la lezione di melfi



da lavoceinfo.it

venerdi 30 aprile 200429-04-2004
La lezione di Melfi
Tito Boeri

A Melfi si è consumato il fallimento di un progetto coltivato non solo dalla
Fiat, ma soprattutto da chi ha gestito le politiche nel Mezzogiorno in
questa legislatura e sul finire di quella precedente: l'idea di decentrare
la contrattazione salariale con accordi a livello territoriale, anziché
azienda per azienda. Un sogno nutrito troppo a lungo e responsabile anche di
molti sprechi. Perché un ingrediente base di questi "contratti di programma"
è stata anche l'iniezione di denaro pubblico, messo di volta in volta a
disposizione dal Governo per incentivare gli accordi.
Non consola certo sapere che parte di questo denaro veniva dalle casse dell'
Unione europea. Sempre di soldi dei contribuenti si è trattato.

Differenziali fra aziende più che all'interno delle aziende

Anche in paesi con bassi livelli di sindacalizzazione e una forte
dispersione nel ventaglio retributivo, i differenziali salariali sono molto
contenuti all'interno di ciascuna azienda.
La dispersione nei livelli salariali si genera soprattutto con divari fra
aziende diverse, anche se appartenenti allo stesso settore. Vi sono diverse
ragioni per questo.
Primo, forti differenziali nella stessa azienda possono scatenare rincorse
salariali interne, minare la coesione nell'impresa e la cooperazione fra i
dipendenti. È molto difficile che un'organizzazione sindacale possa
interiorizzare retribuzioni diverse per persone che timbrano lo stesso
cartellino e sono addette alle stesse mansioni. Ci vorrebbero più sindacati,
in forte competizione fra loro, nella stessa azienda. Un incubo.

Secondo, per imporre trattamenti diversi a lavoratori della stessa azienda
occorrono più fasi di contrattazione, con costi di negoziazione elevati
anche per il datore di lavoro.

Terzo, spesso è l'intera azienda a
contribuire alla produttività di alcuni reparti o impianti del gruppo,
concentrando i propri investimenti in fasi strategiche del processo
produttivo. Giusto che questi guadagni di efficienza vadano dunque a
vantaggio di tutti, non solo dei lavoratori nei reparti "avanzati".

A Melfi, invece, si è voluto creare un divario nel gruppo, per giunta al
contrario.

Il nuovo stabilimento, quello più efficiente e cruciale per la produzione
nel gruppo, quello con manodopera più giovane e qualificata e, per tutti
questi motivi, in grado di raggiungere livelli di produttività superiori che
in tutti gli altri stabilimenti del gruppo (a partire da Mirafiori), ha per
ben dieci anni (!) pagato i propri dipendenti circa un quinto in meno dei
lavoratori degli impianti meno efficienti del gruppo.
Si dirà che è un differenziale contenuto quando si tenga conto delle
differenze nel costo della vita fra Torino e Melfi. Ma negli accordi della
Fiat non è previsto alcun aggiustamento per il costo della vita a livello
locale. E anche i lavoratori di Termini Imerese guadagnano di più di quelli
di Melfi, nonostante il costo della vita in Sicilia sia anche più basso che
nel centro lucano. Inoltre, il taglio delle retribuzioni a Melfi è stato
ottenuto togliendo ai dipendenti del gruppo proprio quella componente delle
retribuzioni che, in linea di principio, potrebbe giustificare differenziali
retributivi all'interno della stessa azienda, vale a dire il premio di
produttività.

Date queste premesse, è davvero sorprendente che l'accordo abbia retto così
a lungo. Quando i lavoratori di Melfi hanno, dalla loro, anche il forte
potere contrattuale derivante dalla possibilità di bloccare la produzione
nel resto del gruppo. In dieci giorni di picchetti hanno ritardato la
produzione di ben 21mila vetture.
Retribuzioni, produttività e disoccupazione
Mentre a Roma si cerca faticosamente di trovare un accordo, per fortuna
lontani dai riflettori e dalla politica, è bene guardare più in là del
gruppo Fiat.

La ragione per cui il nostro mercato del lavoro ha bisogno del decentramento
della contrattazione è che bisogna generare più occupazione al Sud,
incentivando al contempo una maggiore produttività del lavoro. Questo
significa permettere al salario, al contempo, di essere più basso dove c'è
carenza di lavoro e più alto dove mancano i lavoratori e di premiare al
contempo miglioramenti della produttività del lavoro.
In Italia, a differenza che negli altri paesi Ocse, i salari sono poco
rispondenti alle condizioni del mercato del lavoro locale: non sono
marcatamente più bassi nelle regioni ad alta disoccupazione che in quelle
vicino al pieno impiego (vedi Hernanz Pellizzari).  Al contempo, la
componente delle retribuzioni legata alla produttività è molto contenuta
(attorno al 3% del salario viene determinato con premi di produttività) e
presente quasi solo nelle grandi imprese del Nord.  Solo la contrattazione
aziendale può tenere conto delle condizioni del mercato del lavoro locale e,
al tempo stesso, premiare produttività. Perchè nel caso della produttività i
divari Nord-Sud non operano a senso unico. Se la produttività del lavoro è
mediamente più bassa al Sud che al Nord, non è infatti detto che la
produttività debba essere in tutti gli stabilimenti del Mezzogiorno più
bassa che in tutti gli stabilimenti del Nord.

Melfi docet.

E' inoltre sbagliato pensare che possano essere gli aiuti di Stato a  far sì
che la contrattazione salariale tenga conto del fattore disoccupazione, come
nella logica dei contratti di programma. Si tratta di interventi selettivi e
transitori.  Invece del fattore "d", si finirà per riflettere solo il
fattore "p", la politica, fonte di distorsioni, iniquità e divisioni fra gli
stessi lavoratori perchè alimentano gruppi di pressione locali e burocrazie
che hanno l'unico scopo di procacciarsi gli aiuti.  Per legare il salario al
territorio meglio affidarsi a meccanismi automatici, tipo l'aggancio delle
retribuzioni a indici del costo della vita regionali (quando l'Istat si
deciderà a pubblicarli?) e alla competizione sul versante delle assunzioni,
che potrebbe essere favorita introducendo sgravi fiscali e contributivi per

i salari più bassi. La riduzione del costo del lavoro e l'aumento dei salari
netti per chi entra nel mercato del lavoro incentiverebbe infatti l'
emersione di attività sommerse e una maggiore partecipazione al mercato del
lavoro, riducendo al contempo il potere contrattuale di chi un lavoro ce l'
ha già.

A pensarci bene, questa è una scelta obbligata. Le Regioni del nostro
Mezzogiorno, la Basilicata in primis, si avviano a perdere l'accesso a quei
fondi strutturali della Ue in nome dei quali era stata lanciata l'operazione
dei contratti di programma e dei patti territoriali.  Se non vogliamo
aggiungere miopia a miopia, bene allora pensare all'unico modo di decentrare
la contrattazione, azienda per azienda, e spingere le organizzazioni dei
lavoratori e dei datori di lavoro a prepararsi a gestire le nuove forme di
contrattazione, cercando a livello locale occasioni per riunire ciò che la
politica ha diviso.