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la malattia della mobilità si chiama automobile
- Subject: la malattia della mobilità si chiama automobile
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 10 Jan 2005 07:06:48 +0100
da aprile.it 2004 Il totem della crescita: Quella malattia della mobilità Guido Viale La malattia della mobilità si chiama automobile: la vita assurda a cui ci costringe questo mezzo di trasporto e la struttura urbana - La città infinita su cui si interroga un recente libro collettivo della Bruno Mondadori - che si alimentano a vicenda in un girone infernale. La motorizzazione di massa è una modalità di trasporto "infestante" che toglie spazio, risorse e alla fine fagocita o rende impraticabili tutte le altre forme di mobilità. La storia del secolo passato lo ha dimostrato. Il fatto che l'Italia abbia tassi di motorizzazione tra i più elevati e un sistema di trasporto pubblico tra i più scassati del mondo occidentale ne è una riprova. La pervasività del sistema automobile è facile da capire: i costi fissi di un'auto sono tali da indurre a soprassedere sui costi variabili connessi al suo uso più o meno esteso. Chi ha un'auto è naturalmente portato a usarla il più possibile. Lo sviluppo urbanistico della città del ventesimo secolo - soprattutto nella sua seconda metà - è avvenuto in funzione dell'automobile e con il tacito presupposto che "abitare" significa anche, e soprattutto, "avere un'auto": sia nelle città dell'Occidente sviluppato che nelle megalopoli del Terzo mondo, dove la struttura urbana si riduce a una rete autostradale che collega grandi alberghi, centri direzionali e commerciali, quartieri residenziali, campus universitari e impianti sportivi intervallati da enclaves dove si ammassano milioni di profughi sociali a cui la mobilità urbana e interurbana è quasi completamente preclusa. Le metropoli di oggi e, soprattutto le periferie e la città diffusa, non possono essere servite in modo adeguato da un trasporto pubblico di massa con percorsi e cadenze sufficientemente articolati da rappresentare un'alternativa accettabile al mezzo privato. Una ricompattazione e densificazione dei centri abitati sufficiente a rendere praticabile questa alternativa ha dei tempi storici troppo lunghi per poter essere proposta ai cittadini di oggi - anche se andrebbe fin da oggi messa in cantiere per le generazioni a venire. L'automobile ha invaso tutte le pieghe dell'immaginario collettivo e individuale: innanzitutto come simbolo di libertà (di movimento) e di affrancamento dai vincoli imposti dai trasporti collettivi (percorsi, fermate e orari fissi, promiscuità, ecc.), come simbolo di successo e strumento di ascrizione a un gruppo sociale (status-symbol); poi come strumento di emancipazione della donna, come segno tangibile di accesso all'età adulta, come focolare domestico, camera dei bambini, alcova (matrimoniale, prematrimoniale o adulterina), come irrevocabile passaggio (legato alla perdita della capacità di guidare) alla vecchiaia, come sarcofago (delitti di mafia), come incubo di una vita bloccata dagli ingorghi o dagli incidenti, ecc. Per tutte queste ragioni troviamo estremamente difficile concepire, programmare e organizzare un modello di vita senza l'automobile. L'auto ha "fatto sistema": non si riesce a smontarne una parte senza ripercussioni difficilmente controllabili su tutte le altre. Ciononostante gli inconvenienti della motorizzazione di massa sono talmente ampi da imporre una riflessione sulle possibili vie di uscita. Questi danni possono essere ricondotti a cinque classi. Effetti sulla mobilità: l'automobile - nata e propagandata come strumento di libertà, di autonomia, di mobilità non programmata, è diventata la principale causa di immobilità, di difficoltà, lentezza, perdita di tempo nello spostarsi. Se il confronto con l'attuale scassato sistema di trasporto pubblico gioca a favore dell'automobile, non è solo perché, negli ultimi cinquant'anni, l'auto si è accaparrata tutti i vantaggi normativi e finanziari messi a disposizione dalle politiche pubbliche; ma anche e soprattutto perché il sistema automobile ha imposto un pedaggio sempre più pesante alle altre modalità di trasporto. Basta pensare, per fare un caso estremo, al costo delle metropolitane (2-4 milioni di euro a chilometro, tangenti escluse), che non è nient'altro che un immane balzello che il trasporto pubblico di massa deve pagare all'automobile per avergli ceduto il dominio della mobilità di superficie. Per quale altro motivo, altrimenti, bisognerebbe scavare dei tunnel in città? Effetti ambientali: sia locali - inquinamento dell'aria, del suolo e delle acque - che globali - consumo di risorse, emissioni di gas di serra, inquinamento diffuso e pervasivo. L'effetto inquinante più grave della motorizzazione di massa è il consumo di spazio: sul pianeta Terra non c'è posto per una motorizzazione di massa analoga a quella che caratterizza i paesi industrializzati; e nelle nostre città non c'è spazio per tutte le automobili che vi circolano. E questo spazio nessuno potrà crearlo: né scavando in profondità né elevandosi in altezza.. Effetti economici globali: il sistema automobile - che comprende non solo vettori e combustibili, ma l'intera rete viaria, l'insieme dei servizi che la sostengono e tutti i settori produttivi coinvolti nella sua fabbricazione e nel suo funzionamento - è stato il motore dello sviluppo e dell'occupazione per tutto il secolo scorso ma attualmente non è più in grado di garantire né l'uno né l'altra. La motorizzazione di massa è al tempo stesso il segno e la causa più visibili dello squilibrio tra Nord e Sud del pianeta: buona parte delle risorse naturali, umane e finanziarie del mondo sono mobilitate per far andare "in macchina" meno del dieci per cento della popolazione mondiale, ivi comprese le élite privilegiate del Sud del mondo, che bruciano in consumi legati all'automobile la parte più consistente delle già scarse risorse a disposizione dei loro paesi. Un riequilibrio tra Nord e Sud del mondo non è materialmente pensabile portando il Sud a consumi automobilistici di livello europeo o americano. Può solo essere concepito abbattendo drasticamente il tasso di motorizzazione del mondo industrializzato. Effetti economici locali: quanto pesa il sistema automobile sul bilancio di un consumatore, di un'amministrazione locale, di un'economia nazionale (per usare un'espressione orripilante, "l'azienda Italia")? Quali opportunità di sviluppo, di benessere, di crescita civile si aprirebbero sostituendo questo antiquato e costoso sistema di mobilità con mezzi più adeguati allo sviluppo delle tecnologie e alle esigenze della generalità dei cittadini? La distruzione della socialità: l'automobile è il maggiore consumatore di spazio nelle nostre città (dal 40 al 60 % del suolo urbano è destinato allo scorrimento del traffico o al parcheggio). Lo spazio consumato dall'automobile è spazio pubblico: quello che nella storia della città - che coincide con la storia stessa della civiltà - era la sede naturale dell'interazione e del confronto sociale, del dialogo e del conflitto, dell'evoluzione della cultura. La piazza storica, invasa dalle auto, o addirittura abolita nelle periferie o nei nuovi impianti urbani concepiti solo per far spazio alle automobili, ha trovato un facile sostituto nella piazza elettronica, oggi rappresentata dalla televisione, e nell'idiotismo di una vita sociale interamente rinchiusa tra le pareti domestiche o quelle di un ufficio. Ma la verità della condizione urbana moderna si manifesta nella vita dei bambini, costretti a vivere di televisione chiusi in casa, perché per spostarsi devono essere accompagnati e perché le strade, le piazze, i giardini e i cortili dove tradizionalmente giocavano e socializzavano sono stati consegnati alle automobili. Ma la costrizione dell'individuo dentro le mura domestiche a causa della mancanza di spazi pubblici agibili è una condizione che si protrae per tutta la vita ed è alla base di quel deficit di democrazia che nessun artificio di ingegneria istituzionale potrà colmare fino a che al cittadino mancherà la sede di un confronto quotidiano, non programmato, reale - e non virtuale - con "l'altro", con il diverso da sé Un servizio di trasporto pubblico alternativo all'automobile privata richiede soluzioni valide e convenienti per tutte o quasi le modalità attuali di utilizzo dell'auto: dai movimenti pendolari da e per il lavoro alle vacanze e ai week-end; dagli spostamenti "erratici" infra e interurbani di quegli operatori sempre più numerosi che nella mobilità hanno la base stessa della loro professione, agli spostamenti per spesa, shopping, accesso ai servizi pubblici, ai luoghi dell'enterteinment, ecc., che oggi sono localizzati in funzione di una popolazione motorizzata. La sfida della motorizzazione di massa si vince sul piano delle alternative che si offrono. Trasporti di massa rapidi, comodi, cadenzati ed economici, da un lato. E servizi pubblici personalizzati, come il taxi collettivo, il car sharing (auto in multiproprietà o a noleggio per fasce orarie e con possibilità di prelievo e deposito in una pluralità di siti), o - al peggio - la condivisione programmata dell'auto (car-pooling) per tutte quelle esigenze di mobilità - sia urbana che "vacanziera", sia di persone che di cose (come il rifornimento dei negozi e la consegna a domicilio della spesa) - che non possono essere soddisfatte con il trasporto di massa. La rinuncia all'auto privata non va vista come un sacrificio - o, peggio, una costrizione dovuta all'impoverimento o una potenziale causa di ulteriore disoccupazione per gli addetti al settore - ma come un'opportunità straordinaria che va perseguita - con gradualità, ma con determinazione - alla luce di una concezione positiva dell'abitare e della socialità come basi materiali della crescita sia personale che della democrazia.
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