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il futuro delle città
- Subject: il futuro delle città
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 2 Feb 2005 06:52:27 +0100
Il futuro della città Roberto Camagni* *Professore ordinario di Economia Urbana presso il Politecnico di Milano. I numeri di IfL'articolo analizza i diversi modi in cui ci si può interrogare sul futuro della città. Rispetto alle visioni del futuro, orientate a preferire l'aspetto della speranza e dell'immaginazione, più adatti a scenari di lungo termine, va privilegiato uno scenario che pragmaticamente consideri le proiezioni dei fenomeni quotidiani. Le reti di città di medie dimensioni potranno essere la via d'uscita alle contraddizioni e alle complessità presenti nelle attuali metropoli. Per il cittadino europeo la città costituisce un simbolo forte e un archetipo fondamentale di organizzazione della società. Essa è vista e vissuta infatti come la sede della socialità e della democrazia, come "politica costruita" nelle parole di Aristotele, come forse la più grande creatura di quell'animale sociale che è l'uomo. In tutte le epoche storiche essa ha guidato il cambiamento e l'innovazione, ponendosi come locus del genio umano e delle sue capacità creative. "Le città europee nascono con l' Europa e in certo senso fanno nascere l'Europa; sono una ragion d'essere, forse la principale, dell'Europa come entità storica distinta, continuano a caratterizzare la civiltà europea quando essa assume un posto dominante nel mondo, e danno un'impronta - positiva, negativa, ma in ogni senso preponderante - alle città contemporanee in ogni parte del mondo" 1. Forse proprio per questo soprattutto in Europa si sono moltiplicate negli ultimi anni le analisi di prospettiva sulla città, le domande sul suo futuro, a fronte di cambiamenti epocali nei modi di sviluppo della città stessa che sembrano minarne forma e funzioni e che hanno fatto gridare finanche alla 'morte della città'. Inquietudine di fronte alla prospettiva di un mondo in cui si prevedono 5 miliardi di cittadini su 8 miliardi complessivi di abitanti nel 2025? Angoscia per la prospettiva di dematerializzazione delle città, in un mondo dominato dalle reti di comunicazione? Disagio per la crescente coscienza dei costi sociali e ambientali della mobilità metropolitana, in particolare nelle grandi periferie urbane, suburbane e periurbane? Timore di importazione passiva di modelli insediativi e di stili di vita propri di altre culture, come quella americana, in un contesto territoriale e storico tutt'affatto differente? Un poco di tutto questo certamente, e certamente la sensazione che la città, e quella europea in particolare, abbia perduto il controllo del suo sviluppo, e che sia passata dall'essere soggetto del cambiamento e strumento di integrazione e di creatività a semplice oggetto delle forze di espansione e strumento di segregazione e di anomia. Da una parte infatti, laddove lo sviluppo della città prosegue pur in presenza di una stasi demografica, i nuovi modelli insediativi a bassa densità e i nuovi stili di vita e di mobilità, sempre più dipendenti dall' automobile, stanno determinando uno stress crescente sull'ambiente urbano, in termini di rumore, congestione, inquinamento, tempi di pendolarismo, occupazione degli spazi pubblici per la sosta selvaggia, pressione crescente sugli spazi verdi periurbani che ne riduce la quantità, l'accessibilità e la funzione di equilibrio ambientale. Di più, l'identità dei luoghi urbani e il senso di appartenenza delle popolazioni locali sono diluiti nell' omologazione delle grandi periferie e nella banalizzazione del paesaggio della megalopoli diffusa. Laddove poi la città invece fallisce come motore di sviluppo e di cambiamento, come accade in molte regioni periferiche o in ritardo, sulla città si accumulano ulteriori elementi di malessere: i processi di inurbamento possono essere ancora più veloci, per effetto della crisi delle aree rurali, non toccate dall'industrializzazione; densità eccessive e carenza di verde, di infrastrutture efficenti e di servizi caratterizzano le periferie, effetti e insieme cause della crisi fiscale delle municipalità centrali. Grandi trasformazioni dunque, in essere e ancor più in vista per i prossimi anni. E anche nuove sfide, come quella della globalizzazione, nelle sue diverse forme: internazionalizzazione dei mercati, multinazionalizzazione delle produzioni, transnazionalizzazione dell'informazione e delle competenze; un processo che investe e investirà sempre più i territori e le loro punte avanzate, le città. Visioni e previsioni: gli scenari sul futuro della città Sia in generale sia in particolare per il tema della città, la costruzione di scenari futuri viene effettuata secondo due tipi di approcci maggiori: - scenari come 'immagini del futuro', o visioni di uno stato futuro ideale (e dunque idealtipico e/o desiderabile) che potrebbero divenire reali; - scenari come 'previsioni condizionali', stati probabili del sistema che potrebbero realizzarsi sotto certe condizioni assunte esogenamente. Il primo approccio privilegia la discontinuità e gli elementi di novità rispetto allo stato presente, senza curarsi eccessivamente del percorso attraverso il quale le visioni costruite potrebbero realizzarsi. È tipicamente adottato per previsioni di lungo / lunghissimo termine in cui l' aspetto del cambiamento paradigmatico prevale sull'elemento della continuità. In genere si costruiscono visioni o immagini idealtipiche diverse, tutte relativamente pure ed estreme, al fine di più facilmente compararne gli effetti socio-territoriali e dunque le caratteristiche di desiderabilità. Un tipico esempio recente è quello realizzato da un gruppo di ricercatori all'interno del progetto di prospective avviato dalla DATAR per il territorio francese, o quello avviato dal gruppo di ricerca diretto da Elio Piroddi per il CNR, per le città italiane 2. Si costruiscono scenari alternativi come uno scenario suburbia, con diffusione di residenze e attività produttive e caduta del ruolo della città centrale, basato sulla proiezione delle attuali tendenze insediative e la domanda di un ambiente insieme urbano e naturale; uno scenario broadacre city, che assume la rivoluzione telematica come motore fondamentale di cambiamento, e giunge a simili conclusioni in tema di assetti insediativi diffusi; o uno scenario di 'città globale', alla Saskia Sassen 3, in cui trovano posto solo le grandi metropoli integrate nella rete delle comunicazioni globali, centri di controllo di una organizzazione produttiva dispersa e luoghi strategici degli scambi finanziari planetari. Interessante, perché ancorato a una visione dinamica e dialettica, è al proposhto l'esercizio di Thierry Gaudin 4 che vede il prossimo secolo come una successione di tre scenari consecutivi: la montée des sauvages urbains, 2000-2030, caratterizzata da processi di metropolizzazione crescente, povertà e disintegrazione sociale, crescita degli integralismi, indebolimento del controllo sociale, onnipresenza di controlli mafiosi e moltiplicazione di sistemi di protezione di singoli gruppi; il 'declino delle megapoli', 2030-2060, con lo sviluppo di reti di città medie e piccole ben collegate da sistemi di trasporto e telecomunicazione efficienti; e il passaggio alle 'città invisibili', 2060-2100, caratterizzato da un rilancio dello spirito municipale, dalla specializzazione delle città e il nomadismo degli abitanti, dalla pervasività della civiltà dello svago. Al contrario del primo, il secondo approccio privilegia la continuità e il processo evolutivo, ancorandosi più direttamente a un'interpretazione approfondita delle tendenze in corso e interrogandosi sugli effetti delle maggiori contraddizioni e di possibili discontinuità nei grandi elementi di regolazione del sistema. Esso si rivolge tipicamente al medio/lungo periodo e la sua rilevanza sta nella assunzione della complessità come caratteristica dei processi evolutivi (a fronte della semplificazione e della reductio ad unum effettuata nel primo approccio, che in genere elegge un elemento - tecnologia, esaurimento delle risorse, irruzione di nuovi modelli socio-culturali - come forza trainante del mutamento strutturale). Dove andiamo? L'interpretazione dello sviluppo territoriale recente ci permette di cogliere alcuni processi che è possibile proiettare nel futuro più o meno immediato. Gli elementi forti della trasformazione attengono ai nuovi modelli di competizione fra imprese, alle nuove forme di organizzazione del lavoro e all'evoluzione della funzione di utilità degli individui per quanto attiene le scelte di localizzazione residenziale. Per quanto concerne i nuovi modelli di competizione, nell'attuale fase di globalizzazione dei mercati e delle competenze e di concorrenza dinamica fondata sui processi di innovazione continua, nei prodotti e nei processi, e nell'accorciamento dei tempi di risposta al mercato, l'elemento centrale per i decisori privati diviene il controllo dell'incertezza. L'incertezza discende dalla limitata capacità di raccolta, elaborazione e interpretazione dell'informazione, dalla difficoltà di tradurre l'informazione in decisione, dalla limitata capacità di previsione delle azioni dei concorrenti e degli effetti delle nostre azioni. Una delle risposte a questa condizione sta nella scelta di localizzazioni 'centrali', nel senso dell'accessibilità all' informazione, al mercato degli input intermedi e specializzati, al mercato del lavoro professionale e direttivo, al baricentro delle reti logistiche; in una parola, nella scelta di localizzazioni metropolitane 5. È questa della riduzione d'incertezza dinamica attraverso la scelta localizzativa la spiegazione, che anche recentemente è stata esplicitamente proposta 6, che meglio spiega la tendenza territoriale più rilevante degli ultimi quindici anni, quella che in una parola può essere definita come 'metropolizzazione'. Le grandi aree metropolitane e le regioni 'centrali' sono tornate a essere al centro dello sviluppo, dopo gli anni della diffusione territoriale (1965-1980, all'incirca), in tutti i paesi avanzati. Il modello territoriale è tuttavia differente da quello, tipico, in Europa, degli anni fra le due guerre o del secondo dopoguerra, in cui lo sviluppo era concentrato attorno alle città capoluogo, che fungevano da centro organizzatore di un vasto hinterland gerarchicamente sottoposto. Oggi le grandi metropoli sono assai più indipendenti dal loro hinterland immediato, e funzionano sempre più come nodi di una rete globale che come capitali regionali. Esse posseggono certamente una dimensione fisica, ma quest'ultima è più l'effetto di processi moltiplicativi che non la causa della competitività e della centralità della metropoli, che va piuttosto ricercata nella concentrazione di attività internazionali e direzionali e nella qualità delle relazioni che vi si svolgono. Si potrebbe dire che le città riacquistano oggi il ruolo che avevano nell' alto Medioevo e nel Rinascimento (le città-stato, le repubbliche marinare, le città della lega anseatica, vere e proprie basi operative di rapporti commerciali, finanziari e diplomatici di lunga distanza, prive di una vera e propria base territoriale, demografica e produttiva), un ruolo superato storicamente dall'emergere degli stati nazionali ma oggi riconquistato nella nuova economia globale 7. Ma un secondo elemento differenzia il rilancio delle aree centrali e metropolitane rispetto ai processi del secondo dopoguerra: il modello microterritoriale non è più un modello di concentrazione e di insediamenti densi e compatti, è un modello di diffusione insediativa a bassa densità, e di formazione di nebulose urbane o megalopoli. Nelle parole di Françoise Choay, la città occidentale che noi conosciamo scompare e viene rimpiazzata dall''urbano', una non-città e una non-campagna. Vari elementi determinano questo esito. Da una parte, la nuova domanda di qualità della vita e di naturalità che, soprattuttto in paesi come gli Stati Uniti (ove grandi spazi intatti possono fornire queste qualità anche in ambiente metropolitano, almeno fino a un certo punto) o il Regno Unito (ove una chiara propensione per il countryside ha sempre caratterizzato la cultura e le pratiche urbanistiche e territoriali) trova risposte nella diffusione insediativa. Ma anche un effetto di push, di repulsione, operato da ambienti urbani di qualità via via più scadente e di costo via via più elevato (a causa della necessaria permanenza della maggior parte delle attività produttive a carattere terziario) che spingono verso le periferie e le aree periurbane quote crescenti di popolazione a reddito medio-basso, pur in presenza di qualità naturali non eccelse e di crescenti costi di pendolarismo. Fra questi ambienti periurbani e la città centrale si manifesta una crescente complessità di relazioni. Scompare l'ordine precedente, che si realizzava nella gerarchia funzionale dei luoghi e nella specializzazione per grandi fasce territoriali: centro degli affari, quartieri di residenza medio alta, quartieri dormitorio della classe operaia, aree dedicate allo svago. Le funzioni si frammentano e si sparpagliano nel territorio metropolitano; i bacini di vita si allargano, come pure i bacini del mercato del lavoro; i movimenti pendolari si complessificano (movimenti paralleli nei due sensi, movimenti hinterland su hinterland) ma soprattutto i movimenti sistematici casa-lavoro rappresentano una quota via via decrescente e ormai minoritaria dei movimenti complessivi. Si tratta di fenomeni ampiamente determinati, come abbiamo detto più sopra, dai cambiamenti nell'organizzazione e nelle caratteristiche del lavoro: accorciamento della vita attiva, aumento e persistenza di fenomeni di disoccupazione, forme di rapporto di lavoro a tempo parziale, interimale, a durata limitata, cooperative di lavoro e di servizi, crescita di rapporti di lavoro autonomo, crescente professionalizzazione anche all'interno dei rapporti di lavoro dipendente. In parallelo compaiono nuovi fenomeni di flessibilizzazione degli orari di lavoro, nella giornata, nella settimana o irregolarmente nel corso del mese e si va perdendo la distinzione netta fra tempo di lavoro, di formazione, di svago, di trasporto 8. Il risultato, già oggi visibile ma destinato a divenire sempre più chiaro nel tempo, è quello di una crescente complessità nei modi di uso della città che, attraverso la desincronizzazione dei modi di utilizzo del tempo, realizzano una sorta di ottimizzazione dell'uso del capitale fisso sociale rappresentato dalla città, in un processo entropico di tendenziale 'disordine' in cui non vi sono più ore di punta perché siamo sempre in ore di punta (la around the clock city). Le nuove tecnologie - di trasporto, di comunicazione - rendendo possibile nuove forme di organizzazione del lavoro (lavoro mobile, telelavoro) e limitare i costi della mobilità (auto e moto elettriche), anziché condurre a nuovi modelli di contro-urbanizzazione, come vagheggiato per molto tempo dai futurologi territoriali, aumentano la densità di relazioni che diviene possibile realizzare all'interno delle città e delle aree metropolitane, rilanciando processi a carattere cumulativo. Il nuovo paesaggio urbano che emerge è un paesaggio frantumato, che delle periferie storiche non ha più il degrado ma ne ha il disordine o la casualità, e della città storica non ha più i valori simbolici (ridotti ai simboli dei consumi di massa) né gli spazi pubblici (anch'essi privatizzati, come avviene nei grandi centri commerciali, nei mall americani o nelle amenities dei quartieri monoclasse). Permangono le specializzazioni dei singoli luoghi e le flessibilità d'uso consentite dal mezzo di trasporto privato; il tutto in una sorta di città à la carte, pronta per l'uso, il riuso e il consumo. È questa la città desiderabile? Dei fenomeni di diffusione metropolitana molto si è detto e scritto negli ultimi anni. Ma del dibattito colpisce un elemento ben chiaro: la tendenziale descrittività delle analisi, prive spesso del benché minimo contenuto normativo o, il che è anche peggio, surrettiziamente orientate all 'accettazione del modello emergente, come se il reale fosse per ciò stesso razionale. In Francia, lo stesso lessico utilizzato tradisce nel tempo una crescente acquiescenza al fenomeno. Le immagini utilizzate per descrivere la diffusione insediativa e l'allargamento della nebulosa metropolitana agli inizi degli anni Ottanta erano quelle di una città esplosa (éclatée) o sparpagliata (éparpillée), ma si è poi passati alla più neutra immagine di una città estesa e diffusa (étalée) per finire recentemente con una convinta caratterizzazione di ville émergente. Due sono gli aspetti che occorre invece mettere in luce, perché costituiscono due possibili contraddizioni dei processi sopradescritti, destinate non solo a ridurre la desiderabilità di questo modello in termini di benessere collettivo, ma anche a orientare le scelte pubbliche in direzioni che, più o meno rapidamente, determineranno una diversa caratterizzazione del modello stesso nel futuro. Si tratta di contraddizioni che si manifestano sul piano sociale e sul piano ambientale. Sul piano sociale, l'analisi più convincente individua, nei modelli insediativi emergenti, il rischio di portare a una città a due velocità: una sempre più vasta città degli esclusi e dei perdenti, spesso assai prossima ma in realtà del tutto separata dalla città dei vincenti; una città in cui alla 'segregazione associata' della città fordista, che consentiva alle classi meno abienti pratiche di coesione sociale, si sostituisce la 'segregazione dissociata' all'interno di un tessuto urbano a mosaico, sempre più esteso e discontinuo, in cui si distribuiscono casualmente isole di povertà, potenzialmente dirompenti 9. Sul piano ambientale, il modello della metropoli diffusiva può essere messo in discusione nell'ottica della sostenibilità dello sviluppo. Esso implica infatti: - forti costi pubblici connessi in particolare alle opere di infrastrutturazione di un territorio urbano in espansione rapidissima; - forti costi collettivi, a causa della crescente congestione delle arterie di traffico che un modello di mobilità necessariamente privata implica; - forti costi ambientali, per lo spreco di suolo e di energia; - forti irreversibilità, in quanto un modello di insediamenti a bassa densità non può essere in prospettiva servito adeguatamente da mezzi di trasporto di massa su ferro, e dunque è destinato a legare indissolubilmente gli abitanti al mezzo privato 10. Il modello verso il quale l'urbanistica soprattutto nord-europea si sta orientando è quello di una struttura metropolitana a carattere policentrico e di una città "giudiziosamente compatta" 11: una rete di centri urbani di diversa dimensione, di media densità, dai confini sufficientemente definiti, efficientemente interconnessi e separati da ampie cinture verdi secondo un modello che a suo modo ripropone e reinventa, su una scala più ampia, il modello della città-giardino di Ebenezer Howard. Le reti di città medie Lo scenario che abbiamo fin qui tracciato, di una continuazione dei processi di metropolizzazione pur riorientati e ripolarizzati, lascia intatto il problema dell'efficienza relativa, e dunque del futuro, delle piccole e medie città. Il limite che queste città incontrano, e che spesso le fa soccombere nei confronti della grande città, è un limite di massa critica e di centralità. Da una parte infatti molte funzioni a carattere elevato esigono una dimensione minima elevata di mercato, sia per quanto concerne la domanda dei servizi prodotti, sia soprattutto per quanto concerne l'offerta del capitale umano impiegato; d'altra parte queste stesse funzioni esigono una centralità forte e una facile accessibilità alle reti di comunicazione mondiale. Alle due esigenze è possibile dare, almeno in parte, una risposta concreta, insieme concettuale e operativa, attraverso l'idea delle 'reti di città'. L' esigenza di offrire una massa critica sufficiente può essere sodisfatta grazie a una forte integrazione con altre città della stessa dimensione, appartenenti al medesimo sistema regionale: si realizza infatti un mercato virtuale di dimensione rilevante pur mantenendo una dimensione limitata dei singoli centri. È possibile distinguere in questo senso due tipologie: - le reti dette 'di complementarietà', realizzate da città a differente vocazione produttiva che realizzano una divisione territoriale del lavoro attraverso la specializzazione e lo scambio (la rete di relazioni fra le città del Randstad Holland o la rete delle città venete appartengono a questa categoria); - le reti dette 'di sinergia', fra città tendenzialmente simili e similmente specializzate ove, grazie all'integrazione a rete, si realizza un unico mercato con immagine esterna unitaria e forti esternalità di rete (appartengono a questa categoria le piazze finanziarie internazionali che realizzano un unico mercato globale, o le reti di città turistiche organizzate in itinerari, o le reti di città portuali di una stessa regione che cooperano anziché competere nella allocazione dei traffici) 12. L'elemento cooperativo è rilevante in questi casi, e consente di realizzare progetti ambiziosi che le singole città non avrebbero la forza di realizzare da sole (si pensi a un aeroporto in posizione baricentrica fra città regionali, o a progetti di cooperazione tecnologica fra città di frontiera, tradizionalmente separate ma oggi prossime e chiamate autorevolmente dall' Unione Europea alla cooperazione). Anche l'accessibilità alle reti maggiori può abbastanza facilmente essere realizzata dalle città medie, attraverso soluzioni tecnologiche di comunicazione o di trasporto (connessioni rapide ai nodi di primo livello della rete; aeroporti di secondo livello collegati agli hubs maggiori, ecc.). In tutti i casi occorre una visione complessiva dello sviluppo della città, del suo suolo nello scacchiere globale, delle sue vocazioni e della sua immagine esterna; processi di pianificazione strategica "di terza generazione" 13, realizzati in modo partecipativo e partenariale e attenti alle relazioni a rete con gli altri centri possono consentire non solo la sopravvivenza ma il successo di queste città, che già possono contare su un vantaggio ambientale rilevantissimo rispetto alle dinamiche ma contraddittorie metropoli maggiori.
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