governo meno tasse per i ricchi meno servizi per tutti



da unità.it
28.03.2004

Il Robin Hood dei ricchi
di Nicola Cacace

 Gli strateghi del disastro colpiscono ancora con i panni di Robin Hood
indossati alla rovescia. Robin Hood toglieva ai ricchi per dare ai poveri
mentre Silvio Berlusconi continua a togliere ai più, lavoratori, pensionati
e classe media, per dare ai pochi, ai peggiori tra i pochi, quelli già
privilegiati da abolizione delle tasse di successione, condoni fiscali,
leggi per il rientro e riciclaggio di capitali, depenalizzazione del falso
in bilancio. Questa ricetta che ha già fatto danni, rendendo da un lato il
mercato interno sempre più asfittico e la crescita economica sempre più
depressa, dall'altro rendendo milioni di cittadini sempre più incerti sul
loro futuro, quindi impoveriti e sfiduciati nel portafoglio e nell'anima,
viene riproposta con arroganza e pervicacia.

L'ultimo "menù creativo" proposto da Cernobbio, ai governati del Bel paese
si compone essenzialmente di tre portate, la prima rivolta ai lavoratori,
lavorate di più rinunciando gratis a qualche festività, la seconda rivolta
ai pensionati di ieri oggi e domani, contentatevi di pensioni sempre più
misere e incerte, la terza rivolta ai "compagni di merenda", arricchitevi
sempre di più che pagherete meno tasse, soprattutto quelli tra voi inclini
all'evasione ed all'elusione fiscale e alla finanza creativa più che alla
produzione di beni e servizi reali.
Che dire? Dalla rivoluzione industriale c'è voluto poco più di un secolo di
lotte politiche e sindacali per ridurre le ore di lavoro, portando la
settimana lavorativa da 60 a 40 ore, a 35 in Germania, Francia e
Scandinavia, portando le settimane di ferie da una a quattro, cinque in
Scandinavia, introducendo tre mesi di maternità retribuita per le
lavoratrici in tutti i Paesi civili, ad eccezione dell'America; così
dimezzando in cento anni, in tutto il mondo industriale, le ore annue
lavorate da 3200 a 1600. Oggi, nel secolo del più accelerato progresso
tecnico, ci si viene a proporre di risolvere i problemi del Paese rimandando
indietro le lancette della storia, avvicinandosi all'Africa ed
allontanandosi dall'Europa. Le giornate di festività, dieci od undici, sono
oggi il minimo di festività vigenti in tutti i Paesi industrializzati,
America inclusa, e sono già state ridotte una quindicina di anni fa. Ridurle
ancora significherebbe una ulteriore peggioramento della qualità della vita
soprattutto per le categorie più umili. Oggi è sempre più difficile che una
famiglia operaia possa trovare il tempo per passare qualche festività con
figli ed amici essendo il tempo disponibile sempre più prerogativa delle
classi agiate. Duemila anni fa Seneca , in una famosa lettera a Lucilio,
scriveva «Caro Lucilio, fa ciò che mi scrivi, fa tesoro di tutto il tempo
che hai. Sarai meno schiavo del domani se ti sarai reso padrone del tempo.
Per me non è povero del tutto colui che difende gelosamente il tempo che
possiede, perché, ci ammoniscono i nostri vecchi, è troppo tardi per
risparmiare il vino quando si è giunti alla feccia». Oggi la differenza tra
veri ricchi e veri poveri è tra chi ha tempo disponibile per il lavoro ma
anche per se, per la famiglia, per la cultura, per l'amore, per la politica,
per lo sport e tra chi ha tempo solo per il lavoro.
Berlusconi propone di ampliare un divario nei tempi-vita tra
ricchi e meno ricchi che è già nei fatti. Quanto alle tasse pagate con
metodo sempre meno progressivo, secondo il programma e le proposte del
governo di centro-destra, con metodo cioè che finisce per alleggerire sempre
più il carico fiscale delle categorie più ricche (questo significa portare
le aliquore dell'Irpef a due dalle attuali quattro abbassando la massima dal
46% al 33%), basterebbe leggersi le cronache della grande crisi del 1929-30,
che dall'America si diffuse in tutti i paesi più ricchi di allora, Italia
compresa, per comprendere i danni anche economici di tali politiche. Quella
crisi fu determinata proprio da un decennio di politiche fiscali dei governi
di destra a favore dei ricchi, che spostò reddito dalle classi operaie e
medie a favore del 20% della popolazione con l'inevitabile risultato finale
che fece deflagare la grande depressione: l'80% della popolazione impoverita
da quelle politiche fiscali regressive, aveva sempre meno soldi per
consumare determinando una grave crisi da domanda, mentre la minoranza
arricchitasi oltre ogni limite fece ogni tipo di speculazione finanziaria
determinando prima la Bolla di Borsa e poi la crisi della Borsa. Qualcosa di
molto simile è successo in America ed in Europa con l'esplosione della Bolla
di Borsa, del 2001, dopo un decennio di politiche inique di distribuzione
del reddito. Questo per non parlare che degli effetti negativi sull'economia
di una politica di iniqua distribuzione dei redditi. E poi c'è da ragionare
sullo Stato sociale. Le politiche della destra in tutto il mondo tendono a
ridurre le entrate dello Stato per privatizzare i Servizi, cioè distruggere
lo Stato sociale. Basta guardare ai bilanci sempre più tagliati di Sanità ed
Istruzione pubblica in Italia. Senza parlare della distruzione dello Stato
sociale operata in America dall'epoca di Reagan in poi, col risultato che
riducendo a senso unico le tasse, cioè solo per i ricchi, oggi 50 milioni di
cittadini americani sono senza alcuna copertura sanitaria e 100 milioni di
lavoratori americani non potendosi pagare una pensione integrativa sono
costretti a lavorare sino a settant'anni ed oltre. Se sono questi gli
obiettivi del sig. Berlusconi è bene che tutti in piedi gli diciamo che non
è questo il mondo che vogliamo per noi ed i nostri figli, che per guadagnare
un centesimo di punto di Pil - ammesso che ci si riesca con tali metodi
medioevali - non siamo disposti a ridurre ulteriormente il nostro già scarso
tempo-vita.
L'attuale declino del Paese non è dovuto alle dieci festività comandate o
alle 3-4 settimane di ferie di cui i lavoratori, non tutti purtroppo,
godono. Esso è anche dovuto al fatto che l'economia di carta è stata
favorita rispetto all'economia reale con un forte impoverimento dei redditi
dei fattori produttivi, capitale e lavoro, a vantaggio delle rendite
finanziarie ed immobiliari e con indebolimento della capacità di innovazione
del paese. Su questi problemi bisogna agire non abolendo la festa del
patrono e Pasquetta.
Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Ancora una volta gli
strateghi del disastro tentano di uscirne con ricette ridicole e sbagliate.
Non deve essere difficile far capire agli italiani che il «meno tasse e meno
festività per tutti» di Berlusconi in realtà nasconde un più sgradevole
«meno tasse per i ricchi e meno servizi per tutti» e che il declino del
Paese è anche legato ad una filosofia pauperistica sbagliata, che punta solo
a ridurre salari, pensioni e tempi di vita invece di favorire le conoscenze,
il lavoro creativo, le innovazione, l'istruzione e la ricerca.