il futuro delle città



Il futuro della città

Roberto Camagni*
*Professore ordinario di Economia
Urbana presso il Politecnico di Milano.

I numeri di IfL'articolo analizza i diversi modi in cui ci si può
interrogare sul futuro della città. Rispetto alle visioni del futuro,
orientate a preferire l'aspetto della speranza e dell'immaginazione, più
adatti a scenari di lungo termine, va privilegiato uno scenario che
pragmaticamente consideri le proiezioni dei fenomeni quotidiani. Le reti di
città di medie dimensioni potranno essere la via d'uscita alle
contraddizioni e alle complessità presenti nelle attuali metropoli.
Per il cittadino europeo la città costituisce un simbolo forte e un
archetipo fondamentale di organizzazione della società. Essa è vista e
vissuta infatti come la sede della socialità e della democrazia, come
"politica costruita" nelle parole di Aristotele, come forse la più grande
creatura di quell'animale sociale che è l'uomo. In tutte le epoche storiche
essa ha guidato il cambiamento e l'innovazione, ponendosi come locus del
genio umano e delle sue capacità creative. "Le città europee nascono con l'
Europa e in certo senso fanno nascere l'Europa; sono una ragion d'essere,
forse la principale, dell'Europa come entità storica distinta, continuano a
caratterizzare la civiltà europea quando essa assume un posto dominante nel
mondo, e danno un'impronta - positiva, negativa, ma in ogni senso
preponderante - alle città contemporanee in ogni parte del mondo" 1.
Forse proprio per questo soprattutto in Europa si sono moltiplicate negli
ultimi anni le analisi di prospettiva sulla città, le domande sul suo
futuro, a fronte di cambiamenti epocali nei modi di sviluppo della città
stessa che sembrano minarne forma e funzioni e che hanno fatto gridare
finanche alla 'morte della città'.
Inquietudine di fronte alla prospettiva di un mondo in cui si prevedono 5
miliardi di cittadini su 8 miliardi complessivi di abitanti nel 2025?
Angoscia per la prospettiva di dematerializzazione delle città, in un mondo
dominato dalle reti di comunicazione? Disagio per la crescente coscienza dei
costi sociali e ambientali della mobilità metropolitana, in particolare
nelle grandi periferie urbane, suburbane e periurbane? Timore di
importazione passiva di modelli insediativi e di stili di vita propri di
altre culture, come quella americana, in un contesto territoriale e storico
tutt'affatto differente? Un poco di tutto questo certamente, e certamente la
sensazione che la città, e quella europea in particolare, abbia perduto il
controllo del suo sviluppo, e che sia passata dall'essere soggetto del
cambiamento e strumento di integrazione e di creatività a semplice oggetto
delle forze di espansione e strumento di segregazione e di anomia.
Da una parte infatti, laddove lo sviluppo della città prosegue pur in
presenza di una stasi demografica, i nuovi modelli insediativi a bassa
densità e i nuovi stili di vita e di mobilità, sempre più dipendenti dall'
automobile, stanno determinando uno stress crescente sull'ambiente urbano,
in termini di rumore, congestione, inquinamento, tempi di pendolarismo,
occupazione degli spazi pubblici per la sosta selvaggia, pressione crescente
sugli spazi verdi periurbani che ne riduce la quantità, l'accessibilità e la
funzione di equilibrio ambientale. Di più, l'identità dei luoghi urbani e il
senso di appartenenza delle popolazioni locali sono diluiti nell'
omologazione delle grandi periferie e nella banalizzazione del paesaggio
della megalopoli diffusa.
Laddove poi la città invece fallisce come motore di sviluppo e di
cambiamento, come accade in molte regioni periferiche o in ritardo, sulla
città si accumulano ulteriori elementi di malessere: i processi di
inurbamento possono essere ancora più veloci, per effetto della crisi delle
aree rurali, non toccate dall'industrializzazione; densità eccessive e
carenza di verde, di infrastrutture efficenti e di servizi caratterizzano le
periferie, effetti e insieme cause della crisi fiscale delle municipalità
centrali.
Grandi trasformazioni dunque, in essere e ancor più in vista per i prossimi
anni. E anche nuove sfide, come quella della globalizzazione, nelle sue
diverse forme: internazionalizzazione dei mercati, multinazionalizzazione
delle produzioni, transnazionalizzazione dell'informazione e delle
competenze; un processo che investe e investirà sempre più i territori e le
loro punte avanzate, le città.

Visioni e previsioni: gli scenari sul futuro della città

Sia in generale sia in particolare per il tema della città, la costruzione
di scenari futuri viene effettuata secondo due tipi di approcci maggiori:
- scenari come 'immagini del futuro', o visioni di uno stato futuro ideale
(e dunque idealtipico e/o desiderabile) che potrebbero divenire reali;
- scenari come 'previsioni condizionali', stati probabili del sistema che
potrebbero realizzarsi sotto certe condizioni assunte esogenamente.
Il primo approccio privilegia la discontinuità e gli elementi di novità
rispetto allo stato presente, senza curarsi eccessivamente del percorso
attraverso il quale le visioni costruite potrebbero realizzarsi. È
tipicamente adottato per previsioni di lungo / lunghissimo termine in cui l'
aspetto del cambiamento paradigmatico prevale sull'elemento della
continuità. In genere si costruiscono visioni o immagini idealtipiche
diverse, tutte relativamente pure ed estreme, al fine di più facilmente
compararne gli effetti socio-territoriali e dunque le caratteristiche di
desiderabilità. Un tipico esempio recente è quello realizzato da un gruppo
di ricercatori all'interno del progetto di prospective avviato dalla DATAR
per il territorio francese, o quello avviato dal gruppo di ricerca diretto
da Elio Piroddi per il CNR, per le città italiane 2. Si costruiscono scenari
alternativi come uno scenario suburbia, con diffusione di residenze e
attività produttive e caduta del ruolo della città centrale, basato sulla
proiezione delle attuali tendenze insediative e la domanda di un ambiente
insieme urbano e naturale; uno scenario broadacre city, che assume la
rivoluzione telematica come motore fondamentale di cambiamento, e giunge a
simili conclusioni in tema di assetti insediativi diffusi; o uno scenario di
'città globale', alla Saskia Sassen 3, in cui trovano posto solo le grandi
metropoli integrate nella rete delle comunicazioni globali, centri di
controllo di una organizzazione produttiva dispersa e luoghi strategici
degli scambi finanziari planetari.
Interessante, perché ancorato a una visione dinamica e dialettica, è al
proposhto l'esercizio di Thierry Gaudin 4 che vede il prossimo secolo come
una successione di tre scenari consecutivi: la montée des sauvages urbains,
2000-2030, caratterizzata da processi di metropolizzazione crescente,
povertà e disintegrazione sociale, crescita degli integralismi,
indebolimento del controllo sociale, onnipresenza di controlli mafiosi e
moltiplicazione di sistemi di protezione di singoli gruppi; il 'declino
delle megapoli', 2030-2060, con lo sviluppo di reti di città medie e piccole
ben collegate da sistemi di trasporto e telecomunicazione efficienti; e il
passaggio alle 'città invisibili', 2060-2100, caratterizzato da un rilancio
dello spirito municipale, dalla specializzazione delle città e il nomadismo
degli abitanti, dalla pervasività della civiltà dello svago.
Al contrario del primo, il secondo approccio privilegia la continuità e il
processo evolutivo, ancorandosi più direttamente a un'interpretazione
approfondita delle tendenze in corso e interrogandosi sugli effetti delle
maggiori contraddizioni e di possibili discontinuità nei grandi elementi di
regolazione del sistema. Esso si rivolge tipicamente al medio/lungo periodo
e la sua rilevanza sta nella assunzione della complessità come
caratteristica dei processi evolutivi (a fronte della semplificazione e
della reductio ad unum effettuata nel primo approccio, che in genere elegge
un elemento - tecnologia, esaurimento delle risorse, irruzione di nuovi
modelli socio-culturali - come forza trainante del mutamento strutturale).

Dove andiamo?

L'interpretazione dello sviluppo territoriale recente ci permette di
cogliere alcuni processi che è possibile proiettare nel futuro più o meno
immediato. Gli elementi forti della trasformazione attengono ai nuovi
modelli di competizione fra imprese, alle nuove forme di organizzazione del
lavoro e all'evoluzione della funzione di utilità degli individui per quanto
attiene le scelte di localizzazione residenziale.
Per quanto concerne i nuovi modelli di competizione, nell'attuale fase di
globalizzazione dei mercati e delle competenze e di concorrenza dinamica
fondata sui processi di innovazione continua, nei prodotti e nei processi, e
nell'accorciamento dei tempi di risposta al mercato, l'elemento centrale per
i decisori privati diviene il controllo dell'incertezza. L'incertezza
discende dalla limitata capacità di raccolta, elaborazione e interpretazione
dell'informazione, dalla difficoltà di tradurre l'informazione in decisione,
dalla limitata capacità di previsione delle azioni dei concorrenti e degli
effetti delle nostre azioni. Una delle risposte a questa condizione sta
nella scelta di localizzazioni 'centrali', nel senso dell'accessibilità all'
informazione, al mercato degli input intermedi e specializzati, al mercato
del lavoro professionale e direttivo, al baricentro delle reti logistiche;
in una parola, nella scelta di localizzazioni metropolitane 5.
È questa della riduzione d'incertezza dinamica attraverso la scelta
localizzativa la spiegazione, che anche recentemente è stata esplicitamente
proposta 6, che meglio spiega la tendenza territoriale più rilevante degli
ultimi quindici anni, quella che in una parola può essere definita come
'metropolizzazione'. Le grandi aree metropolitane e le regioni 'centrali'
sono tornate a essere al centro dello sviluppo, dopo gli anni della
diffusione territoriale (1965-1980, all'incirca), in tutti i paesi avanzati.
Il modello territoriale è tuttavia differente da quello, tipico, in Europa,
degli anni fra le due guerre o del secondo dopoguerra, in cui lo sviluppo
era concentrato attorno alle città capoluogo, che fungevano da centro
organizzatore di un vasto hinterland gerarchicamente sottoposto. Oggi le
grandi metropoli sono assai più indipendenti dal loro hinterland immediato,
e funzionano sempre più come nodi di una rete globale che come capitali
regionali. Esse posseggono certamente una dimensione fisica, ma quest'ultima
è più l'effetto di processi moltiplicativi che non la causa della
competitività e della centralità della metropoli, che va piuttosto ricercata
nella concentrazione di attività internazionali e direzionali e nella
qualità delle relazioni che vi si svolgono.
Si potrebbe dire che le città riacquistano oggi il ruolo che avevano nell'
alto Medioevo e nel Rinascimento (le città-stato, le repubbliche marinare,
le città della lega anseatica, vere e proprie basi operative di rapporti
commerciali, finanziari e diplomatici di lunga distanza, prive di una vera e
propria base territoriale, demografica e produttiva), un ruolo superato
storicamente dall'emergere degli stati nazionali ma oggi riconquistato nella
nuova economia globale 7.
Ma un secondo elemento differenzia il rilancio delle aree centrali e
metropolitane rispetto ai processi del secondo dopoguerra: il modello
microterritoriale non è più un modello di concentrazione e di insediamenti
densi e compatti, è un modello di diffusione insediativa a bassa densità, e
di formazione di nebulose urbane o megalopoli. Nelle parole di Françoise
Choay, la città occidentale che noi conosciamo scompare e viene rimpiazzata
dall''urbano', una non-città e una non-campagna.
Vari elementi determinano questo esito. Da una parte, la nuova domanda di
qualità della vita e di naturalità che, soprattuttto in paesi come gli Stati
Uniti (ove grandi spazi intatti possono fornire queste qualità anche in
ambiente metropolitano, almeno fino a un certo punto) o il Regno Unito (ove
una chiara propensione per il countryside ha sempre caratterizzato la
cultura e le pratiche urbanistiche e territoriali) trova risposte nella
diffusione insediativa. Ma anche un effetto di push, di repulsione, operato
da ambienti urbani di qualità via via più scadente e di costo via via più
elevato (a causa della necessaria permanenza della maggior parte delle
attività produttive a carattere terziario) che spingono verso le periferie e
le aree periurbane quote crescenti di popolazione a reddito medio-basso, pur
in presenza di qualità naturali non eccelse e di crescenti costi di
pendolarismo. Fra questi ambienti periurbani e la città centrale si
manifesta una crescente complessità di relazioni. Scompare l'ordine
precedente, che si realizzava nella gerarchia funzionale dei luoghi e nella
specializzazione per grandi fasce territoriali: centro degli affari,
quartieri di residenza medio alta, quartieri dormitorio della classe
operaia, aree dedicate allo svago.
Le funzioni si frammentano e si sparpagliano nel territorio metropolitano; i
bacini di vita si allargano, come pure i bacini del mercato del lavoro; i
movimenti pendolari si complessificano (movimenti paralleli nei due sensi,
movimenti hinterland su hinterland) ma soprattutto i movimenti sistematici
casa-lavoro rappresentano una quota via via decrescente e ormai minoritaria
dei movimenti complessivi.
Si tratta di fenomeni ampiamente determinati, come abbiamo detto più sopra,
dai cambiamenti nell'organizzazione e nelle caratteristiche del lavoro:
accorciamento della vita attiva, aumento e persistenza di fenomeni di
disoccupazione, forme di rapporto di lavoro a tempo parziale, interimale, a
durata limitata, cooperative di lavoro e di servizi, crescita di rapporti di
lavoro autonomo, crescente professionalizzazione anche all'interno dei
rapporti di lavoro dipendente. In parallelo compaiono nuovi fenomeni di
flessibilizzazione degli orari di lavoro, nella giornata, nella settimana o
irregolarmente nel corso del mese e si va perdendo la distinzione netta fra
tempo di lavoro, di formazione, di svago, di trasporto 8. Il risultato, già
oggi visibile ma destinato a divenire sempre più chiaro nel tempo, è quello
di una crescente complessità nei modi di uso della città che, attraverso la
desincronizzazione dei modi di utilizzo del tempo, realizzano una sorta di
ottimizzazione dell'uso del capitale fisso sociale rappresentato dalla
città, in un processo entropico di tendenziale 'disordine' in cui non vi
sono più ore di punta perché siamo sempre in ore di punta (la around the
clock city).
Le nuove tecnologie - di trasporto, di comunicazione - rendendo possibile
nuove forme di organizzazione del lavoro (lavoro mobile, telelavoro) e
limitare i costi della mobilità (auto e moto elettriche), anziché condurre a
nuovi modelli di contro-urbanizzazione, come vagheggiato per molto tempo dai
futurologi territoriali, aumentano la densità di relazioni che diviene
possibile realizzare all'interno delle città e delle aree metropolitane,
rilanciando processi a carattere cumulativo.
Il nuovo paesaggio urbano che emerge è un paesaggio frantumato, che delle
periferie storiche non ha più il degrado ma ne ha il disordine o la
casualità, e della città storica non ha più i valori simbolici (ridotti ai
simboli dei consumi di massa) né gli spazi pubblici (anch'essi privatizzati,
come avviene nei grandi centri commerciali, nei mall americani o nelle
amenities dei quartieri monoclasse). Permangono le specializzazioni dei
singoli luoghi e le flessibilità d'uso consentite dal mezzo di trasporto
privato; il tutto in una sorta di città à la carte, pronta per l'uso, il
riuso e il consumo.

È questa la città desiderabile?

Dei fenomeni di diffusione metropolitana molto si è detto e scritto negli
ultimi anni. Ma del dibattito colpisce un elemento ben chiaro: la
tendenziale descrittività delle analisi, prive spesso del benché minimo
contenuto normativo o, il che è anche peggio, surrettiziamente orientate all
'accettazione del modello emergente, come se il reale fosse per ciò stesso
razionale.
In Francia, lo stesso lessico utilizzato tradisce nel tempo una crescente
acquiescenza al fenomeno. Le immagini utilizzate per descrivere la
diffusione insediativa e l'allargamento della nebulosa metropolitana agli
inizi degli anni Ottanta erano quelle di una città esplosa (éclatée) o
sparpagliata (éparpillée), ma si è poi passati alla più neutra immagine di
una città estesa e diffusa (étalée) per finire recentemente con una convinta
caratterizzazione di ville émergente.
Due sono gli aspetti che occorre invece mettere in luce, perché
costituiscono due possibili contraddizioni dei processi sopradescritti,
destinate non solo a ridurre la desiderabilità di questo modello in termini
di benessere collettivo, ma anche a orientare le scelte pubbliche in
direzioni che, più o meno rapidamente, determineranno una diversa
caratterizzazione del modello stesso nel futuro. Si tratta di contraddizioni
che si manifestano sul piano sociale e sul piano ambientale. Sul piano
sociale, l'analisi più convincente individua, nei modelli insediativi
emergenti, il rischio di portare a una città a due velocità: una sempre più
vasta città degli esclusi e dei perdenti, spesso assai prossima ma in realtà
del tutto separata dalla città dei vincenti; una città in cui alla
'segregazione associata' della città fordista, che consentiva alle classi
meno abienti pratiche di coesione sociale, si sostituisce la 'segregazione
dissociata' all'interno di un tessuto urbano a mosaico, sempre più esteso e
discontinuo, in cui si distribuiscono casualmente isole di povertà,
potenzialmente dirompenti 9.
Sul piano ambientale, il modello della metropoli diffusiva può essere messo
in discusione nell'ottica della sostenibilità dello sviluppo. Esso implica
infatti:
- forti costi pubblici connessi in particolare alle opere di
infrastrutturazione di un territorio urbano in espansione rapidissima;
- forti costi collettivi, a causa della crescente congestione delle arterie
di traffico che un modello di mobilità necessariamente privata implica;
- forti costi ambientali, per lo spreco di suolo e di energia;
- forti irreversibilità, in quanto un modello di insediamenti a bassa
densità non può essere in prospettiva servito adeguatamente da mezzi di
trasporto di massa su ferro, e dunque è destinato a legare indissolubilmente
gli abitanti al mezzo privato 10.
Il modello verso il quale l'urbanistica soprattutto nord-europea si sta
orientando è quello di una struttura metropolitana a carattere policentrico
e di una città "giudiziosamente compatta" 11: una rete di centri urbani di
diversa dimensione, di media densità, dai confini sufficientemente definiti,
efficientemente interconnessi e separati da ampie cinture verdi secondo un
modello che a suo modo ripropone e reinventa, su una scala più ampia, il
modello della città-giardino di Ebenezer Howard.

Le reti di città medie

Lo scenario che abbiamo fin qui tracciato, di una continuazione dei processi
di metropolizzazione pur riorientati e ripolarizzati, lascia intatto il
problema dell'efficienza relativa, e dunque del futuro, delle piccole e
medie città. Il limite che queste città incontrano, e che spesso le fa
soccombere nei confronti della grande città, è un limite di massa critica e
di centralità. Da una parte infatti molte funzioni a carattere elevato
esigono una dimensione minima elevata di mercato, sia per quanto concerne la
domanda dei servizi prodotti, sia soprattutto per quanto concerne l'offerta
del capitale umano impiegato; d'altra parte queste stesse funzioni esigono
una centralità forte e una facile accessibilità alle reti di comunicazione
mondiale.
Alle due esigenze è possibile dare, almeno in parte, una risposta concreta,
insieme concettuale e operativa, attraverso l'idea delle 'reti di città'. L'
esigenza di offrire una massa critica sufficiente può essere sodisfatta
grazie a una forte integrazione con altre città della stessa dimensione,
appartenenti al medesimo sistema regionale: si realizza infatti un mercato
virtuale di dimensione rilevante pur mantenendo una dimensione limitata dei
singoli centri. È possibile distinguere in questo senso due tipologie:
- le reti dette 'di complementarietà', realizzate da città a differente
vocazione produttiva che realizzano una divisione territoriale del lavoro
attraverso la specializzazione e lo scambio (la rete di relazioni fra le
città del Randstad Holland o la rete delle città venete appartengono a
questa categoria);
- le reti dette 'di sinergia', fra città tendenzialmente simili e similmente
specializzate ove, grazie all'integrazione a rete, si realizza un unico
mercato con immagine esterna unitaria e forti esternalità di rete
(appartengono a questa categoria le piazze finanziarie internazionali che
realizzano un unico mercato globale, o le reti di città turistiche
organizzate in itinerari, o le reti di città portuali di una stessa regione
che cooperano anziché competere nella allocazione dei traffici) 12.
L'elemento cooperativo è rilevante in questi casi, e consente di realizzare
progetti ambiziosi che le singole città non avrebbero la forza di realizzare
da sole (si pensi a un aeroporto in posizione baricentrica fra città
regionali, o a progetti di cooperazione tecnologica fra città di frontiera,
tradizionalmente separate ma oggi prossime e chiamate autorevolmente dall'
Unione Europea alla cooperazione).
Anche l'accessibilità alle reti maggiori può abbastanza facilmente essere
realizzata dalle città medie, attraverso soluzioni tecnologiche di
comunicazione o di trasporto (connessioni rapide ai nodi di primo livello
della rete; aeroporti di secondo livello collegati agli hubs maggiori,
ecc.). In tutti i casi occorre una visione complessiva dello sviluppo della
città, del suo suolo nello scacchiere globale, delle sue vocazioni e della
sua immagine esterna; processi di pianificazione strategica "di terza
generazione" 13, realizzati in modo partecipativo e partenariale e attenti
alle relazioni a rete con gli altri centri possono consentire non solo la
sopravvivenza ma il successo di queste città, che già possono contare su un
vantaggio ambientale rilevantissimo rispetto alle dinamiche ma
contraddittorie metropoli maggiori.