Bill) ha aumentato i sussidi agricoli USA ma i contadini americani non hanno ricevuto benefici reali, a trarne profitto sono i mercanti, le imprese che acquistano e commerciano prodotti come cotone, grano, riso, zucchero e soia. Il caso - ogm e mercato nero Stando agli unici dati mondiali sulla diffusione delle colture transgeniche, l’universo degli OGM oggi in commercio è rappresentato da quattro colture adottate al 96% in soli cinque paesi; fra queste, il cotone geneticamente modificato è la specie che registra l’incremento maggiore in termini di crescita annua delle superfici, pur rappresentando, con i suoi 9 milioni di ettari, l’11% delle estensioni a OGM. Argentina, Australia, Cina, Colombia, India, Indonesia, Messico, Sud Africa e USA, pari al 59% della produzione mondiale di cotone, sono i nove paesi che hanno autorizzato il ricorso a varietà transgeniche della fibra, in alcuni casi con percentuali ‘simboliche’ di adozione reale nelle campagne. Il dato più interessante è la stima secondo cui l’85% dei 7 milioni dei coltivatori mondiali di cotone GM è rappresentato da piccoli contadini cinesi, indiani e sudafricani, che accedono ai semi attraverso il mercato nero, per acquistarli a prezzi inferiori, ma lo fanno senza riuscire, spesso, a prevedere le conseguenze di questa loro scelta. Nello stato indiano dell’Andhra Pradesh il prezzo di vendita medio del seme di cotone GM si aggira infatti fra le 1.600 e 1.700 rupie per un sacchetto da 450 grammi (rispetto alle 350- 450 del cotone convenzionale) e tale prezzo include 1.250 rupie di royalty su ogni pacchetto richieste dalla Monsanto sul seme GM brevettato. In Andhra Pradesh le autorità hanno vietato, con un provvedimento che non ha precedenti, la commercializzazione di varietà di cotone GM già autorizzate, a causa del loro fallimento colturale e del rifiuto di indennizzare i coltivatori per circa 450 milioni di rupie, come ordinato dallo stesso governo dello stato. Un indennizzo per compensare le perdite dovute ai maggiori costi della semente, al ricorso inatteso ad alte dosi di insetticidi chimici necessarie per combattere i parassiti e al minore raccolto. In Australia il problema del monopolio assume altre forme: la Monsanto, monopolista nel paese per il seme GM di cotone, ha deciso di aumentare i prezzi della semente del 20%, in una situazione in cui si stima che il 70% delle coltivazioni della fibra sia OGM8, sfruttando quindi la propria posizione dominante sul mercato. Con buona pace del libero mercato I diritti nel tessile - le zone franche Nel 2003, secondo il rapporto annuale sulle violazioni dei diritti sindacali della CISL (Confederazione Internazionale Sindacati Liberi), sono stati uccisi 129 sindacalisti nel mondo mentre crescono sensibilmente le minacce di morte, gli arresti e le molestie fisiche, un rapporto che mette in evidenza come le crescente competizione globale sia accompagnata dal progressivo deterioramento dei diritti sindacali. I governi, per assicurarsi i benefici di breve periodo che il mercato può procurare, vedono i sindacati come un ostacolo al loro sviluppo economico. In Uganda il Presidente Musoveni ha ammesso pubblicamente che il licenziamento di massa dei lavoratori in sciopero del settore tessile è avvenuto perchè la loro azione avrebbe spaventato gli investitori. In Asia sarebbero, sempre nel 2003, più di 300.000 i lavoratori licenziati per attività sindacali. Le zone franche di esportazione (Export Processing Zones), ad esempio, sono state appositamente concepite e predisposte per attirare investimenti stranieri che possono affluire a condizioni imbattibili: tra queste spicca l’assenza di qualunque forma di organizzazione sindacale, garantita da compiacenti autorità locali che fanno a gara a chi abbatte prima e meglio gli ostacoli sociali e legislativi che potrebbero disincentivare l’afflusso di capitali. Sempre secondo le stime dichiarate dalla CISL, nel 2002 le EPZ erano più di 3.000, in 116 paesi del mondo: vi lavorano oggi più di 50 milioni di lavoratori, ai sindacalisti è proibito entrare. Molti di questi lavoratori in Asia e in America Latina sono impiegati nell’industria tessile e la maggioranza sono donne. Qui le condizioni di lavoro sono disumane, repressione e intimidazioni, violenze sessuali e licenziamenti, assenza di misure di sicurezza e elevati rischi per la salute sono la norma; i salari sono infimi e gli orari medi di 12 ore, con punte di 16. Qui assistiamo alla saldatura tra gli interessi degli investitori e la disponibilità totale degli stati a subordinare a questi il rispetto dei diritti fondamentali. Nel settore tessile l’utilizzo di lavoro informale è massiccio e direttamente collegato alla frammentazione della filiera che assegna ad agenti ed intermediari il compito di individuare fornitori competitivi; gli ordini dei grandi marchi finiscono, dopo numerosi passaggi, ad essere processati da lavoratori senza nome pescati nei meandri dell’economia informale. Si tratta per la maggioranza ancora di donne, 35 milioni in tutto il mondo di cui solo 8,4 milioni impiegate formalmente, che molto spesso ignorano la filiera globale in cui sono implicate e ignorano l’esistenza di leggi e contratti di lavoro vigenti nel loro paese. GREEN TO FAIR: il Rajlakshmi Cotton Project. L’industria tessile in India è una delle più antiche e importanti, impiega oggi 35 milioni di persone dai contadini fino ai distributori del prodotto tessile finito. Le esportazioni del tessile e abbigliamento rappresentano il 4% del commercio totale pari a 14 miliardi di dollari, ma si prevede possano crescere fino al 18% nel 2013, superando i 30 miliardi di dollari. L’industria tessile è composta da diversi settori: quello della fabbricazione industriale della fibra, quello della tessitura manuale e meccanica e il settore del confezionamento. Negli anni 2003/2004 la produzione complessiva di tessuti si è attestata intorno ai 43.000 mq. I tre settori hanno forti collegamenti e caratteristiche complementari; mentre gran parte della produzione di filo avviene nell’industria, il 96% della produzione di tessuto avviene nel settore della tessitura manuale e meccanica. Il settore industriale organizzato perciò concorre solo per il 4% al totale della produzione. La crescita della domanda ha inoltre prodotto una proliferazione di unità produttive; gli imprenditori, per aggirare le restrizioni legislative, comprimere i costi del lavoro ed eludere il controllo sindacale hanno scelto di esternalizzare la maggioranza delle loro produzioni a imprese di tessitura subcontraenti, che operano quasi tutte al di fuori da ogni obbligo legale. A causa della progressiva frammentazione della filiera, il 90% dei lavoratori tessili opera oggi nel settore informale. Le condizioni di lavoro sono pessime, da tutti i punti di vista e, soprattutto, questi lavoratori ufficialmente non esistono: non vi sono registri delle presenze, delle paghe, gli straordinari sono obbligatori; non hanno diritto alle tutele previdenziali e sanitarie. Nel settore agricolo dove si coltiva il cotone sono impiegati 450.000 bambini tra i 6 e i 14 anni, la maggioranza sono femmine, pagate il 30% in meno di una lavoratrice adulta e il 55% in meno di un lavoratore adulto; il lavoro è insicuro, instabile, e soprattutto pericoloso, a causa del massiccio e indiscriminato impiego di pesticidi cui i lavoratori sono continuamente esposti. I problemi principali sono legati al lavoro infantile e all’uso di sostanze fortemente dannose per la salute dei lavoratori e dell’ambiente. Accanto a situazioni generalizzate e prevalenti di negazione dei diritti e sfruttamento delle risorse naturali, stanno crescendo filiere di produzione e trasformazione molto avanzate che internalizzano i costi sociali e ambientali e propongono prodotti rispettosi dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori. Il Rajlaksmi Cotton Project rappresenta una di queste esperienze imprenditoriali sostenibili in cui collaborano soggetti diversi dell’economia, dalla coltivazione del cotone sul campo al prodotto finito: gruppi di piccoli produttori, imprese profit, organizzazioni del commercio equo e organizzazioni di consumatori organizzati nate per spingere le imprese a adottare comportamenti responsabili, come la Clean Clothes Campaign. Il prodotto di questa sinergia è una filiera organica e socialmente sostenibile che adotta i criteri del Fair Trade ma anche il codice di condotta proposto dalla Clean Clothes Campaign. Il cotone organico, certificato da Skal lungo tutto il processo produttivo viene dunque filato, tessuto e confezionato remunerando equamente i contadini e rispettando i diritti dei lavoratori e delle comunità in cui essi vivono. L’implementazione del codice avviene attraverso la formazione sul campo accompagnata da esperti della Clean Clothes Campaign che collaborano con organizzazioni del Fair Trade europeo. Per il 2005 l’obiettivo è conseguire il definitivo adeguamento a tutti i principi del codice, oltre alla certificazione dei prodotti da parte di FLO Cert, a testimonianza di risultati frutto di processi complessi e non improvvisati. La Campagna La via del Cotone presenta questa buona pratica come filiera attraverso la quale dimostra che è possibile produrre e acquistare prodotti tessili biologici che rispondono ai criteri di qualità, equità e giustizia. Il seminario Sabato 3 settembre 2005 h 15.00 <http://www.sbilanciamoci.org>www.sbilanciamoci.org TRAME DI DIRITTI SOCIALI. LA FILIERA TESSILE DAI DIRITTI DEL LAVORO ALLA CONFERENZA MINISTERIALE DELLA WTO (promosso da Fair, Roba, Rete Lilliput, Tradewatch, Campagna EuropAfrica) Il commercio internazionale di prodotti tessili, i negoziati in sede W.T.O., la tutela dei diritti e dell'ambiente nelle filiere produttive al centro e alle periferie del mondo. La società civile organizzata ed i singoli cittadini sono chiamati ad intervenire attraverso la denuncia e la proposta, con la costruzione di alternative sostenibili, con il sostegno alle esperienze reali della responsabilità sociale delle imprese. Il seminario, organizzato in due moduli complementari, vuole cercare di trovare le diverse strade della sostenibilità che possano cambiare qui ed ora lo stato delle cose, con l'intervento di esponenti della società civile in movimento, di sindacalisti e di imprenditori. Un vero e proprio cantiere, collegato ad esperienze come i Tavolo italiano per un Tessile Biologico ed Equo e Solidale, dove contribuire a porre le basi per una maggiore consapevolezza ed una migliore collaborazione tra i vari soggetti coinvolti. I° MODULO: Dalla fine dell'Accordo multifibre alla ministeriale WTO di Hong Kong. Costruire l'alternativa. (promosso da Fair, Roba, Rete Lilliput, Tradewatch, Campagna EuropAfrica) Monica Di Sisto (ROBA/Fair) Paolo Foglia (Icea) Antonio Onorati (Crocevia) Luca Colombo (Consiglio per i diritti genetici) Nora McKeon (Terra Nuova - Campagna EuropAfrica) modera: Alberto Zoratti (Tradewatch) II° MODULO: Trasparenza di filiera e tutela dei diritti: la risposta della Società civile al dumping economico, ambientale e sociale. (promosso da Fair, Roba, Aiab). Deborah Lucchetti - (ROBA/Campagna Abiti Puliti) Antonio Franceschini - (segretario CNA Federmoda Emilia Romagna) Gian Piero Ciambotti - (Filtea-CGIL) Andrea Ferrante - (presidente AIAB) modera: Alberto Zoratti (Tradewatch) ----------------------------------------------------------------------------- MTV sostiene la campagna LA VIA DEL COTONE
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