la malattia della mobilità si chiama automobile



  da aprile.it
2004

Il totem della crescita: Quella malattia della mobilità
Guido Viale

La malattia della mobilità si chiama automobile: la vita assurda a cui ci
costringe questo mezzo di trasporto e la struttura urbana - La città
infinita su cui si interroga un recente libro collettivo della Bruno
Mondadori - che si alimentano a vicenda in un girone infernale.

La motorizzazione di massa è una modalità di trasporto "infestante" che
toglie spazio, risorse e alla fine fagocita o rende impraticabili tutte le
altre forme di mobilità. La storia del secolo passato lo ha dimostrato. Il
fatto che l'Italia abbia tassi di motorizzazione tra i più elevati e un
sistema di trasporto pubblico tra i più scassati del mondo occidentale ne è
una riprova. La pervasività del sistema automobile è facile da capire: i
costi fissi di un'auto sono tali da indurre a soprassedere sui costi
variabili connessi al suo uso più o meno esteso. Chi ha un'auto è
naturalmente portato a usarla il più possibile.
Lo sviluppo urbanistico della città del ventesimo secolo - soprattutto nella
sua seconda metà - è avvenuto in funzione dell'automobile e con il tacito
presupposto che "abitare" significa anche, e soprattutto, "avere un'auto":
sia nelle città dell'Occidente sviluppato che nelle megalopoli del Terzo
mondo, dove la struttura urbana si riduce a una rete autostradale che
collega grandi alberghi, centri direzionali e commerciali, quartieri
residenziali, campus universitari e impianti sportivi intervallati da
enclaves dove si ammassano milioni di profughi sociali a cui la mobilità
urbana e interurbana è quasi completamente preclusa. Le metropoli di oggi e,
soprattutto le periferie e la città diffusa, non possono essere servite in
modo adeguato da un trasporto pubblico di massa con percorsi e cadenze
sufficientemente articolati da rappresentare un'alternativa accettabile al
mezzo privato. Una ricompattazione e densificazione dei centri abitati
sufficiente a rendere praticabile questa alternativa ha dei tempi storici
troppo lunghi per poter essere proposta ai cittadini di oggi - anche se
andrebbe fin da oggi messa in cantiere per le generazioni a venire.

L'automobile ha invaso tutte le pieghe dell'immaginario collettivo e
individuale: innanzitutto come simbolo di libertà (di movimento) e di
affrancamento dai vincoli imposti dai trasporti collettivi (percorsi,
fermate e orari fissi, promiscuità, ecc.), come simbolo di successo e
strumento di ascrizione a un gruppo sociale (status-symbol); poi come
strumento di emancipazione della donna, come segno tangibile di accesso
all'età adulta, come focolare domestico, camera dei bambini, alcova
(matrimoniale, prematrimoniale o adulterina), come irrevocabile passaggio
(legato alla perdita della capacità di guidare) alla vecchiaia, come
sarcofago (delitti di mafia), come incubo di una vita bloccata dagli
ingorghi o dagli incidenti, ecc.

Per tutte queste ragioni troviamo estremamente difficile concepire,
programmare e organizzare un modello di vita senza l'automobile. L'auto ha
"fatto sistema": non si riesce a smontarne una parte senza ripercussioni
difficilmente controllabili su tutte le altre. Ciononostante gli
inconvenienti della motorizzazione di massa sono talmente ampi da imporre
una riflessione sulle possibili vie di uscita. Questi danni possono essere
ricondotti a cinque classi.

Effetti sulla mobilità: l'automobile - nata e propagandata come strumento di
libertà, di autonomia, di mobilità non programmata, è diventata la
principale causa di immobilità, di difficoltà, lentezza, perdita di tempo
nello spostarsi. Se il confronto con l'attuale scassato sistema di trasporto
pubblico gioca a favore dell'automobile, non è solo perché, negli ultimi
cinquant'anni, l'auto si è accaparrata tutti i vantaggi normativi e
finanziari messi a disposizione dalle politiche pubbliche; ma anche e
soprattutto perché il sistema automobile ha imposto un pedaggio sempre più
pesante alle altre modalità di trasporto. Basta pensare, per fare un caso
estremo, al costo delle metropolitane (2-4 milioni di euro a chilometro,
tangenti escluse), che non è nient'altro che un immane balzello che il
trasporto pubblico di massa deve pagare all'automobile per avergli ceduto il
dominio della mobilità di superficie. Per quale altro motivo, altrimenti,
bisognerebbe scavare dei tunnel in città?

Effetti ambientali: sia locali - inquinamento dell'aria, del suolo e delle
acque - che globali - consumo di risorse, emissioni di gas di serra,
inquinamento diffuso e pervasivo. L'effetto inquinante più grave della
motorizzazione di massa è il consumo di spazio: sul pianeta Terra non c'è
posto per una motorizzazione di massa analoga a quella che caratterizza i
paesi industrializzati; e nelle nostre città non c'è spazio per tutte le
automobili che vi circolano. E questo spazio nessuno potrà crearlo: né
scavando in profondità né elevandosi in altezza..

Effetti economici globali: il sistema automobile - che comprende non solo
vettori e combustibili, ma l'intera rete viaria, l'insieme dei servizi che
la sostengono e tutti i settori produttivi coinvolti nella sua fabbricazione
e nel suo funzionamento - è stato il motore dello sviluppo e
dell'occupazione per tutto il secolo scorso ma attualmente non è più in
grado di garantire né l'uno né l'altra. La motorizzazione di massa è al
tempo stesso il segno e la causa più visibili dello squilibrio tra Nord e
Sud del pianeta: buona parte delle risorse naturali, umane e finanziarie del
mondo sono mobilitate per far andare "in macchina" meno del dieci per cento
della popolazione mondiale, ivi comprese le élite privilegiate del Sud del
mondo, che bruciano in consumi legati all'automobile la parte più
consistente delle già scarse risorse a disposizione dei loro paesi. Un
riequilibrio tra Nord e Sud del mondo non è materialmente pensabile portando
il Sud a consumi automobilistici di livello europeo o americano. Può solo
essere concepito abbattendo drasticamente il tasso di motorizzazione del
mondo industrializzato.

Effetti economici locali: quanto pesa il sistema automobile sul bilancio di
un consumatore, di un'amministrazione locale, di un'economia nazionale (per
usare un'espressione orripilante, "l'azienda Italia")? Quali opportunità di
sviluppo, di benessere, di crescita civile si aprirebbero sostituendo questo
antiquato e costoso sistema di mobilità con mezzi più adeguati allo sviluppo
delle tecnologie e alle esigenze della generalità dei cittadini?
La distruzione della socialità: l'automobile è il maggiore consumatore di
spazio nelle nostre città (dal 40 al 60 % del suolo urbano è destinato allo
scorrimento del traffico o al parcheggio).

Lo spazio consumato dall'automobile è spazio pubblico: quello che nella
storia della città - che coincide con la storia stessa della civiltà - era
la sede naturale dell'interazione e del confronto sociale, del dialogo e del
conflitto, dell'evoluzione della cultura. La piazza storica, invasa dalle
auto, o addirittura abolita nelle periferie o nei nuovi impianti urbani
concepiti solo per far spazio alle automobili, ha trovato un facile
sostituto nella piazza elettronica, oggi rappresentata dalla televisione, e
nell'idiotismo di una vita sociale interamente rinchiusa tra le pareti
domestiche o quelle di un ufficio. Ma la verità della condizione urbana
moderna si manifesta nella vita dei bambini, costretti a vivere di
televisione chiusi in casa, perché per spostarsi devono essere accompagnati
e perché le strade, le piazze, i giardini e i cortili dove tradizionalmente
giocavano e socializzavano sono stati consegnati alle automobili.

Ma la costrizione dell'individuo dentro le mura domestiche a causa della
mancanza di spazi pubblici agibili è una condizione che si protrae per tutta
la vita ed è alla base di quel deficit di democrazia che nessun artificio di
ingegneria istituzionale potrà colmare fino a che al cittadino mancherà la
sede di un confronto quotidiano, non programmato, reale - e non virtuale -
con "l'altro", con il diverso da sé

Un servizio di trasporto pubblico alternativo all'automobile privata
richiede soluzioni valide e convenienti per tutte o quasi le modalità
attuali di utilizzo dell'auto: dai movimenti pendolari da e per il lavoro
alle vacanze e ai week-end; dagli spostamenti "erratici" infra e interurbani
di quegli operatori sempre più numerosi che nella mobilità hanno la base
stessa della loro professione, agli spostamenti per spesa, shopping, accesso
ai servizi pubblici, ai luoghi dell'enterteinment, ecc., che oggi sono
localizzati in funzione di una popolazione motorizzata.

La sfida della motorizzazione di massa si vince sul piano delle alternative
che si offrono. Trasporti di massa rapidi, comodi, cadenzati ed economici,
da un lato. E servizi pubblici personalizzati, come il taxi collettivo, il
car sharing (auto in multiproprietà o a noleggio per fasce orarie e con
possibilità di prelievo e deposito in una pluralità di siti), o - al
peggio - la condivisione programmata dell'auto (car-pooling) per tutte
quelle esigenze di mobilità - sia urbana che "vacanziera", sia di persone
che di cose (come il rifornimento dei negozi e la consegna a domicilio della
spesa) - che non possono essere soddisfatte con il trasporto di massa.

La rinuncia all'auto privata non va vista come un sacrificio - o, peggio,
una costrizione dovuta all'impoverimento o una potenziale causa di ulteriore
disoccupazione per gli addetti al settore - ma come un'opportunità
straordinaria che va perseguita - con gradualità, ma con determinazione -
alla luce di una concezione positiva dell'abitare e della socialità come
basi materiali della crescita sia personale che della democrazia.