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urbanistica il grattacielo che sepellì gli idealisti
- Subject: urbanistica il grattacielo che sepellì gli idealisti
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 19 Jun 2004 07:01:31 +0200
il manifesto - 12 Giugno 2004 POBLE NOU Il grattacielo seppellì gli idealisti «Barcellona fatti bella» è la parola d'ordine con cui si trasforma la città Cancellando luoghi, storie e memoria di un vecchio quartiere che sognava una nuova società STEFANO PORTELLI «Nella parte del distretto di Sant Martí più vicina al mare, fondarono un quartiere degli idealisti che aspiravano a creare una nuova società. Il nome 'Pueblo Nuevo' quindi non si riferisce a un nuovo nucleo urbano bensí a una nuova società» (J. Amadés, Escursione leggendaria per la piana di Barcellona, 1935). Il quartiere chiamato «Poble Nou», sul litorale nord di Barcellona, visse i suoi momenti di gloria tra fine `800 e inizio `900, quando la Catalogna e Barcellona in particolare erano referenti internazionali delle «nuove idee» del socialismo utopico e dell'anarchismo. Era un quartiere operaio e industriale, soprattutto tessile. Venne chiamato la «Manchester catalana» e fu centro nevralgico insieme dell'anarco-sindacalismo della Cnt e dell'indipendentismo catalano, due tendenze da sempre opposte ma che trovarono nel franchismo un nemico comune. Per questo, durante la guerra, il Poble Nou fu duramente castigato, con pesanti bombardamenti e ondate repressive, che però ebbero l'effetto collaterale di far crescere ancora di più il senso di identità ribelle del quartiere. Utopia in laguna In alcuni nomi di strade o di piazze rimangono delle tracce di quando in questa zona non c'erano che paludi malariche (c'è una fermata della metropolitana che si chiama Llacuna); in una zona così malsana e inabitabile, le autorità cittadine lasciarono che gruppi di utopisti fondassero le loro comunità sperimentali. Una strada porta il nome di Avenida Icària, dall'Icaria utopica immaginata da Etienne Cabet a metà Ottocento: così avrebbe dovuto essere il Poble Nou, «una società egualitaria, dove libertà, uguaglianza e fraternità non vigevano solo nell'ambito politico, ma anche nell'ambito economico. Una società in cui nessuno viveva oziosamente o di rendita, in cui tutti contribuivano alla comunità a partire dalle abilità di ciascuno, in cui non esistevano servi, in cui il lavoro era piacevole e tutti avevano abbastanza tempo libero per dedicarsi ai propri interessi; il tutto grazie alla bontà umana e all'applicazione delle nuove tecnologie». Poi, però, le fabbriche cominciarono a spostarsi più lontano; soprattutto nei paesini del circondario, che crebbero fino a cingere Barcellona con un cinturone industriale tra i più attivi e produttivi di Spagna. E gli scheletri della Manchester catalana di inizio secolo rimasero abbandonati lì, nel Poble Nou, per decenni, con le loro ciminiere di mattoni ancora solide, a poche centinaia di metri dal mare. Nessuna riabilitazione, nessun recupero, solo degrado. Di tanto in tanto qualche gruppo di gitani o immigrati occupavano gli spazi abbandonati per ripararsi o per fermarcisi a vivere. Il Poble Nou sopravviveva con officine, imprese di trasporti e magazzini; un'epoca di discoteche underground durante gli anni Ottanta ravvivò per un po' la vita dei vecchi abitanti del quartiere, che convivevano con i relitti delle fabbriche in cui la maggior parte di loro aveva lavorato per una vita. Venne il `92, le Olimpiadi e il recupero del litorale. Spuntarono due grattacieli, due torri gemelle proprio al limite del quartiere e nel giro di pochi anni, il porto di Barcellona si trasformò: da una zona malfamata e pericolosa, che la maggior parte dei barcellonesi stentano quasi a ricordare, diventò Maremagnum (un centro commerciale), spiagge alla moda, discoteche per turisti e porto sportivo per gli yacht. Poble Nou, a pochi chilometri di distanza, rimaneva in attesa, silenzioso, come se le ombre dei due nuovi grattacieli che si stagliavano scintillanti di fronte al mare già stessero avvisando che non sarebbe durato ancora per molto. Si sapeva che il progresso sarebbe arrivato anche lì; ma nessuno immaginava che l'impatto della «riqualificazione» sarebbe stato così duro. Più che di una riqualificazione si trattava di una colonizzazione. Un recupero, ma non per gli abitanti del quartiere: la riqualificazione del Poble Nou fu il recupero, da parte delle classi dirigenti e degli speculatori urbanistici, di un'enorme zona ancora «popolare» accanto al centro della città. Il comune decise di trasformare radicalmente il quartiere, abbattere le fabbriche, espellere gli abitanti e fare del Poble Nou una zona di rilancio della città come centro nevralgico delle nuove tecnologie, monopolizzando i terreni, privatizzandoli e vendendo il quartiere a multinazionali straniere. Senza alcuna preoccupazione per i suoi abitanti, abbandonati al loro destino nelle mani invisibili del liberalismo. Il simbolo fallico All'inizio del 2002, in plaza de les Glòries comincia a sorgere un nuovo grattacielo. Man mano che prende forma, con l'avvento del 2004, è sempre più chiaro il valore simbolico della sua forma. La gente dice che sembra un missile, una supposta, un razzo, o che è un progetto innovativo; ma tutti vedono che è un fallo, eretto in mezzo ai palazzi, simbolo del potere che si dispiega vittorioso finalmente anche su questa parte della città. Come funghi cominciano a sorgere i nuovi edifici: bianchi, squadrati, puliti, alberghi a quattro stelle o sedi di multinazionali tecnologiche. Indra, T-Systems, General Electrics, una a una comprano i territori che erano le fabbriche del Poble Nou, trasformando il quartiere in una sorta di Silicon Valley mal pianificata, in cui tra un edificio nuovo e l'altro spuntano una vecchia ciminiera di mattoni, o un palazzo cadente abitato da gitani. C'è chi regge qualche mese in più, chi riesce ad arrivare a un anno: ma poco a poco migliaia di famiglie del Poble Nou sono costrette a vendere, o a rinunciare ai loro affitti bloccati e accettare in fretta e furia condizioni che il comune non mette mai in chiaro del tutto. Chissà se qualcuno un giorno riuscirà a mettere insieme i pezzi e ricostruire le storie nascoste dietro questa «riqualificazione», raccogliendo le testimonianze sparse delle oltre 1200 famiglie costrette ad abbandonare le loro case e degli oltre 1000 piccoli esercizi commerciali costretti a chiudere o a vendere. Basta fare un giro per il quartiere, cercare di uscire dai circuiti «ripuliti» che già sono stati tracciati in mezzo al Poble Nou, lasciare la grande avenida Diagonal che scende giù fino al mare, attorniata di centri commerciali rilucenti e alberghi appena inaugurati, e infilarsi per le vecchie strade del quartiere; in cui dietro ai pannelli propagandistici delle imprese immobiliari, si vedono i cumuli di macerie o le scavatrici all'opera. A volte si stenta a credere alle storie che racconta la gente: le scavatrici che arrivano la mattina senza avvisare, gli agenti immobiliari che si presentano con il contratto in mano accompagnati dalla Guardia Urbana, pressioni e intimidazioni in stile mafioso, accampamenti gitani smantellati dalla sera alla mattina, fabbriche abbattute con gli immigrati che ancora ci vivono dentro, case occupate sgomberate senza ordine di sgombero. Tutto è dettato dalla fretta, il Poble Nou è l'ultima fetta di torta che rimane in città, non c'è tempo da perdere. L'ultima beffa Presto non si chiamerà più neanche Poble Nou: il nuovo nome, e il nuovo volto del litorale nord di Barcellona, avrà un nome che sembra un insulto alla storia della città. Si chiamerà - se questo sarà mai un nome - 22@. Sembra un'ultima beffa, dopo la repressione militare e il franchismo; ora tocca all'amministrazione progressista spazzare via gli ultimi residui di vita del quartiere, dare il colpo di grazia storico alle utopie della «Nuova Icaria». E' il progresso. Speculazione di sinistra Il comune, di sinistra (Partido socialista, Esquerra republicana de Catalunya, Iniciativa-Verds), non solo non difende gli abitanti del quartiere, ma specula anch'esso sulla riqualificazione. Moltiplica i benefici che ricava da soldi pubblici, da terreni pubblici, dalla privatizzazione, dalla vendita all'asta del quartiere. La Rambla del Poble Nou è tappezzata di cartelli come «Vogliamo continuare a vivere in Poble Nou» o «No al 22@». La lotta contro la speculazione urbanistica diventa una lotta contro l'amministrazione comunale, nella quale stanno unendosi gli indipendentisti catalani, gli anarchici delle case occupate e dei sindacati; per una volta, sembrano coincidere le proteste degli anziani, costretti a passare una vecchiaia sotto ipoteca dopo una vita di lavoro e di lotte, e dei giovani, che cercano l'indipendenza dalla famiglia in un contesto in cui gli affitti sono cresciuti di 5 volte in 5 anni, mentre terreni e edifici del loro quartiere sono comprati dalle stesse multinazionali che riforniscono l'esercito statunitense in Iraq. E intanto, il comune insiste con la promozione del fastoso «Forum universale delle Culture», sei mesi di spettacoli e dibattiti proprio al confine con il Poble Nou. Miliardi pubblici per un evento che la maggior parte dei barcellonesi ancora non ha capito cosa sia. Un'enorme area di costa chiusa da un recinto; un'isola artificiale con un nuovo porto sportivo, a pochi chilometri dal porto vecchio; edifici avanguardistici tirati su in fretta e furia; un enorme dispiegamento pubblicitario, il tutto ammantato di grandi discorsi sulla pace e il dialogo che non riescono a nascondere la realtà: l'unica cosa che conta è la speculazione urbanistica - e il prezzo del biglietto d'accesso al Forum, impraticabile per le famiglie del Poble Nou. Quello che spesso non si dice è che la zona che da quest'anno si chiamerà Forum 2004 (fino al prossimo grande evento), prima si chiamava in un altro modo. Era il Camp de la Bota, dove venivano fucilati i condannati a morte durante il franchismo. Dal `39 al `54, qui vennero uccise 1619 persone, principalmente repubblicani e oppositori politici. Fino all'anno scorso c'era una lapide, datata 1992, che diceva: «Che i miei anni di gioia ricomincino/ senza cancellare le cicatrici dello spirito/ O padre della notte, del mare e del silenzio/ io voglio la pace, ma non voglio l'oblio». Per celebrare il Forum delle Culture, hanno dovuto togliere la lapide.
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