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le patologie dell'italia economica
- Subject: le patologie dell'italia economica
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 9 May 2004 07:56:17 +0200
da repubblica.it VENERDI 30 APRILE 2004 Intervista a uno degli ispiratori dell'Antitrust "Dalla globalizzazione nasce l'ultima contraddizione del capitalismo" Guido Rossi: "Ecco le patologie dell'Italia economica" di FEDERICO RAMPINI "In più di un senso, questo è un saggio autobiografico", scrive Guido Rossi nell'introduzione a Il conflitto epidemico (Adelphi, pagg. 143, euro 13). Condensa gli insegnamenti di una vita dedicata prima a capire, poi a cercare di correggere, le patologie del capitalismo contemporaneo. E' un percorso intellettuale e politico denso, di un cosmopolitismo raro in Italia: va dai primi studi di diritto americano iniziati cinquant'anni fa a Harvard, fino all'incarico più recente della Commissione europea che ha chiesto a Rossi (con un ristretto gruppo di giuristi stranieri) un piano di riforme per prevenire vicende alla Enron. In mezzo, Guido Rossi è stato senatore e presidente della Consob, ha ispirato la legge italiana dell'antitrust, ha guidato il salvataggio del gruppo Ferruzzi-Montedison e ha privatizzato la Telecom. E' diventato il grande borghese per eccellenza per la sua antica conoscenza del capitalismo italiano, e al tempo stesso un fustigatore spietato dei suoi vizi. E' un giurista a suo agio fra i testi dei grandi economisti (da Adam Smith a John Maynard Keynes), dei filosofi classici, del dibattito etico sulle diseguaglianze sociali da John Rawls ad Amartya Sen. Sullo sfondo delle crisi e degli scandali che hanno segnato l'inizio del terzo millennio, dal caso Enron al declino della Fiat, il "conflitto epidemico" è, naturalmente, il conflitto d'interessi. Rossi vi individua la malattia dominante del capitalismo finanziario e in questa chiave lo affronta usando tutto l'arsenale culturale a sua disposizione: dalla storia alla religione, dalla filosofia del diritto all'analisi finanziaria. Non si limita affatto al caso italiano, anche se Rossi vi dedica dei passaggi fulminanti: per esempio quando avverte che l'abolizione dei principali reati societari, a cominciare dal falso in bilancio, ha privato la comunità nazionale "del potere di colpire l'illegalità economica più elementare". Professor Rossi, lei definisce l'Italia come un "laboratorio sperimentale" di patologie, un luogo dove i vizi del capitalismo mondiale vengono coltivati nelle varianti più estreme. Alla radice, in che cosa consiste l'anomalia italiana? "Ogni paese è vittima della sua storia e l'Italia paga il fatto di non avere mai avuto una rivoluzione borghese. Allo Stato-imprenditore - anziché regolatore - ha corrisposto come alternativa un capitalismo familiare debole, protetto, anch'esso dipendente dal settore pubblico; e l'altra terribile figura del manager-padrone, Giano bifronte poco diffuso nei paesi più industrializzati. Siamo lontani dal capitalismo europeo, ancor più da quello americano, con i quali pure non sono indulgente. In Italia il conflitto d'interessi ha ampio diritto d'asilo anche per una insufficiente censura sociale, la stessa ragione per cui l'evasione fiscale dilaga ben più che nei paesi avanzati". Il suo saggio non si limita alla versione estrema del conflitto d'interessi - un premier padrone di un impero economico e mediatico - ma ne affronta le versioni più sottili e diffuse nel resto del mondo: le stock options miliardarie che spingono i top manager a manipolare i prezzi delle azioni; il ruolo perverso di consigli d'amministrazione, banche d'affari, revisori e consulenti legali che hanno ingannato milioni di lavoratori e piccoli risparmiatori. Lei sembra convinto che si sia attenuata un po' ovunque la percezione della differenza tra interesse individuale e interesse collettivo. "Qui parliamo del capitalismo vero, non di quello italiano. Sì, purtroppo la cronaca mi dà ragione ogni giorno. Anche la nuova legge Sarbanes Oxley, con cui il Congresso degli Stati Uniti ha dato un giro di vite normativo per reagire al caso Enron, non impedisce che gli scandali stessi continuino a moltiplicarsi. E' ormai in piedi un sistema organico di poteri costituiti, professioni e lobbies che hanno interesse a eludere le leggi anziché rispettarle. Il mese scorso a Siracusa ho partecipato a un importante convegno con i maggiori studiosi di diritto societario del mondo, da Harvard, Yale e Columbia, a inglesi, tedeschi e francesi. Anche i più ottimisti vedono una crisi generalizzata, epidemica per l'appunto. Le stock options, che ormai negli Stati Uniti rappresentano più del 60% dei compensi dei manager, sono senz'altro un carburante del nuovo conflitto d'interessi". Risalendo ad Adam Smith lei ricorda che il capitalismo al suo meglio ebbe una morale, fu capace di valorizzare ma al tempo stesso di tenere a freno gli "spiriti animali" a cominciare dall'avidità. Oggi invece lei denuncia l'indebolimento dei meccanismi di autoregolazione, dei valori correnti, delle istituzioni che avevano reso possibile il controllo del sistema. Che cos'è accaduto? "Il passaggio decisivo è stata la mutazione dal capitalismo industriale a quello finanziario. I due economisti che lo colsero con maggiore lucidità furono Keynes e Piero Sraffa: capirono che l'andamento della Borsa diventava un elemento condizionante per il risparmio delle famiglie, quindi addirittura per la politica monetaria e l'andamento delle variabili macroeconomiche. Già nel grande crack di Wall Street del 1929 una delle cause fu il conflitto d'interessi nelle banche: avevano tenuto artificialmente alti i prezzi delle azioni per nascondere le difficoltà economiche delle aziende loro debitrici. Oggi i colossi bancari sovrapponendo il ruolo di consulenti delle aziende, collocatrici di titoli sul mercato, e gestori di risparmio popolare, sono di nuovo avviluppati da un groviglio di conflitti d'interessi. Nell'America di oggi è evidente quanto il mercato azionario possa agire sulla crescita dell'economia reale, influenzando le scelte di consumo delle famiglie e le scelte di investimento delle imprese, il valore delle pensioni e la crescita del Pil. Prigioniero di un macro-conflitto d'interesse lo diventa perfino il banchiere centrale più potente del mondo, il presidente della Federal Reserve Alan Greenspan: ieri esaltato per avere favorito lo sviluppo della New Economy, oggi criticato per non aver prevenuto la bolla speculativa. L'inarrestabile trasformazione del capitalismo in economia puramente monetaria fa del conflitto d'interessi un motore del sistema". Lei passa in esame le terapie fin qui utilizzate e ne traccia un bilancio poco confortante. Autoregolazione del mercato; codici etici; inasprimenti delle pene; concorrenza-emulazione tra sistemi normativi nazionali: nulla le sembra avere sortito effetti risolutivi. La globalizzazione ha un ruolo centrale nel suo saggio: in che misura essa ha reso più ingovernabile questa crisi, e d'altra parte può prefigurarne un esito di tipo nuovo? "Sui codici etici bisogna disilludersi: la loro efficacia dipende troppo dall'etica di chi li deve applicare. La concorrenza tra sistemi normativi, in Europa o nel mondo, anziché far vincere il migliore può produrre una corsa al ribasso, una fuga verso le zone d'ombra meno regolate. La risposta statale a questa crisi è impotente perché si scontra con i limiti della sovranità e con i confini nazionali degli ordinamenti giuridici, oltre che con vuoti di consenso sociale: come disse Tocqueville, il peggiore fallimento del legislatore è quando le sue leggi cadono semplicemente in desuetudine. Pensare ad una struttura di regolazione sovranazionale del capitalismo finanziario, che pure sarebbe necessaria, in questo contesto politico è un'utopia. La globalizzazione è segnata anzi da un ritiro del potere normativo degli Stati, all'insegna del contrattualismo più sfrenato: le imprese multinazionali attraverso i contratti si fanno in sostanza le leggi su misura, gli arbitrati privati assumono un'importanza crescente nell'economia. Al tempo stesso vedo emergere dalla globalizzazione un fenomeno nuovo e interessante, che chiamerei un "nomos pre-giuridico", un consenso informale su valori che hanno una loro forza etica pur non essendo ancora leggi. E' l'etica degli hackers nel cyberspazio, che si salda con la cultura del movimento alter-global, delle organizzazioni terzomondiste e del Forum sociale di Porto Alegre: l'evoluzione tecnologica e una nuova corrente etica convergono verso una messa in discussione radicale del diritto di proprietà, soprattutto sulla proprietà intellettuale e su quei beni immateriali che costituiscono la vera ricchezza dell'èra post-industriale. In questo senso, globalizzazione e nuove tecnologie diventano una sfida per lo stesso capitalismo finanziario che le ha generate, e forse questa è la sua ultima contraddizione".
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