cina l'esercito di schiavi che fabbricano il nostro lusso



da repubblica.it
19.05.2005

I lavoratori svelano le spaventose condizioni di lavoro
Orari infernali, sfruttamento e paghe da fame
I lager cinesi che fabbricano
il sogno occidentale
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

Per confezionare un paio di Timberland, vendute in Europa a 150 euro, nella
città di Zhongshan un ragazzo di 14 anni guadagna 45 centesimi di euro.
Lavora 16 ore al giorno, dorme in fabbrica, non ha ferie né assicurazione
malattia, rischia l'intossicazione e vive sotto l'oppressione di
padroni-aguzzini. Per fabbricare un paio di scarpe da jogging Puma una
cinese riceve 90 centesimi di euro: il prezzo in Europa è 178 euro per il
modello con il logo della Ferrari. Nella fabbrica-lager che produce per la
Puma i ritmi di lavoro sono così intensi che i lavoratori hanno le mani
penosamente deformate dallo sforzo continuo.
Gli operai cinesi che riforniscono i nostri negozi - l'esercito proletario
che manda avanti la "fabbrica del mondo" - cominciano a parlare. Rivelano
le loro condizioni di vita a un'organizzazione umanitaria, forniscono prove
dello sfruttamento disumano, del lavoro minorile, delle violenze, delle
malattie. Qualche giornale cinese rompe l'omertà. Ci sono scioperi
spontanei, in un Paese dove il sindacato unico sta dalla parte dei padroni.
Vengono alla luce frammenti di una storia che è l'altra faccia del miracolo
asiatico, una storia di sofferenze le cui complicità si estendono dal
governo di Pechino alle multinazionali occidentali.
La fabbrica dello "scandalo Timberland" è nella ricca regione meridionale
del Guangdong, il cuore della potenza industriale cinese, la zona da cui
ebbe inizio un quarto di secolo fa la conversione accelerata della Cina al
capitalismo.
L'impresa di Zhongshan si chiama Kingmaker Footwear, con capitali
taiwanesi, ha 4.700 dipendenti di cui l'80% donne. Ci lavorano anche
minorenni di 14 e 15 anni. La maggioranza della produzione è destinata a un
solo cliente, Timberland. Kingmaker Footwear è un fornitore che lavora su
licenza, autorizzato a fabbricare le celebri scarpe per la marca americana.
Le testimonianze dirette sui terribili abusi perpetrati dietro i muri di
quella fabbrica sono state raccolte dall'associazione umanitaria China
Labor Watch, impegnata nella battaglia contro lo sfruttamento dei minori e
le violazioni dei diritti dei lavoratori.
Le prove sono schiaccianti. Di fronte a queste rivelazioni il quartier
generale della multinazionale ha dovuto fare mea culpa. Lo ha fatto in
sordina; non certo con l'enfasi con cui aveva pubblicizzato il premio di
"migliore azienda dell'anno per le relazioni umane" decretatole dalla
rivista Fortune nel 2004. Ma attraverso una dichiarazione ufficiale firmata
da Robin Giampa, direttore delle relazioni esterne della Timberland, ora i
vertici ammettono esplicitamente: "Siamo consapevoli che quella fabbrica ha
avuto dei problemi relativi alle condizioni di lavoro. Siamo attualmente
impegnati ad aiutare i proprietari della fabbrica a migliorare".
I "problemi relativi alle condizioni di lavoro" però non sono emersi
durante le regolari ispezioni che la Timberland fa alle sue fabbriche
cinesi (due volte l'anno), né risultano dai rapporti del suo rappresentante
permanente nell'azienda. Sono state necessarie le testimonianze disperate
che gli operai hanno confidato agli attivisti umanitari, rischiando il
licenziamento e la perdita del salario se le loro identità vengono
scoperte. "In ogni reparto lavorano ragazzi tra i 14 e i 16 anni", dicono
le testimonianze interne: uno sfruttamento di minori che in teoria la Cina
ha messo fuorilegge. La giornata di lavoro inizia alle 7.30 e finisce alle
21 con due pause per pranzo e cena, ma oltre l'orario ufficiale gli
straordinari sono obbligatori.
Nei mesi di punta d'aprile e maggio, in cui la Timberland aumenta gli
ordini, "il turno normale diventa dalle 7 alle 23, con una domenica di
riposo solo ogni 2 settimane; gli straordinari s'allungano ancora e i
lavoratori passano fino a 105 ore a settimana dentro la fabbrica". Gli
informatori dall'interno dello stabilimento hanno fornito 4 esemplari di
buste paga a China Labor Watch. La paga mensile è di 757 yuan (75 euro) "ma
il 44% viene dedotto per coprire le spese di vitto e alloggio". Vitto e
alloggio significa camerate in cui si ammucchiano 16 lavoratori su brandine
di metallo, e una mensa dove "50 lavoratori sono stati avvelenati da
germogli di bambù marci". In fabbrica i manager mantengono un clima
d'intimidazione "incluse le violenze fisiche; un'operaia di 20 anni
picchiata dal suo caporeparto è stata ricoverata in ospedale, ma l'azienda
non le paga le spese mediche".
Un mese di salario viene sempre trattenuto dall'azienda come arma di
ricatto: se un lavoratore se ne va lo perde. Altre mensilità vengono
rinviate senza spiegazione. L'estate scorsa il mancato pagamento di un mese
di salario ha provocato due giorni di sciopero.
Anche il fornitore della Puma è nel Guangdong, località Dongguan. Si chiama
Pou Yuen, un colosso da 30.000 dipendenti. In un intero stabilimento,
l'impianto F, 3.000 operai fanno scarpe sportive su ordinazione per la
multinazionale tedesca. La lettera di un'operaio descrive la sua
giornata-tipo nella fabbrica. "Siamo sottoposti a una disciplina di tipo
militare. Alle 6.30 dobbiamo scattare in piedi, pulirci le scarpe, lavarci
la faccia e vestirci in 10 minuti. Corriamo alla mensa perché la colazione
è scarsa e chi arriva ultimo ha il cibo peggiore, alle 7 in punto bisogna
timbrare il cartellino sennò c'è una multa sulla busta paga. Alle 7 ogni
gruppo marcia in fila dietro il caporeparto recitando in coro la promessa
di lavorare diligentemente. Se non recitiamo a voce alta, se c'è qualche
errore nella sfilata, veniamo puniti. I capireparto urlano in
continuazione. Dobbiamo subire, chiunque accenni a resistere viene
cacciato. Noi operai veniamo da lontani villaggi di campagna. Siamo qui per
guadagnare. Dobbiamo sopportare in silenzio e continuare a lavorare. (...)
Nei reparti-confezione puoi vedere gli operai che incollano le suole delle
scarpe. Guardando le loro mani capisci da quanto tempo lavorano qui. Le
forme delle mani cambiano completamente. Chi vede quelle mani si spaventa.
Questi operai non fanno altro che incollare... Un ragazzo di 20 anni ne
dimostra 30 e sembra diventato scemo. La sua unica speranza è di non essere
licenziato. Farà questo lavoro per tutta la vita, non ha scelta. (...)
Lavoriamo dalle 7 alle 23 e la metà di noi soffrono la fame. Alla mensa c'è
minestra, verdura e brodo. (...) Gli ordini della Puma sono aumentati e il
tempo per mangiare alla mensa è stato ridotto a mezz'ora. (...) Nei
dormitori non abbiamo l'acqua calda d'inverno". Un'altra testimonianza
rivela che "quando arrivano gli uomini d'affari stranieri per un'ispezione,
gli operai vengono avvisati in anticipo; i capi ci fanno pulire e
disinfettare tutto, lavare i pavimenti; sono molto pignoli".
Minorenni alla catena di montaggio, fabbriche gestite come carceri, salari
che bastano appena a sopravvivere, operai avvelenati dalle sostanze
tossiche, una strage di incidenti sul lavoro. Dietro queste piaghe c'è una
lunga catena di cause e di complicità. Il lavoro infantile spesso è una
scelta obbliga per le famiglie. 800 milioni di cinesi abitano ancora nelle
campagne dove il reddito medio può essere inferiore ai 200 euro all'anno.
Per i più poveri mandare i figli in fabbrica, e soprattutto le figlie, non
è la scelta più crudele: nel ricco Guangdong fiorisce anche un altro
mercato del lavoro per le bambine, quello della prostituzione. Gli
emigranti che arrivano dalle campagne finiscono nelle mani di un
capitalismo cinese predatore, avido e senza scrupoli, in un paese dove le
regole sono spesso calpestate. Alla Kingmaker che produce per la
Timberland, gli operai dicono di non sapere neppure "se esiste un
sindacato; i rappresentanti dei lavoratori sono stati nominati dai
dirigenti della fabbrica".
Le imprese che lavorano su licenza delle multinazionali occidentali, come
la Kingmaker e la Pou Yuen, non sono le peggiori. Ancora più in basso ci
sono i padroncini cinesi che producono in proprio. Per il quotidiano
Nanfang di Canton, i due giornalisti Yan Liang e Lu Zheng sono riusciti a
penetrare in un distretto dell'industria tessile dove il lavoro minorile è
la regola, nella contea di Huahu. Hanno incontrato Yang Hanhong, 27 anni,
piccolo imprenditore che recluta gli operai nel villaggio natale. Ha 12
minorenni alle sue dipendenze. Il suo investimento in capitale consiste
nell'acquisto di forbici e aghi, con cui i ragazzini tagliano e cuciono le
rifiniture dei vestiti. "La maggior parte di questi bambini - scrivono i
due reporter - soffrono di herpes per l'inquinamento dei coloranti
industriali. Con gli occhi costretti sempre a fissare il lavoro degli aghi,
tutti hanno malattie della vista. Alla luce del sole non possono tenere
aperti gli occhi infiammati. Lamentano mal di testa cronici. Liu Yiluan, 13
anni, non può addormentarsi senza prendere 2 o 3 analgesici ogni sera. Il
suo padrone dice che Liu gli costa troppo in medicinali".
Se mai un padrone venisse colto in flagrante reato di sfruttamento del
lavoro minorile, che cosa rischia? Una multa di 10.000 yuan (mille euro),
cioè una piccola percentuale dei profitti di queste imprese. La revoca
della licenza invece scatta solo se un bambino "diventa invalido o muore
sul lavoro". Comunque le notizie di processi e multe di questo tipo
scarseggiano. La battaglia contro lo sfruttamento del lavoro minorile non
sembra una priorità per le forze dell'ordine.
Tra le marche straniere Timberland e Puma sono il campione rappresentativo
di una realtà più vasta. Per le opinioni pubbliche occidentali le
multinazionali compilano i loro Social Reports, quei "rapporti sulla
responsabilità sociale d'impresa" di cui la Nike è stata il precursore.
Promettono trasparenza sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche dei loro
fornitori. Salvo "scoprire" con rammarico che i loro ispettori non hanno
visto, che gli abusi continuano. Diversi auditor denunciano il fatto che in
Cina ora prolifera anche la contraffazione delle buste-paga, i falsi
cartellini orari, le relazioni fasulle degli ispettori sanitari: formulari
con timbri e numeri artefatti per simulare salari e condizioni di lavoro
migliori, documenti da dare alle multinazionali perché mettano a posto le
nostre coscienze. La Nike nel suo ultimo Rapporto Sociale dice delle sue
fabbriche cinesi che "la falsificazione da parte dei manager dei libri-paga
e dei registri degli orari di lavoro è una pratica comune".
La parte delle belle addormentate nel bosco non si addice alle
multinazionali. I loro ispettori possono anche essere ingenui ma i numeri,
i conti sul costo del lavoro, li sanno leggere bene in America e in
Germania (e in Francia e in Italia). La Puma sa di spendere 90 centesimi di
euro per un paio di sneakers, gli stessi su cui poi investe ben 6 euro in
costose sponsorizzazioni sportive. La Timberland sa di pagare mezzo euro
l'operaio che confeziona scarpe da 150 euro.
Hu Jintao, presidente della Repubblica popolare e segretario generale del
partito comunista cinese, ha accolto lunedì a Pechino centinaia di top
manager, industriali e banchieri stranieri venuti per il Global Forum di
Fortune. Il discorso di Hu di fronte ai rappresentanti del capitalismo
mondiale è stato interrotto da applausi a scena aperta. Il quotidiano
ufficiale China Daily ha riassunto il suo comizio con un grande titolo in
prima pagina: "You come, you profit, we all prosper". Voi venite, fate
profitti, e tutti prosperiamo. Non è evidente chi sia incluso in quei
"tutti", ma è chiaro da che parte sta Hu Jintao.

ina, le "città segrete" del lavoro minorile
      Denunciare gli sfruttamenti dei ragazzi è un reato punito col carcere

Chi parla rischia grosso: è molto difficile trovare informazioni
sulla piaga sociale che colpisce almeno 10 milioni di bambini
Ma sui giornali del Guangdong qualche vicenda sfugge alla legge del
silenzio ed appaiono le prime inchieste sul fenomeno
Certi turni con straordinari obbligatori raggiungono 18 ore al
giorno, con settimane lavorative di 7 giorni e un solo giorno di riposo al
mese
In caso di ispezioni gli operai sono addestrati su cosa dire per non
perdere il posto. Devono rispondere sì alla domanda: "Qui siete felici?"

FEDERICO RAMPINI

PECHINO - Jimi: in cinese è l´equivalente di "top secret". Nel 2000
il ministero del Lavoro e l´Ufficio di polizia per la protezione dei
segreti di Stato hanno varato un regolamento che all´articolo 3 comma 1
classifica come jimi la «diffusione di informazioni sul lavoro minorile».
Chiunque contribuisca a rivelare casi di sfruttamento di bambini nelle
fabbriche cinesi è quindi imputabile di avere tradito «segreti di Stato». È
un crimine per il quale si rischia l´arresto immediato, una condanna per le
vie brevi senza avvocato difensore, e pesanti pene in carcere.
Questo spiega perché sia molto difficile trovare informazioni sul
lavoro infantile, una piaga sociale che secondo le stime più prudenti
colpisce almeno 10 milioni di bambini in Cina (ma è ben più drastico
l´Ufficio internazionale del lavoro con sede a Ginevra: calcola siano fino
all´11,6% i minorenni costretti a lavorare, cioè molte decine di milioni).
Eppure sui giornali del Guangdong - la regione meridionale che è il cuore
della potenza industriale cinese - qualche vicenda sfugge alla legge del
silenzio. Il sito online del quotidiano di Nanfang espone un´inchiesta sui
lavoratori immigrati: c´è la foto di un sedicenne con un dito amputato da
un incidente in fabbrica. Un´altra immagine, ripresa da lontano con il
teleobiettivo, mostra una piccola impresa di giocattoli: tanti bambini
lavorano seduti dietro i banconi.
Si scopre che uno dei paraventi utilizzati per nascondere il lavoro
minorile è camuffarlo come apprendistato organizzato dalle scuole. Zhang
Li, un ragazzo di 15 anni, ha rivelato che la sua scuola tecnica lo ha
portato insieme con altri 40 studenti (alcuni di soli 13 anni) a lavorare
in una fabbrica elettronica di Shenzhen. Salario: dai 600 agli 800 yuan
(60-80 euro) al mese per lavorare dall´alba a mezzanotte, e dormire stipati
in 12 per stanza. L´inganno delle scuole usate come una copertura per far
lavorare i ragazzi venne alla luce per la prima volta con una sciagura del
2001, riportata anche dai mass media nazionali. 42 bambini delle elementari
morirono nel rogo di una scuola dello Jianxi. L´incendio era scoppiato
perché quella in realtà non era una scuola ma una fabbrica di fuochi
d´artificio. Non ha "bucato" i filtri della censura, invece, una tragedia
più recente. È accaduta due giorni prima dello scorso Natale nel paesino di
Beixinzhuang. Cinque ragazzine quattordicenni sono morte soffocate dal fumo
nel sonno, nel minuscolo dormitorio adiacente alla fabbrica di tessuti in
cui lavoravano. Particolare atroce, si sospetta che un paio di loro siano
state sepolte ancora agonizzanti dal padrone dell´azienda che aveva fretta
di fare sparire i corpi.
Lo si è saputo cinque mesi dopo, e solo grazie all´associazione
umanitaria Human Rights in China. Sun Jiangfen, la mamma di una delle
ragazzine morte, si è spiegata così: «Nelle campagne noi non possiamo
permetterci di mandare i figli a scuola come fanno i cittadini. In questo
villaggio ogni famiglia ha dei figli che lavorano in fabbrica». Sua figlia
Jia Wanyun era diventata operaia a 14 anni perché i genitori potessero
pagare gli studi al fratello. Le era stato promesso un salario di 85 euro
al mese per lavorare dodici ore al giorno, sette giorni alla settimana,
senza ferie. Quando è morta era in fabbrica già da più di un mese ma il
padrone non le aveva versato lo stipendio, con la scusa che era ancora una
apprendista.
Le organizzazioni umanitarie che si battono per proteggere i bambini
contestano la credibilità delle multinazionali che subappaltano la
produzione in Cina, quando i manager occidentali affermano che nelle loro
fabbriche i diritti umani sono rispettati. In realtà nelle aziende cinesi
che riforniscono le multinazionali, i manager locali obbligano gli operai a
imparare a memoria le risposte false che devono dare in caso di ispezione.
Gli operai dell´azienda He Yi di Dongguan sono riusciti a procurare
all´associazione China Labor Watch un esemplare originale delle «istruzioni
per l´inganno»: è un questionario in 28 punti distribuito dai capi, per
preparare i lavoratori ad affrontare una visita dei rappresentanti di
Wal-Mart, la grande catena di ipermercati americani. Una delle
domande-risposte da imparare a memoria: «Avete mai visto lavorare dei
minorenni in questa fabbrica? No, mai». Sono in tutto 28 domande, dal
salario agli orari di lavoro, dalle ferie allo spazio vitale nei dormitori.
Su ogni punto gli operai sono addestrati in anticipo, con l´obbligo di
mentire se non vogliono perdere il posto. È previsto che rispondano di sì
anche alla domanda: «Qui siete felici?»
La He Yi di Dongguan è al centro di uno scandalo che colpisce una
delle marche americane più celebri in tutto il pianeta, la Walt Disney.
Alla He Yi nella stagione di punta (maggio-ottobre) 2.100 operai fabbricano
bambole e giocattoli di plastica con il marchio Disney. Dall´interno della
fabbrica gli operai insieme con il "manuale delle bugie" hanno fatto
giungere agli attivisti umanitari anche le fotocopie dei veri cartellini
orari, le buste paga autentiche. Fanno turni quotidiani che con gli
straordinari obbligatori possono raggiungere le 18 ore al giorno. Hanno una
settimana lavorativa di sette giorni su sette, con un solo giorno di riposo
al mese. Le paghe sono di 13 centesimi di euro all´ora, inferiori perfino
al salario minimo legale cinese. I ritardi nel pagare i salari sono
frequenti, e 50 operai sono stati licenziati nel gennaio 2004 dopo aver
osato protestare perché la paga non arrivava. Non c´è pensione, né
assistenza sanitaria in caso di malattia. Nei dormitori vengono stipati
venti operai per stanza. E si riducono a una farsa le ispezioni della Walt
Disney: vengono annunciate con ben venti giorni di anticipo al management
della He Yi, che obbliga gli operai a recitare una versione dei fatti più
rassicurante. La Disney, messa di fronte a questi documenti, è costretta ad
ammettere. Ho scritto alla direttrice delle Corporate Communications della
Walt Disney Consumer Products negli Stati Uniti, Nidia Caceros Tatalovich,
per avere una reazione ufficiale dell´azienda di fronte allo scandalo dei
«giocattoli della miseria». Mi ha risposto che «una verifica condotta dalla
Disney (in seguito alle denunce delle associazioni umanitarie, ndr) ha
confermato la validità di varie accuse». La direttrice delle relazioni
esterne aggiunge che adesso la Disney sta «incoraggiando» il management
dell´azienda a migliorare le condizioni in fabbrica.
Gli attivisti di China Labor Watch non vogliono aizzare il
protezionismo anti-cinese in Occidente. Le loro denunce si concludono
sempre con un appello: «Questa non è una campagna per il boicottaggio dei
prodotti cinesi. Non vogliamo spingere le multinazionali americane ad
annullare i loro acquisti. I lavoratori che ci hanno rivelato queste
notizie non possono permettersi di perdere il posto. È meglio essere
sfruttati che essere disoccupati. Loro chiedono solo di poter essere
trattati come esseri umani». In questo avvertimento c´è una preoccupazione
comprensibile. Le inchieste che cominciano a spezzare l´omertà sul lavoro
minorile in Cina, sullo sfruttamento e sui soprusi contro i lavoratori,
possono portare a conclusioni pericolose: un alibi per i paesi ricchi che
vogliono chiudere le frontiere.
Gli operai cinesi stanno indicando che un´altra soluzione è
possibile. Nella stessa città di Dongguan c´è un gigante dell´industria
calzaturiera che si chiama Stella International: 42.000 operai. Il nome di
quell´azienda sta diventando il simbolo di una nuova èra per la Cina, la
stagione delle lotte operaie. L´anno scorso il malcontento è esploso, la
Stella è stata paralizzata dagli scioperi spontanei. Ci sono state anche
manifestazioni violente, centinaia di operai hanno saccheggiato alcuni
stabilimenti, hanno ferito un dirigente, finché un esercito di poliziotti
ha riconquistato la fabbrica e arrestato i leader della rivolta. Tutta la
vicenda è stata isolata da un cordone sanitario di censura. Ma di recente è
trapelata una notizia sorprendente. Dieci leader della protesta operaia,
condannati in primo grado a tre anni e mezzo di carcere, sono stati assolti
dalla corte d´appello del Guangdong. È un segnale di speranza per i tanti
altri conflitti sociali che sono già esplosi, e per quelli che covano sotto
la cenere. Dalla protezione dei bambini agli aumenti salariali, dal diritto
di sciopero al Welfare, i lavoratori cinesi cominciano a battersi per le
loro conquiste sociali. In un paese dove la Asian Development Bank stima vi
siano 230 milioni di persone sotto la soglia della povertà assoluta - un
dollaro al giorno - la strada è ancora lunga.