rifiuti opzione zero




dalla rivista del manifesto dicembre 2004
 
Rifiuti opzione zero
 
di Roberto Musacchio e Patrizia Sentinelli
 
Se ha ragione Massimo Serafiní a chiedere una díscussione programmatica vera tra chi si candida a essere alternativa al governo Berlusconi, e magari anche utile a fare di più e meglio 1'opposizione, ci sentiamo però chíamati non solo a rispondere ma anche a porre qualche questione.
La prima sta proprio nel modo con tui la «rívista» ha aperto la discussione sul tema dei `rifiuti'. Ci è sembrato francamente strano che fra tanti interventí non si fosse sentita 1'esigenza dì dare la parola ai protagonìstì della principale lotta in corso, cioè il comitato contro I'inceneritore dí Acerra. Non è una notazione polemica o populista ma politica, che sta alla base di una serie di considerazioni per noi indispensabili a discutere sul serio e proficuamente.
La prima è che la discussione programmatica per essere vera non può espungere i soggetti in carne e ossa e che dunque la dizione `movimento' non si esaurisce con il campo tradizionale di associazionismo ma riguarda le forme innovative proprie del `movimento dei movimenti' e in prima persona le esperienze sempre più diffuse di resìstenze territorìalì. Non a caso le organizzazionì tradizionali che hanno investíto in questa nuova dimensione del movimento hanno tutte trovato nuova linfa. Il che porta anche ad aggiornare `vecchie' elaborazioni come quelle della critica alla cosiddetta sindrome di Nimby (not in may backyard non nel mio giardino)
C'è infattí una nuova radicalità che in realtà nelle forme anche estreme di rifiuto coglie però il lìvello dì crisi strutturale raggiunto nel rapporto tra persone, territori e sviluppo nella fase della globalizzazìone liberista e percepisce che 1'aggressione viene portata ormai direttamente ai livelli elementari di vita (alla salute al diritto all'acqua) senza neanche più offrire in cambio, pseudobenessere .
Questa osservazîone ne trainà un'altra. E cìoè che è saltata 1'idea del compromesso tra ambiente e sviluppo capitalistico. Se ha ragione Serafini a dire che il problema dei rifiuti è il problema del dogma della crescita occorre però,anche porsi il tema di come si sia esaurito il tentativo ormai ventennale di affidare la risoluzione dei problemi ambientali al mercato. Cioè vengono al pettine le contraddizioni del cosiddetto sviluppo sostenibile. Non è risultata vera 1'idea che nella globalizzazione e magari nella illusione del post-industriale il mercato avrebbe incorporato i valori ambientali. A1 contrario, si sta procedendo a una mercificazione di ciò che ancora oggi appartiene alla sfera dei diritti e della `vita', come dicevamo, dall'acqua agli OGM. Naturalmente, la discussione su questo punto è lunga e complessa ma indispensabile. Primo, perché non si può pensare di tornare a come era prima, prima di Bush e Berlusconi, senza chiedersi perché non ha funzionato proprio ciò che c'era prima e cioè le cosiddette `terze via' alla Clinton. E secondo, perché c'è chi, anche a sinistra, proprio sulla mercificazione dell'ambiente ha investito molto e torna a investire una idea distorta di modernità. Per questo Scanzano come Acerra, come le lotte per 1'acqua, sono fondamentali nella discussione programmatica. Acerra vive sulla propria pelle il fallimento dei vecchi compromessi oltre che, naturalmente, pratiche di pessima gestione.
Per stare nel tema dei rifiuti non si può non chiedersi cosa ha frenato 1'idea ormai trentennale delle `quattro erre' (riduzione, raccolta differenziata, riuso, riciclaggio.): Per noi è precisamente la coda che qualcuno ci ha appiccicato e cioè 1'idea di sommarle a pratiche di smaltimento. Cosa si oppone a ridurre e riciclare? Smaltire. E 1'incenerimento è una delle pratiche più dure di smaltimento che, messa all'ultimo ed eventuale posto della Legge Ronchi, ha costruito una spinta formidabile che ha contrastato le priorità virtuose.
Ci sono domande semplici che trovano risposta in chi sostiene la possibilità dell'incenerimento. Perché incenerire proprio ciò che può essere riciclato (carta, legno, plastica) e dunque perché lo spreco termodinamico?
Come non vedere che i costi dell'incenerimento chiedono 1'aumento dei rifiuti (la famosa Brescia chiede ormai il terzo forno)? Come spacciare come pratica antidiscarica quella che produce il 30% di ceneri da mettere in discarica? E qual è la soglia `accettabile' di diossina?
Ma non sono solo le domande, ma esperienze, a mostrare cosa è successo.Vale per Acerra ma anche per Brescia, naturalmente in modi diversi. L'inceneritore diventa centrale e si mangia tutto. L"evoluzione' normativa del dopo Ronchi è impressionante, fatta come è di semplificazioni ad hoc per l'incenerimento (perciò ad Acerra non si è mai fatta una vera valutazione d'impatto), di incentivi finanziari enormi, di imbrogli lessicali atti a favorirli, come chiamare `termovalorizzazione' 1'incenerimento e addirittura assimilare i rifiuti alle energie rinnovabili (sic!) con buona pace della normativa europea.
E allora se vogliamo discutere di programmi andiamo alla radice. Le `quattro erre' chiamano a una evoluzione che ne porti a compimento la filosofia e che è 1'idea di una critica delle merci che ricostruisce un nesso tra produzione, ambiente e bisogni in cui sono centrali 1'ambiente e i bisogni e non la produzione. E dunque non si devono più usare linguaggi trappola, come `ciclo integrato dei rifiuti', perché occorre invece porsi il tema dei `rifiuti zero' cioè di un ciclo virtuoso della produzione che non deve determinare scarto e spreco. Ci sono paesi, come gli Oceanici, che lavorano già sul no waste, sul rifiuto zero; lo stesso Decreto Toffler tedesco va in questa direzione.
Se continueremo invece a farci dire che «però c'è il problema di quello che resta» continueremo a fornire I'alibi più grande al `partito dello smaltimento'.
L'alternativa ha bisogno di idee nuove e radicali. La novità è che esse poggiano su un sentire di massa nuovo e diffuso. Per questo ad Acerra non bisogna `fare la lezione' ma dare la parola.