genova , le artelnative all'inceneritore



dal secolo xix
21 marzo 2004, Domenica .
«Le alternative
all'inceneritore»

Ridurre in soli due o tre anni la produzione familiare
di rifiuti di almeno 15% è possibile. Così come
fare raccolte differenziate superiori al 60% senza aumento
dei costi a carico delle famiglie. L'unica condizione
sembrerebbe quella di non abitare in Liguria.
È questo il risultato della tavola rotonda organizzata
da Greenpeace, Italia Nostra, Legambiente, Wwf e
i comitati liguri, uniti sotto lo stesso striscione "Nessun
Inceneritore nel Giardino di Nessuno", incontro
aperto a i sindaci. L'obiettivo era verificare se si può
realizzare un modello efficiente e moderno per la
gestione dei materiali post-consumo che non preveda
la costruzione di inceneritori. L'esperienze della
Provincia di Treviso, di Asti (74 mila abitanti) e di
Salzano (11 mila abitanti), hanno dimostrato che arrivare
a raccolte differenziate del 70%, in due o tre
anni, non è un problema politico (a Treviso domina
la Lega, Asti ha un sindaco di Rifondazione), ma
di scelte intelligenti e di volontà amministrativa. Vincenti
si sono dimostrate la raccolta porta a porta e
la tariffa personalizzata. Il Consorzio di Treviso 2,
che serve 205 mila persone in Comuni con popolazioni
tra i 2 mila e 20 mila abitanti, in tre anni è
passato da una raccolta differenziata del 27% al
68%, con una riduzione della produzione pro-capite
di materiali post-consumo di oltre 18%. La raccolta
porta a porta è più costosa, ma i risparmi possibili
grazie alle minori spese di smaltimento e ai proventi
della vendita al Conai dei materiali riciclati, compensano
i costi. Certo, una cosa è operare in piccoli
centri e un'altra nelle grandi città. Ma occorre notare
che tranne Genova, tutti gli altri comuni della provincia
hanno meno di 30 mila abitanti. Mentre la Grande
Genova è la somma di numerose delegazioni che
in parte hanno mantenuto l'originaria struttura.
Un'altra soluzione è la bio-ossidazione o biostabilizzazione.
Si tratta di una biotecnologia che,
utilizzando micro-organismi che vivono nel terreno,
"brucia" a bassa temperatura, in apposite bio-celle,
la frazione putrescibile degli scarti urbani. Dopo una
settimana, i rifiuti sono trasformati in un materiale
secco, inerte e inodore, da cui separare metalli, cocci,
pietrisco. Successivamente, gli scarti possono essere
compressi e messi a discarica (nel rispetto delle
Direttive Ue), sicuri che non creeranno problemi ambientali
e sanitari. Questa tecnica, ignorata in Liguria,
è già impiegata per trattare il 37% dei materiali postconsumo
in Friuli e il 51% in Umbria. La biostabilizzazione
è più competitiva della termovalorizzazione
per i tempi di realizzazione degli impianti
(14-18 mesi), i costi di realizzazione (24 milioni di
euro per un impianto da 120 mila tonnellate all'anno),
i costi del trattamento (da 50 a 109 euro a tonnellata).
Insomma, mentre un inceneritore è un costoso
impianto dall'elevato impatto ambientale, il bioossidatore
è più economico, depura l'aria invece di
inquinarla grazie all'azione di microorganismi specializzati
nella degradazione biologica delle diossine.
Mentre in tutta la provincia esistono solo tre aree
sufficientemente grandi per un mega-inceneritore,
impianti di bio-stabilizzazione da 60 mila e 120 mila
tonnellate all'anno possono essere ospitati in una
decina di siti. Ridotta la produzione dei materiali
post-consumo del 15%, riciclati il 50% dei quali prodotti,
in tutta la Provincia di Genova rimarrebbero
circa 200 mila tonnellate di scarti da trattare. A questo
scopo basterebbero due impianti di bioossidazione
da 120 mila tonnellate ciascuno o meglio
quattro impianti da 60 mila tonnellate. Da notare
che la quantità di bio-stabilizzato da collocare in discarica
(circa 100 mila tonnellate) corrisponde alla
quantità di ceneri e scarti che produrrebbe il temovalorizzatore.
In Liguria un altro sistema per lo smaltimento
dei rifiuti senza inceneritore è possibile. Noi
siamo pronti a fare la nostra parte. E i nostri eletti?

Italia Nostra, Greenpeace
Legambiente e Wwf di Genova