grandi opere cemento, quella tentazione irresistibile



il manifesto - 15 Luglio 2004

Il cemento, quella tentazione irresistibile
Aria di elezioni, vento di grandi opere: una «priorità» inutile e costosa.
Il punto di vista di un economista

MARCO PONTI*

Uno dei cardini del programma dell'attuale governo sono stati, e sono
tuttora, i grandi progetti infrastrutturali, quasi tutti di trasporto. Per
accelerarne l'iter, è poi stata varata la «legge obiettivo». Le risorse
finanziarie pubbliche disponibili sono apparse da subito largamente
insufficienti, quindi si è molto puntato sul ruolo dei privati («project
financing»). Ma anche su questo versante sono sorti immediatamente gravi
problemi, poiché i traffici (reali) previsti sono risultati modesti. Si è
ricorso allora a «privati» che tali non sono, come Fs o Fintecna, e ad ampie
garanzie pubbliche per gli investitori, garanzie che di fatto rappresentano
una spesa pubblica «mascherata». Oppure si sono tassati in modo occulto
tutti gli utenti, come nel caso degli investimenti di Autostrade per
l'Italia, attraverso il rialzo generalizzato delle tariffe su tutta la rete.
Che in tutto il mondo i «grandi progetti» cari ai politici abbiano generato
risultati economici generalmente disastrosi, è d'altronde cosa nota agli
studiosi del settore. Tuttavia, nessuno nel governo ha preso spunto da
queste vicende per mettere in dubbio la necessità di molte di queste opere
(pur essendo lo scarso traffico un forte segnale in tal senso). Gianfranco
Miccichè, viceministro per il Mezzogiorno, è stato l'eccezione quando ha
dichiarato alla stampa che «(...) il ponte sullo stretto di Messina non è
prioritario (...)», ma solo per il breve spazio di un mattino. Alcune
regioni, come Umbria e Toscana, non vogliono le opere che le riguardano,
perché le giudicano inutili. Le Ferrovie hanno tentato invano di proporre al
Cipe una soluzione meno costosa del prolungamento dell'alta velocità fino
alla Sicilia, perché ritengono che non ci sarà mai abbastanza domanda. I
francesi hanno acconsentito a partecipare alla linea alta velocità
Torino-Lione solo dopo che l'Italia, molto generosamente, si è accollata il
63 per cento dei costi (hanno valutato insufficiente il traffico). L'Europa
ha accettato di includere il Ponte sullo Stretto tra le opere prioritarie
solo dopo straordinarie pressioni politiche. Il motivo del diniego era
ancora una volta il traffico insufficiente.

Alcuni studi indipendenti fatti dal Politecnico e dall'Università Cattolica
hanno dimostrato che per molte opere il rapporto tra costi e benefici è
fortemente negativo. Una recente indagine tra gli imprenditori del
Mezzogiorno ha confermato il loro scarso interesse per le grandi
infrastrutture. Negli ultimi tempi, però, al governo si è affiancata
Confindustria, richiedendo che per le grandi opere non valgano i vincoli di
Maastricht (la cosiddetta «golden rule»). Incredibilmente anche l'Ulivo si è
unito al coro: per bocca dell'ex ministro dei Trasporti, Pier Luigi Bersani,
ha tacciato di inefficienza il governo, e ha promesso molte più grandi opere
in caso di vittoria.

La tentazione del cemento si dimostra irresistibile non solo in Italia: la
Commissione Van Miert ha presentato uno studio «rigoroso», da cui risulta
che qualsiasi opera è giustificata purché piaccia ai promotori politici.
Perché la tentazione del cemento è così irresistibile? Cerchiamo di capirlo.

1) Nessuno saprà che l'opera è uno spreco di preziose risorse: ci vogliono
anni a finirla, poi si inaugurerà, e qualcuno la userà (magari il governo è
cambiato eccetera). Cioè: visibilità politica immediata, e problemi di
efficienza occultati o comunque dilazionati nel tempo. Basta definire
«strategica» qualsiasi sciocchezza tecnica.

2) Anche i politici locali in genere son contenti (le eccezioni citate
confermano la regola). E così le banche che costruiscono i programmi
finanziari garantiti, e ovviamente le imprese di costruzione, spesso
«vicine» ai politici locali.

3) Gli utenti sono comunque contenti (anche se sono troppo pochi per
giustificare la spesa).

4) Il settore è uno dei pochissimi rimasti in cui si possono spendere molti
soldi per il consenso politico, senza incappare in quei noiosi vincoli
europei agli aiuti di Stato. Ma è poi così grave costruire un po' di opere
di dubbia utilità? Prima o poi serviranno comunque. Non sarebbe grave se i
soldi pubblici fossero abbondanti, o non vi fossero destinazioni alternative
della spesa. O se questa spesa avesse un importante impatto anticiclico,
oppure incentivasse straordinariamente il progresso tecnologico del paese, o
ne valorizzasse le preziose risorse ambientali.

Ma non esiste nessuna di queste condizioni. I soldi sono scarsissimi, le
destinazioni alternative molto più promettenti anche in termini strettamente
economici (ricerca, patrimonio artistico-ambientale, e così via). I «picchi»
di spesa e di occupazione arriveranno tra molti anni (quando, si spera, il
ciclo non continuerà a essere negativo). Il settore delle opere civili è
tecnologicamente maturo, molte grandi opere hanno impatti ambientali
perlomeno discutibili. C'è infine il rischio di cantieri aperti con fondi
insufficienti a finire le opere con devastanti «stop and go» (cantieri
chiusi e riaperti) per anni a venire. La distruzione di ricchezza realizzata
da opere di scarsa utilità economica vanifica ogni contenuto reale di
eventuali ricorsi alla «golden rule». Ma nessuno lo saprà. L'opposizione
apra almeno un confronto serio sulle priorità di spesa e sui modi per
valutarle, invece di riproporsi in sciagurati «inseguimenti».

*Marco Ponti, docente di economia dei trasporti, è stato consulente della
Banca mondiale, del ministero del Tesoro e quello dei Trasporti. L'articolo
qui pubblicato è tratto dal sito www.lavoce.info.