le patologie dell'italia economica



da repubblica.it
VENERDI 30 APRILE 2004

Intervista a uno degli ispiratori dell'Antitrust

"Dalla globalizzazione nasce l'ultima contraddizione del capitalismo"

Guido Rossi: "Ecco le patologie
dell'Italia economica"

di FEDERICO RAMPINI

"In più di un senso, questo è un saggio autobiografico", scrive Guido Rossi
nell'introduzione a Il conflitto epidemico (Adelphi, pagg. 143, euro 13).
Condensa gli insegnamenti di una vita dedicata prima a capire, poi a cercare
di correggere, le patologie del capitalismo contemporaneo.

E' un percorso intellettuale e politico denso, di un cosmopolitismo raro in
Italia: va dai primi studi di diritto americano iniziati cinquant'anni fa a
Harvard, fino all'incarico più recente della Commissione europea che ha
chiesto a Rossi (con un ristretto gruppo di giuristi stranieri) un piano di
riforme per prevenire vicende alla Enron.

In mezzo, Guido Rossi è stato senatore e presidente della Consob, ha
ispirato la legge italiana dell'antitrust, ha guidato il salvataggio del
gruppo Ferruzzi-Montedison e ha privatizzato la Telecom. E' diventato il
grande borghese per eccellenza per la sua antica conoscenza del capitalismo
italiano, e al tempo stesso un fustigatore spietato dei suoi vizi. E' un
giurista a suo agio fra i testi dei grandi economisti (da Adam Smith a John
Maynard Keynes), dei filosofi classici, del dibattito etico sulle
diseguaglianze sociali da John Rawls ad Amartya Sen.

Sullo sfondo delle crisi e degli scandali che hanno segnato l'inizio del
terzo millennio, dal caso Enron al declino della Fiat, il "conflitto
epidemico" è, naturalmente, il conflitto d'interessi. Rossi vi individua la
malattia dominante del capitalismo finanziario e in questa chiave lo
affronta usando tutto l'arsenale culturale a sua disposizione: dalla storia
alla religione, dalla filosofia del diritto all'analisi finanziaria. Non si
limita affatto al caso italiano, anche se Rossi vi dedica dei passaggi
fulminanti: per esempio quando avverte che l'abolizione dei principali reati
societari, a cominciare dal falso in bilancio, ha privato la comunità
nazionale "del potere di colpire l'illegalità economica più elementare".

Professor Rossi, lei definisce l'Italia come un "laboratorio sperimentale"
di patologie, un luogo dove i vizi del capitalismo mondiale vengono
coltivati nelle varianti più estreme. Alla radice, in che cosa consiste
l'anomalia italiana?

"Ogni paese è vittima della sua storia e l'Italia paga il fatto di non avere
mai avuto una rivoluzione borghese. Allo Stato-imprenditore - anziché
regolatore - ha corrisposto come alternativa un capitalismo familiare
debole, protetto, anch'esso dipendente dal settore pubblico; e l'altra
terribile figura del manager-padrone, Giano bifronte poco diffuso nei paesi
più industrializzati. Siamo lontani dal capitalismo europeo, ancor più da
quello americano, con i quali pure non sono indulgente. In Italia il
conflitto d'interessi ha ampio diritto d'asilo anche per una insufficiente
censura sociale, la stessa ragione per cui l'evasione fiscale dilaga ben più
che nei paesi avanzati".

Il suo saggio non si limita alla versione estrema del conflitto
d'interessi - un premier padrone di un impero economico e mediatico - ma ne
affronta le versioni più sottili e diffuse nel resto del mondo: le stock
options miliardarie che spingono i top manager a manipolare i prezzi delle
azioni; il ruolo perverso di consigli d'amministrazione, banche d'affari,
revisori e consulenti legali che hanno ingannato milioni di lavoratori e
piccoli risparmiatori. Lei sembra convinto che si sia attenuata un po'
ovunque la percezione della differenza tra interesse individuale e interesse
collettivo.

"Qui parliamo del capitalismo vero, non di quello italiano. Sì, purtroppo la
cronaca mi dà ragione ogni giorno. Anche la nuova legge Sarbanes Oxley, con
cui il Congresso degli Stati Uniti ha dato un giro di vite normativo per
reagire al caso Enron, non impedisce che gli scandali stessi continuino a
moltiplicarsi. E' ormai in piedi un sistema organico di poteri costituiti,
professioni e lobbies che hanno interesse a eludere le leggi anziché
rispettarle. Il mese scorso a Siracusa ho partecipato a un importante
convegno con i maggiori studiosi di diritto societario del mondo, da
Harvard, Yale e Columbia, a inglesi, tedeschi e francesi. Anche i più
ottimisti vedono una crisi generalizzata, epidemica per l'appunto. Le stock
options, che ormai negli Stati Uniti rappresentano più del 60% dei compensi
dei manager, sono senz'altro un carburante del nuovo conflitto d'interessi".

Risalendo ad Adam Smith lei ricorda che il capitalismo al suo meglio ebbe
una morale, fu capace di valorizzare ma al tempo stesso di tenere a freno
gli "spiriti animali" a cominciare dall'avidità. Oggi invece lei denuncia
l'indebolimento dei meccanismi di autoregolazione, dei valori correnti,
delle istituzioni che avevano reso possibile il controllo del sistema. Che
cos'è accaduto?

"Il passaggio decisivo è stata la mutazione dal capitalismo industriale a
quello finanziario. I due economisti che lo colsero con maggiore lucidità
furono Keynes e Piero Sraffa: capirono che l'andamento della Borsa diventava
un elemento condizionante per il risparmio delle famiglie, quindi
addirittura per la politica monetaria e l'andamento delle variabili
macroeconomiche. Già nel grande crack di Wall Street del 1929 una delle
cause fu il conflitto d'interessi nelle banche: avevano tenuto
artificialmente alti i prezzi delle azioni per nascondere le difficoltà
economiche delle aziende loro debitrici. Oggi i colossi bancari
sovrapponendo il ruolo di consulenti delle aziende, collocatrici di titoli
sul mercato, e gestori di risparmio popolare, sono di nuovo avviluppati da
un groviglio di conflitti d'interessi. Nell'America di oggi è evidente
quanto il mercato azionario possa agire sulla crescita dell'economia reale,
influenzando le scelte di consumo delle famiglie e le scelte di investimento
delle imprese, il valore delle pensioni e la crescita del Pil. Prigioniero
di un macro-conflitto d'interesse lo diventa perfino il banchiere centrale
più potente del mondo, il presidente della Federal Reserve Alan Greenspan:
ieri esaltato per avere favorito lo sviluppo della New Economy, oggi
criticato per non aver prevenuto la bolla speculativa. L'inarrestabile
trasformazione del capitalismo in economia puramente monetaria fa del
conflitto d'interessi un motore del sistema".

Lei passa in esame le terapie fin qui utilizzate e ne traccia un bilancio
poco confortante. Autoregolazione del mercato; codici etici; inasprimenti
delle pene; concorrenza-emulazione tra sistemi normativi nazionali: nulla le
sembra avere sortito effetti risolutivi. La globalizzazione ha un ruolo
centrale nel suo saggio: in che misura essa ha reso più ingovernabile questa
crisi, e d'altra parte può prefigurarne un esito di tipo nuovo?

"Sui codici etici bisogna disilludersi: la loro efficacia dipende troppo
dall'etica di chi li deve applicare. La concorrenza tra sistemi normativi,
in Europa o nel mondo, anziché far vincere il migliore può produrre una
corsa al ribasso, una fuga verso le zone d'ombra meno regolate. La risposta
statale a questa crisi è impotente perché si scontra con i limiti della
sovranità e con i confini nazionali degli ordinamenti giuridici, oltre che
con vuoti di consenso sociale: come disse Tocqueville, il peggiore
fallimento del legislatore è quando le sue leggi cadono semplicemente in
desuetudine. Pensare ad una struttura di regolazione sovranazionale del
capitalismo finanziario, che pure sarebbe necessaria, in questo contesto
politico è un'utopia. La globalizzazione è segnata anzi da un ritiro del
potere normativo degli Stati, all'insegna del contrattualismo più sfrenato:
le imprese multinazionali attraverso i contratti si fanno in sostanza le
leggi su misura, gli arbitrati privati assumono un'importanza crescente
nell'economia. Al tempo stesso vedo emergere dalla globalizzazione un
fenomeno nuovo e interessante, che chiamerei un "nomos pre-giuridico", un
consenso informale su valori che hanno una loro forza etica pur non essendo
ancora leggi. E' l'etica degli hackers nel cyberspazio, che si salda con la
cultura del movimento alter-global, delle organizzazioni terzomondiste e del
Forum sociale di Porto Alegre: l'evoluzione tecnologica e una nuova corrente
etica convergono verso una messa in discussione radicale del diritto di
proprietà, soprattutto sulla proprietà intellettuale e su quei beni
immateriali che costituiscono la vera ricchezza dell'èra post-industriale.
In questo senso, globalizzazione e nuove tecnologie diventano una sfida per
lo stesso capitalismo finanziario che le ha generate, e forse questa è la
sua ultima contraddizione".