laurea inutile ?



da lavoceinfo.it
martedi 12 ottobre 2004

La laurea inutile
Daniele Checchi
Tullio Jappelli

Oltre un terzo dei laureati italiani dichiara di essere occupato in un
lavoro per il quale la laurea non è necessaria. La percentuale è
significativamente minore per i medici e i laureati del gruppo chimico e
farmaceutico; ma sale quasi al 50 per cento per i laureati del gruppo
giuridico (vedi figura 1). La frustrazione di molti laureati non è l'unico
aspetto problematico della transizione dal sistema scolastico e formativo al
mercato del lavoro. L'età media dei laureati è di ventisette anni; solo due
terzi degli iscritti arriva alla laurea; la durata della transizione dalla
scuola al lavoro è di undici anni, quattro anni più della media dei paesi
dell'Ocse.  (1)

Lo squilibrio tra domanda e offerta
L'insoddisfazione segnalata da molti giovani non riflette soltanto una
carenza di informazioni chiare sul funzionamento del mercato e sulla domanda
di competenze da parte delle imprese, ma squilibri molto più profondi. La
tabella confronta la domanda e l'offerta di competenze relative ai laureati
del 2003. La prima colonna riporta la previsione sul fabbisogno di laureati
nel 2004 sulla base dell'indagine Excelsior condotta presso le imprese e gli
artigiani da Unioncamere in collaborazione con il ministero del Lavoro. Si
tratta di un'indagine svolta tra novembre 2003 e aprile 2004 su un campione
di 100mila imprese; comprende l'industria, i servizi e il mondo delle
professioni, con esclusione della sola pubblica amministrazione. (2)  Alle
imprese viene chiesto di indicare non solo il livello di qualificazione
(generico, diplomato o laureato), ma anche l'area di competenza per la quale
sono previsti ingressi di nuovi occupati. Nel 2004 si prevede l'assunzione
di 673mila persone, tra cui 54.611 laureati. Tra i laureati, il 37 per cento
delle assunzioni previste riguarda persone con laurea in discipline
economico-gestionali e il 30 per cento con laurea in ingegneria. Se si
escludono le lauree del gruppo medico, per tutte le altre competenze
scientifiche (gruppo chimico, biologico, agro-alimentare) la domanda è
quantitativamente trascurabile. Le lauree del gruppo umanistico
(politico-sociologico, letterario, giuridico, linguistico) rappresentano
poco più del 10 per cento delle assunzioni previste. Nella seconda colonna
riportiamo invece l'offerta di competenze, sulla base dei dati sulla
composizione disciplinare dei laureati nell'anno 2003 in tutti gli atenei
italiani. Si tratta di laureati dei vecchi ordinamenti, prima dunque della
piena entrata a regime della riforma del 3+2. Colpiscono due dati: lo
squilibrio complessivo tra domanda e offerta, e la differenza nella
distribuzione delle competenze. A fronte di una domanda di 54mila laureati,
il nostro sistema universitario ne "produce" 225mila, creando un potenziale
di disoccupazione intellettuale pari a 171mila persone per anno. Lo
squilibrio appare soprattutto concentrato tra i laureati del gruppo
giuridico, letterario e politico-sociale. Vero che l'indagine non comprende
eventuali assunzioni nella pubblica amministrazione, ma gli squilibri della
finanza pubblica e il blocco del turnover suggeriscono che solo una piccola
quota dei laureati potrà trovare un impiego pubblico. Molti dei laureati del
2003 sono dunque nei fatti disoccupati di lungo corso, studenti parcheggiati
nelle università che dopo sei o sette anni hanno conseguito una laurea in
scienze politiche, lettere o giurisprudenza non spendibile nel mercato del
lavoro. Non stupisce poi che in queste condizioni molti laureati accettino
impieghi per cui non è necessaria la laurea e che si dichiarino
insoddisfatti del lavoro che svolgono. Dal lato della domanda di lavoro da
parte delle imprese, i dati segnalano che la struttura produttiva del paese
è in gran parte arretrata. Fatti assai noti, e spesso ricordati sulla base
delle cifre modeste impegnate per investimenti in ricerca e sviluppo. Le
competenze qualificate sono dunque poco richieste dalle imprese: delle
673mila nuove assunzioni previste nel 2004, il 41 per cento prevede il
livello della scuola dell'obbligo, il 21 per cento quello delle scuole
professionali, il 29 per cento gli istituti tecnici e solo l'8 per cento la
laurea. Poiché questi dati sono noti e di facile accesso, sorge spontanea la
domanda sul perché i giovani e le loro famiglie compiano scelte sbagliate.
Allo stesso tempo, occorre chiedersi perché la scuola e l'università non
cerchino di contrastare attivamente gli squilibri.

Le "colpe" di scuola e università
Purtroppo, l'organizzazione della scuola e dell'università sono parte del
problema. La scelta della facoltà universitaria risente significativamente
della scuola secondaria di provenienza, che a sua volta riflette il
background economico e culturale della famiglia. Fino ad oggi, la rigida
separazione tra licei, istituti tecnici e formazione professionale ha
favorito l'incanalamento dei giovani secondo percorsi predefiniti,
perpetuando nel tempo i comportamenti che la riforma degli accessi
universitari del 1969 aveva rimosso almeno sul piano formale. In sostanza,
la scuola superiore orienta anche la carriera universitaria e gli sbocchi
lavorativi successivi. Dopo aver scelto di frequentare un liceo classico, la
gran parte degli studenti decide di frequentare l'università, e nel 44 per
cento dei casi sceglie una laurea di tipo umanistico. (3)  Se invece sceglie
un istituto tecnico o commerciale e decide successivamente di proseguire con
l'università (poco più del 30 per cento), si iscrive con elevata probabilità
in una facoltà di economia (oltre il 50 per cento dei casi). Su questo
fronte, la riforma della scuola secondaria del ministro Moratti si limita a
prendere atto delle rigidità esistenti. Per quanto riguarda l'università,
basse tasse di frequenza e poche restrizioni all'ingresso incentivano gli
studenti a iscriversi e conseguire un titolo. A sua volta, il valore legale
del titolo induce molti a frequentare l'università nella speranza di
accedere a impieghi pubblici o nel mondo delle professioni. Un titolo
universitario rappresenta ancora, in molte zone del paese, uno status
sociale ambito, e anche per chi frequenta e non conseguirà mai un titolo è
più accettabile dichiararsi studente universitario piuttosto che disoccupato
di lungo corso. Per molti giovani la laurea è dunque solo un "segnale" per
accedere a un impiego in cui le competenze apprese non servono. Allo stesso
tempo, il finanziamento pubblico delle università ha privilegiato, fino ad
ora, indicatori quantitativi sul numero di iscritti e di laureati, senza
attenzione alle carriere successive degli studenti. Infine, l'applicazione
della riforma dei corsi di laurea (il 3+2) è stata fino ad oggi orientata
più dagli interessi del corpo accademico e delle associazioni professionali,
piuttosto che da quello degli studenti.

Classificazione ExcelsiorPrevisione Excelsior 2004 (%)laureati e diplomati
2003
(%)eccesso domanda
(valori assoluti)Classificazione Istat laureati
Indirizzo scientifico: matematica e fisica + scienze
naturali0.603.00-6450Gruppo scientifico
Indirizzo chimico+farmaceutico5.913.32-4273Gruppo chimico-farmaceutico
Indirizzo biologico e biotecnologia1.313.90-8095Gruppo geo-biologico
Indirizzo medico e odontoiatrico+paramedico13.1711.16-18020Gruppo medico
Indirizzo di ingegneria elettronica ed elettrotecnica + informatico e
telecomunicazione + ingegneria meccanica + ingegneria edile e civile + altra
ingegneria29.7913.21-13575Gruppo ingegneria
Indirizzo urbanistico, territoriale e architetti1.364.95-10440Gruppo
architettura
Indirizzo agro-alimentare, forestale e produzioni animali0.372.38-5175Gruppo
agrario
Indirizzo economico-commerciale e amministrativo
+statistico37.1015.87-15592Gruppo economico-statistico
Indirizzo politico-sociologico2.299.60-20437Gruppo politico-sociale
Indirizzo giuridico0.9811.63-25739Gruppo giuridico
Indirizzo letterario, filosofico, pedagogico e
assimilati4.5916.21-34114Gruppo letterario+insegnamento+psicologico
Indirizzo linguistico, traduttori e interpreti2.534.76-9372Gruppo
linguistico
Valori assoluti54611225916-171305

Fonte: elaborazioni su http://excelsior.unioncamere.net - tabella 18.1 e
dati fonte MIUR
Fonte: Unioncamere-Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior 2004
(1) Per convenzione, la transizione inizia nell'anno d'età di una coorte nel
quale la proporzione di giovani scolarizzati a tempo pieno scende al di
sotto del 75 per cento e termina nell'anno di età durante il quale almeno la
metà della coorte è occupata e non è più a scuola. La durata della
transizione risulta dalla differenza tra queste due età.
(2) Il campo di osservazione dell'indagine è rappresentato dall'universo
delle imprese private iscritte al Registro delle imprese delle Camere di
commercio con almeno un dipendente, con l'esclusione della pubblica
amministrazione, delle aziende pubbliche del settore sanitario, delle unità
scolastiche e universitarie pubbliche, e delle organizzazioni associative.
(3) Fonte: Indagine Istat sugli sbocchi lavorativi dei laureati 1995
intervistati nel 1998.

La mala informazione
Virginia Maestri

Dati Istat relativi all'Italia nell'anno 2001 mostrano che il 33 per cento
dei laureati, a tre anni dal conseguimento del titolo di studio, svolge un
lavoro per il quale la laurea non è considerata un elemento necessario.
Questo dato suggerisce la presenza di una quota di lavoratori impiegati al
di sotto del loro livello d'istruzione ufficiale, principalmente a causa di
una carenza di altre competenze, di una qualità scadente della loro
formazione o di un inserimento inadeguato nel mercato del lavoro.

Cos'è la sovra-istruzione?

La sovra-istruzione non è un fenomeno sconosciuto ad altri paesi, vi sono
infatti molti studi che riguardano gli Stati Uniti, l'Olanda e il
Portogallo, solo per citarne alcuni. (1) Ma i dati relativi alle diverse
nazioni non sono comparabili, perché la consistenza di questo fenomeno
dipende in modo considerevole dalla definizione del concetto. Un conto è
affermare che una certa percentuale di lavoratori è stata assunta senza la
richiesta esplicita del titolo di studio che possiede, un altro è dire che
questa ritiene di possedere un livello d'istruzione eccessivo rispetto al
contenuto delle propria occupazione. Si ottengono risultati differenti anche
nel caso in cui si definiscano come sovra-istruiti i lavoratori con un grado
d'istruzione superiore alla media di quello dei loro colleghi, invece di
paragonarlo con quello reputato necessario per svolgere una determinata
professione. Il 33 per cento dei laureati italiani potrebbe quindi essere
stato assunto senza la richiesta di una laurea, ma utilizzare in via
informale e profittevole per i datori di lavoro le competenze sviluppate nel
corso degli studi universitari. (2) La tabella mostra i dati relativi ai
laureati dell'Università Statale di Milano nell'anno accademico 1996-1997, a
quattro anno di distanza: i tre valori confermano da una parte la duttilità
del concetto di sovra-istruzione e dall'altra la rilevanza del fenomeno.

  % sovra-istruiti tra i
laureati/occupati
laurea non (formalmente) richiesta
 31,4%
laurea ritenuta eccessiva
 20,1%
inutilità studi universitari
 42,8%

Istruzione e posto di lavoro

Gli studi condotti sul tema degli sbocchi professionali individuano una
serie di cause che concorrono a determinare l'assegnazione dei posti di
lavoro agli individui. Questi fattori riguardano aspetti intrinseci dell'
istruzione (come il tipo e l'indirizzo di scuola frequentata, il superamento
della durata legale del corso di studi e i voti riportati) e aspetti
complementari (esperienze lavorative, di stage, all'estero e così via) o
strettamente legati alle caratteristiche della persona (genere, background
socio-culturale, eccetera). Ma vi sono anche altri elementi che possono
ostacolare o favorire un'ulteriore acquisizione di competenze e
professionalità, come il contratto di assunzione, il settore d'impiego o il
canale di ricerca del lavoro (formale, informale, interinale eccetera).
Poiché l'istruzione e il complesso delle conoscenze degli individui è un
elemento determinante per ottenere un lavoro coerente con il proprio
percorso formativo, occorre individuare quali fattori permettano un'
acquisizione di competenze e un inserimento nel mondo del lavoro di "serie
A" e quali invece conducano a un esito di "serie B". La formazione di tipo
liceale certamente avvantaggia gli studenti che proseguono gli studi a
livello terziario. Il dubbio potrebbe sorgere nel caso si volesse
considerare se, ad esempio, la frequenza di una scuola tecnica rispecchi l'
abilità dello studente o se invece sia frutto di una scelta della sua
famiglia di provenienza. Se la competizione per i posti di lavoro si basa
sulle caratteristiche dei partecipanti, bisognerebbe anche chiedersi come
gli individui possano partecipare a tale competizione. Vi sono abbastanza
informazioni circa i posti di lavoro vacanti e i requisiti per accedervi? O
meglio, le informazioni per accedere ai lavori "più prestigiosi" sono più
scarse?

Una questione di trasparenza

È cruciale dunque il problema della trasparenza dei mercati del lavoro. Gli
studenti che, in mancanza di altri mezzi, si affidano ai contatti personali
rischiano di trovare un lavoro al di sotto delle loro competenze e lo stesso
vale quando si faccia ricorso ad un'agenzia (di collocamento o interinale
che sia). Mentre quelli che accedono a un'occupazione tramite un tirocinio o
grazie a una segnalazione da parte dell'università hanno una migliore
probabilità di essere inseriti a un livello professionale adeguato. In
sostanza, le persone in possesso di maggiori informazioni sull'accesso alle
professioni di "serie A" sono favoriti nel loro percorso professionale, se
non in modo totalmente indipendente dalla qualità della loro preparazione,
almeno in modo non proporzionale. Il problema della sovra-istruzione non
rappresenta necessariamente un fallimento dell'istruzione. È possibile che
il background socio-culturale rivesta una particolare importanza, sebbene
indiretta, nell'allocazione dei posti di lavoro. In primo luogo, il sostrato
culturale gioca un ruolo decisivo nel determinare la scelta della scuola
secondaria e l'acquisizione di altri elementi extra-curricolari (quali le
esperienze di studio all'estero o di stage). Inoltre, può supplire alla
carenza d'informazione circa le (migliori) opportunità d'impiego. Sia dal
punto di vista dell'efficienza che dell'equità tale risultato del mercato
del lavoro non sembra ottimale e sarebbe dunque opportuno intervenire. Ad
esempio istituendo un biennio comune d'istruzione secondaria per ridurre il
divario esistente tra la formazione liceale e quella orientata all'
occupazione, come era previsto nel progetto di riforma Berlinguer-De Mauro.
Si potrebbe altresì ripensare la struttura delle borse di studio: quelle per
l'estero sono fissate in cifra fissa per tutti i paesi e svantaggiano i
figli delle famiglie meno abbienti, che non possono finanziare in proprio i
costi aggiuntivi dei programmi di scambio. È inoltre necessario potenziare i
legami tra il mondo universitario (o scolastico) e quello lavorativo per
rendere più fluido e trasparente il mercato del lavoro, affinché la carenza
di informazione non vada a colpire i soggetti più deboli, magari più validi
e preparati di altri.

(1) Si vedano ad esempio Sicherman N. 2003, Overeducation in the Labor
Market, "Economics of Education Review", 22, pp.389-394; Borghans L., de
Grip A. 2000, The Overeducated Worker?, Northampton: Edward Elgar Publishing
e Kiker B.F., Santos M., Mendes de Oliveira M. 1997, Overeducation and
Undereducation: Evidence for Portugal, "Economics of Education Review,
16(2), pp.111-125.
(2) Per il caso italiano si veda Di Pietro G., Urwin P. 2004, Education and
Skills Mismatch in the Italian Graduate Labour Market, "Oxford Economic
Paper", in corso di pubblicazione.