vertenze acqua in italia



L'ACQUA TRADITA: MAPPA DELLE VERTENZE NEL BELPAESE
WWF
Fonte: WWF - A cura di
Stefano Lenzi - responsabile Ufficio istituzionale e legislativo WWF Italia
Lucia Ambrogi - collaboratrice dell'Ufficio istituzionale e legislativo WWF
Italia
10 giugno 2003

Del senno di poi son pieni. gli scarichi. Se andiamo ad esaminare la
normativa nazionale sulle acque scopriamo ancora una volta, se ce ne fosse
bisogno, che siamo un paese di ottimi legislatori e di mediocri o pessimi
amministratori.

In Italia sulla carta è sin dal 1933 che le acque superficiali interne e le
acque sotterranee sono un bene di pubblico interesse, l'hanno ribadito da
allora perlomeno altre due normative fondamentali (quali la cosiddetta Legge
Galli, L. 36/1994, e il decreto legislativo sugli scarichi idrici e la
tutela delle acque, Decreto legislativo n. 152/1999) che segnano almeno
formalmente un'importante evoluzione giuridico-normativa nella definizione
del concetto di gestione sotto la regia pubblica di una risorsa che deve
essere accessibile a tutti; riconosciuta, al fine, anche come sistema
ecologico complesso da tutelare. Anche recentemente abbiamo battuto tutti in
Europa, anticipando di almeno un anno alcuni contenuti della Direttiva
quadro europea 2000/60/CE. Ma è bastato l'art. 35 della Legge Finanziaria
2002 per minare il concetto di bene pubblico, almeno per quanto riguarda le
attività di captazione, adduzione e distribuzione, aprendo la strada alla
privatizzazione della risorsa allo sbarco in Italia delle multinazionali
dell'oro blu.

Anche sulla difesa del suolo e sul mantenimento dell'equilibrio
idrogeologico eravamo riusciti finalmente a conquistare con la legge n.
183/1989 il concetto di governo del territorio attraverso l'attività di
pianificazione degli interventi su scala di bacino idrografico, per poi
passare dopo il disastro di Sarno, con la legge n. 180/1998, alla pur
necessaria delimitazione emergenziale della aree a rischio idraulico e di
frana, finché non si è degenerato con l'utilizzare impropriamente le
Ordinanze per la protezione civile per progettare e realizzare interventi
legati anche a non precisati grandi eventi in deroga alle norme di tutela
del paesaggio e dei beni naturali e culturali (L n. 401/2001). Come dire che
per tutelare il fragile equilibrio del territorio, sovrapporre (in nome di
inesistenti avvenimenti eccezionali) allo scempio la speculazione di Stato
non può far altro che bene.

Ma torniamo alle acque. Il Regio Decreto dell'11 dicembre 1933 n. 1775 all'
art. 1 definisce come pubbliche tutte le acque: sorgenti, fluenti e lacuali
,anche se artificialmente estratte dal sottosuolo (.), le quali, considerate
sia isolatamente per la loro portata o per l'ampiezza del rispettivo bacino
imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico, al quale appartengono,
abbiano o acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse.

Proprio a partire dalla definizione del requisito fondamentale del bene
pubblico quale attitudine ad usi di pubblico e generale interesse di circa
70 anni fa, che si è andata affermando nel tempo un'interpretazione
estensiva della giurisprudenza. Interpretazione che ha consentito di
affermare la natura pubblica del "bene acqua" comprendendo in questo
concetto, oltre alle acque superficiali non di minima entità e quelle
sotterranee, sorgenti, colatoi, fossati, ghiacciai, canali.

C'è comunque da dire che, seppur evoluto per i suoi tempi, il legislatore
del Ventennio, nel ribadire la natura pubblica del "bene acqua", mirava con
il RD 1775/1933 a massimizzare lo sfruttamento della risorsa, non ponendosi
il problema della sua tutela e della restituzione all'ambiente naturale,
ritenendola un bene illimitato. Ed è su questa impronta che è ancora
strutturato il sistema tariffario ancora oggi in vigore che, come allora,
non tiene conto del risparmio, della possibilità di riutilizzo e
restituzione dell'acqua non inquinata. Anche se c'è da osservare che il
costo del servizio è comunque, generalmente, aumentato in misura
significativa per l'applicazione divenuta obbligatoria della tariffa della
fognatura e depurazione che viene addebitata anche quando il servizio non è
erogato.

Questa visione dissipativa della risorsa e l'incerta definizione del costo
sociale dell'acqua ha consentito che nel nostro paese non si dedicasse la
dovuta attenzione al mantenimento/miglioramento dei sistemi e delle
infrastrutture di adduzione, distribuzione e di smaltimento, con l'
affermarsi di fenomeni inefficienza, incuria e malfunzionamento che fanno
stimare (secondo i dati ufficiali) perdite in rete su scala nazionale
attorno al 27% dell'acqua addotta prima di giungere all'utenza, con
ulteriori perdite del 5%, causate dall'inadeguatezza degli impianti
domestici.

Più di sessanta anni dopo è la cosiddetta Legge Galli (L. n. 36/1994) che
getta le basi per al gestione integrata dell'intero ciclo idrico. Il ciclo
integrato (captazione, trattamento, distribuzione, fognature e depurazione)
secondo questa normativa viene affidato ad un unico soggetto con lo scopo di
assicurare una gestione razionale dell'acqua riducendo gli sprechi e
favorendo il risparmio e il riuso. Si stabilisce anche il principio che l'
onere della gestione ricada sulla tariffa, elemento regolatore del sistema,
trasferendo il costo sulla gestione della risorsa dalla collettività all'
utenza.

Al centro del sistema di governo pubblico della risorsa acqua ci sono Le
Regioni che istituiscono gli Ambiti Territoriali Ottimali che oltre a una
ricognizione delle opere di acquedotto, infrastruttura e depurazione
esistenti e alla definizioni di Piani d'Ambito, devono scegliere la migliore
forma di gestione del servizio idrico integrato (concessione a terzi o
affidamento diretto a società miste a maggioranza pubblica).

Al 2001 la situazione è che le ricognizioni condotte dalle Regioni, prima
dell'insediamento degli ATO sono terminate in 52 Ambiti, sui 74 insediati e
i 91 previsti. Circa 14 ATO pari a 1/3 di quelli insediati) ha redatto il
Piano d'Ambito e 10 di questi hanno affidato la gestione del servizio idrico
integrato. La situazione gestionale è di fatto rimasta quella antecedente
alla Legge Galli, mentre la stessa individuazione degli ATO è peregrina,
perché basata più che su criteri geografico-ambientali, sulle suddivisioni
amministrative.

In questa situazione di inerzia si incunea proprio due anni fa l'art. 35
della legge n. 448/2001, la legge finanziaria 2002, che stabilisce l'
affidamento diretto, senza gara, dei servizi pubblici locali a rilevanza
industriale: tra questi. i servizi pubblici di captazione, adduzione,
distribuzione della risorsa, di fognatura e di depurazione delle acque. Il
provvedimento indica un modello preferenziale di gestione del servizio
integrato, tramite la trasformazione (entro il termine del 30 giugno 2003)
delle aziende speciali e dei consorzi pubblici in società di capitali
(S.p.A.), che pur controllate da enti pubblici locali sono soggetti di
diritto privato che possono essere partecipati d aziende private. In
alternativa, si pongono a gara internazionale la gestione delle reti e l'
erogazione dei servizi pubblici locali. La costante è che si apre ai privati
in ritmi serrati senza le garanzie sufficienti.

Il Governo in carica e la maggioranza che lo sostiene non pare in questo
come in altri casi (vedi le continue violazioni sulla disciplina dei
rifiuti) porsi il problema come si concili questa impostazione con quanto
stabilito dalla Direttiva 2000/60/CE per la quale "l'acqua non è un prodotto
commerciale, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come
tale". Ma non è necessario andar lontano: la Legge Galli nel 1994 recita
"Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal
sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata
ed utilizzata secondo criteri di solidarietà" e il Decreto legislativo n.
152/1999 punta alla migliore tutela delle acque superficiali, marine e
sotterranee attraverso elevati standard di qualità sanitari ed ecologici.
Qualcuno dovrebbe spiegare come perseguire questi obiettivi quando con
troppa fretta e approssimazione si mette in discussione il concetto dell'
acqua come bene pubblico.

Come succede spesso in Italia, è proprio a causa della forbice che si è
creata tra la norma scritta e i principi dettati in ambito nazionale e
comunitario e la realtà istituzionale e di mercato che si è creata nella
gestione delle politiche di difesa del suolo e di gestione del ciclo
integrato dell'acqua che stanno fiorendo in Italia le vertenze per una
gestione ecosostenibile e solidale dalla risorsa acqua.

Nord Italia

IL PO: IL PIANO DI BACINO ALLA PROVA

Il Bacino del fiume Po, con i suoi oltre 70.000 chilometri quadrati, attorno
al quale gravitano circa 17 milioni di abitanti è di gran lunga il più vasto
e problematico d'Italia. La sua Autorità di Bacino estende la sua influenza
su un quarto del paese. Il Piano di assetto idrogeologico del Po (approvato
nel 2001), che ha introdotto, accogliendo le proposte del WWF, la
rinaturazione e la manutenzione del territorio come presupposti per ridurre
il rischio idrogeologico e riqualificare l'ambiente, è fermo e gli attuali
progetti e interventi promossi sul fiume seguono la vecchia e
controproducente logica legata all'emergenza e a opere di
artificializzazione dei corsi d'acqua. Il WWF, che ha già avviato concrete
iniziative con i Giovani Imprenditori di Confindustria, la Coldiretti, i
parchi fluviali e con molti Comuni, lancia un appello alla salvaguardia e
valorizzazione del più grande fiume d'Italia per richiedere l'urgente e
indispensabile cambiamento di rotta all'Autorità di Bacino del Po con l'
avvio di diffusi progetti di riqualificazione ambientale. L'appello verrà
promosso in occasione delle iniziative che verranno svolte dal WWF in
collaborazione con molti enti pubblici lungo il fiume tra il 27 maggio e il
15 giugno.

Piemonte

VAL SUSA: I DANNI DELLA TORINO-LIONE

Le associazioni ambientaliste, con in prima fila il WWF, insieme a tutti i
Comuni della Val Susa si oppongono alla realizzazione delle due tratte della
linea ad Alta Velocità Torino-Lione (che sono state presentate in procedura
di valutazione di impatto ambientale il 7 marzo scorso - tratta Confine di
Stato-Bruzolo - e il 10 marzo - tratta Bussoleno-Torino) Ancora non è
progettato il mega-tunnel del Gran d'Ambin che creerà pesanti devastazioni
in una zona ricca d'acquiferi e di sorgenti. In merito agli aspetti salienti
del quadro ambientale delle tratte sottoposte a VIA: si sottolinea come nell
'ipotesi di realizzazione della linea si devasterebbe (con l'apertura per
anni delle aree di cantiere, la coltivazione di 20 cave e gli 8 milioni di
metri cubi da mettere in discarica) una natura e un paesaggio di grande
pregio; negli studi presentati viene sottovalutato ampiamente il rischio
idrogeologico sia in fase di cantiere che in quella d'esercizio,
particolarmente grave nella piana tra Bruzolo e Borgone per la realizzazione
di trincee e rilevati e nel Comune di Pianezza, dove verranno localizzati
siti di deposito e discarica; non vengono considerate le pesanti
interferenze con i SIC, con particolare riguardo alla zona umida di
Casellette e alla Riserva naturale di Foresto. Di particolare rilievo l'
opposizione di tutti i Comuni interessati alla linea, sia di centro-destra
che di centro-sinistra: i 25 Comuni della Val di Susa, 1 della Val Ceronda e
Casternone e 6 della Cintura Nord-Ovest di Torino (per un totale di 300 mila
abitanti), che hanno come capofila la Comunità Montana Bassa Val di Susa e
Val Cenischia. Gli enti locali hanno prodotto il 20 gennaio scorso un
documento in cui ribadiscono la loro "posizione di contrarietà.all'ipotesi
progettuale AV/AC" e chiedono di poter contare alla "definizione di una
diversa strategia trasportistica" che riaffermi "il ruolo della
programmazione per promuovere lo sviluppo sostenibile".

Tra Piemonte e Liguria

GENOVA-NOVI LIGURE: UN INUTILE TERZO VALICO

Il consorzio Co.Civ., presentando il progetto preliminare e lo studio di
impatto ambientale, ha riavviata la procedura VIA (pubblicazione il 10
marzo) riguardante la realizzazione del cosiddetto Terzo Valico sulla
direttrice ad AV Milano-Genova, che prevede la costruzione di tratti in
galleria per complessivi 42 km con ricadute molto negative sull'ambiente e
con il rischio di depauperamento delle risorse idriche. Co.Civ. non è nuovo
ad omettere parti essenziali delle elaborazioni progettuali: ha già dovuto
incassare due pronunce di compatibilità negative per la linea ad AV
Milano-Genova nel 1994 e nel 1998 e una procedura interlocutoria negativa
nel 2000 per le grandi lacune della documentazione presentata in occasione
VIA sul primo progetto del terzo Valico. Il WWF e al Coordinamento
interregionale dei comitati cittadini contro il Terzo Valico (sulla
direttrice Genova Voltri - Novi Ligure), che da anni stanno contrastando un'
opera del tutto inutile, hanno formato un gruppo di lavoro tecnico che ha
redatto le Osservazioni inviate alla Commissione VIA. Il gruppo di lavoro,
composto da esperti nelle varie materie, ha rilevato, a proposito degli
aspetti riguardanti suolo e sottosuolo e l'ambiente idrico, che: si vorrebbe
procedere sul versante padano al disalveo del torrente Scrivia, affluente
del Po, con un prelievo di 600 mila mc di inerti, senza considerare gli
squilibri molto gravi che potrebbe generare questo ingente prelievo, con
conseguenze anche disastrose su argini, ponti e falde; si indica come
necessario un pesantissimo intervento di maquillage della cava Cementir di
Voltaggio, dove vengono "scaricati" due milioni di metri cubi di inerti che
rischiano di creare una barriera che, facilitando l'accumulo delle acque,
può mettere in pericolo l'abitato di Voltaggio; si descrivono con estrema
superficialità i problemi idrogeologici, sottovalutandone la portata e non
indicando soluzioni praticabili ai rischi che si possono correre rispetto
alle sorgenti in territorio ligure e piemontese (vengono, ad esempio,
minimizzati i rischi nella zona di Pietralavezzara e Rigoroso) e,
soprattutto, quelli legati alle interferenze con la falda della galleria
artificiale di Novi.

Liguria

VAL LEMME: ACQUA CONTRO CEMENTO

Da molti anni ormai si confrontano in Val Lemme (provincia di Alessandria)
due idee opposte di gestione del territorio: da una parte la Cementir,
gruppo Caltagirone, che, a lungo assecondata dall'amministrazione
provinciale di Alessandria e dalla Regione Piemonte, mira ad impiantare una
cava di marna da cemento su un'area di 195 ettari, minacciando 1 milione di
alberi e una decina di sorgenti, dall'altra la quasi totalità degli enti
locali, le associazioni ambientaliste e il "popolo dell'acqua" costituitosi
in comitato. I comuni di Gavi e Carrosio si sono sempre opposti al progetto,
forti del fatto che la cava andrebbe a compromettere le fonti dei loro
acquedotti, mentre il Parco Regionale delle Capanne di Marcarolo, insieme
alle tante persone che negli ultimi due anni si sono spese nel tentativo di
bloccare i lavori e le ruspe anche con azioni dirette ancorché sempre
ispirate dalla non-violenza, non è riuscito purtroppo ad evitare che al suo
interno, in una zona per di più denominata dalla UE Sito di Interesse
Comunitario (SIC), venisse quasi interamente realizzato l'acquedotto
sostitutivo. Infatti un decreto l'allora Presidente del Consiglio D'Alema
nel 1999 rinnovò la concessione mineraria alla Cementir senza neppure
sottoporla alla Valutazione di Impatto Ambientale, ponendo come unica
condizione che la ditta si impegnasse a realizzare un acquedotto sostitutivo
per i comuni di Gavi e Carrosio. Proprio questo decreto è stato recentemente
annullato dal Consiglio di Stato, costringendo Provincia e Regione a
sospendere ogni tipo di lavoro e segnando un'importante vittoria nella
battaglia legale intrapresa dagli enti contrari e dal WWF. L'ufficio legale
della Sezione Liguria del WWF, avvalendosi della collaborazione del
Dipartimento di Geologia dell'Università di Genova, ha scoperto e denunciato
la presenza di amianto in natura sia nei luoghi interessati dalla
costruzione dell'acquedotto sostitutivo sia nell'area di miniera; inoltre ha
presentato un corposo esposto su tutta la vicenda alle Procure della
Repubblica di Alessandria e Tortona, denunciando anche un traffico di
rifiuti pericolosi provenienti dalla zona dei lavori e diretti verso un'area
ex industriale in periferia di Tortona e intraprendendo un'azione penale
sulle violazioni del "Decreto Ronchi" sui rifiuti. Il WWF ha pure affiancato
l'ufficio legale del Comune di Carrosio nella vicenda degli espropri dei
terreni interessati dal progetto ed ha consegnato un esposto alla Stazione
dei Carabinieri di Voltaggio segnalando il mancato adempimento di tutte le
norme di sicurezza durante i lavori dell'acquedotto sulla strada provinciale

Lombardia

IN LOMBARDIA: NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA

Si voterà contro la privatizzazione dell'acqua in Lombardia. L'ufficio di
presidenza del consiglio regionale lo scorso 28 febbraio ha dichiarato
ammissibili i tre quesiti dei sindaci che si oppongono alla liberalizzazione
del servizio idrico integrato. Il fronte dei sindaci, che è passato dagli
iniziali 50 agli attuali 300, ha proposto ai Lombardia tre referendum
chiedendo l'abrogazione di quelle norme della legge regionale 21/1998 che:
a) consentono ai privati di gestire i servizi di distribuzione dell'acqua,
depurazione e fognatura; b) la nascita di grande aziende di gestione della
risorsa a livello provinciale; c) la prevalenza del voto dei grandi comuni
su quelli minori all'interno dei comitati di gestione degli Ambiti Ottimali.
La vertenza consentirà secondo i promotori di difendere il principio che l'
acqua non è un bene pubblico e non una merce e a contrastare aggravi dei
costi dei servizi idrici a carico dei cittadini.

NOVATE MEZZOLA: IL PIAN DI SPAGNA ALLO SBARAGLIO

Il Pian di Spagna - Lago di Novate Mezzola è una delle più importanti zone
umide della Lombardia, con un'estensione di oltre 1700 ettari. Nonostante
quest'area sia riserva naturale regionale dal 1985 l'ente di gestione è
incapace di garantirne la conservazione. Numerosi sono i problemi per la
presenza di costruzioni abusive, discariche non autorizzate di rifiuti,
assenza di depurazione. La Regione Lombardia, su richiesta dell'ente di
gestione, ha presentato recentemente un progetto di camper service a ridosso
della zona di massima tutela. Il WWF, che insieme ad altre associazioni
ambientaliste (Legambiente e LIPU) ha promosso un Osservatorio permanente,
cerca con risorse volontarie di supplire alla mancanza di iniziativa,
controlli e vigilanza dell'ente di gestione.

Friuli Venezia Giulia

IL TAGLIAMENTO: ATTENTATO AL RE DEI FIUMI

Il Tagliamento è il fiume a più alta naturalità dell'area alpina, un corso d
'acqua che conserva intatte le dinamiche fluviali naturali. Chiamato non a
caso il "re dei fiumi alpini" costituisce il riferimento per gli studi di
ecologia fluviale in Europa e per i suoi elevati valori paesaggistici. Il
letto del fiume occupa un'area pari a 115 km quadrati e scorre all'interno
di un ampio materasso ghiaioso (50 km quadrati), tra numerose isole piene di
vegetazione (per complessivi 11 km quadrati). La Giunta regionale del Friuli
Venezia Giulia, per ragioni di sicurezza idraulica, ha deciso di costruire
su una superficie di 14 km quadrati, tre grosse casse di espansione per
circa 30 milioni di metri cubi di acqua su una superficie pari a 14 km
quadrati, in corrispondenza del Sito di Interesse Comunitario "Greto del
Tagliamento (cod. IT 33100007). Il WWF, in accordo tra gli altri con i
maggiori centri di ricerca europea sui sistemi fluviali (tra cui l'Istituto
Federale Svizzero di Scienza e Tecnologia) ha denunciato il progetto in
ambito comunitario sostenendo, tra l'altro, che il progetto regionale: non
garantisce la sicurezza idraulica, anche perché diminuisce la sua naturale
capacità di ritenzione idrica e riduce la sezione trasversale del fiume;
provvede la distruzione di una delle aree ecologicamente più importanti con
gravi conseguenze per i tratti golenali.

TOLMEZZO: ACQUE PULITE PER DECRETO

Il Governo Berlusconi con il DPCM 14 febbraio 2002, facendo riferimento alla
Legge sulla Protezione Civile (L. n. 225/1992), decreta lo "stato di
emergenza socio-ambientale determinatasi nel settore della depurazione delle
acque reflue nel Comune di Tolmezzo", provocato dal sequestro da parte della
magistratura della locale cartiera che immette scarichi fuori dai limiti di
legge nel Tagliamento provocando un grave inquinamento. Lo stesso giorno di
questo provvedimento viene nominato dal Governo il commissario ad acta,
individuato nel presidente della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia,
che procede il giorno successivo ad autorizzare gli scarichi della cartiera
in attesa di approfondimenti. Il WWF che ha presentato un ricorso al TAR
Friuli Venezia Giulia e una richiesta di infrazione alla Commissione Europea
contro lo Stato italiano, osserva come con questo provvedimento, che
utilizza strumentalmente la normativa della protezione civile, legittima in
realtà l'inquinamento contro ogni evidenza e in deroga alle leggi vigenti,
dichiarando un'emergenza strumentale e pretestuosa.

Veneto

SUL PO, ADIGE E BRENTA, SCAVO SELVAGGIO

Nei primi giorni di aprile 2003, dopo 6 mesi di indagini, 19.000 telefonate
intercettate per complessive 600 ore di ascolto il Corpo Forestale dello
Stato ha arrestato 11 persone legate a 4 ditte impegnate nelle escavazioni
abusive di sabbia nei fiumi Po, Adige e Brenta. Le imputazioni agli 11
arrestati sono il riciclaggio, il furto aggravato, il falso ideologico e
materiale, la truffa ai danni della Regione Veneto, la corruzione, la
rivelazione di segreti di ufficio. In particolare gli interventi abusivi di
escavo lungo il corso dei predetti fiumi potrebbe aver comportato rischi per
la disponibilità delle risorse idropotabili, compromissione delle falde con
scomparsa delle risorgive oltre a rendere accessibili le falde all'
inquinamento mettendo a rischio la sicurezza idrogeologica del territorio.
Il WWF Italia e Veneto stanno intervenendo quali parte offese procedendo con
propri legali alla raccolta di materiali e prove che dimostrino il "danno
ambientale" causato da tali abusi. Nel Veneto il problema dell'escavazione
abusiva nei fiumi è alla ribalta da diverso tempo, complice una normativa
scarna e con competenze spesso contrastanti, i cavatori abusivi spesso
continuano il loro lavoro redditivo anche alla luce di precedenti condanne
e/o contestazioni da parte degli organi di controllo, sanatorie e processi
troppo lunghi sono un notevole aiuto a questo business incontrollato.

Toscana

MUGELLO: PERDITE D'ACQUA AD ALTA VELOCITA'

Nel Mugello per le gallerie per l'Alta Velocità ferroviaria, progettate a
suo tempo dall'attuale ministro dei trasporti e delle Infrastrutture Pietro
Lunardi, esiste un grave problema di depauperamento delle falde e di
scomparsa di alcune sorgenti, oltre che di inquinamento dei corpi idrici,
che ha provocato difficoltà per l'approvvigionamento idrico nella zona. Nei
cantieri della Linea ad Alta Velocità Bologna-Firenze si arriva a perdite
sino a 750 litri al secondo di ottima acqua di montagna. Responsabile del
temuto disastro ambientale è il Consorzio Cavet , che nel 1991 aveva chiesto
per la realizzazione della tratta Bologna-Firenze 850 miliardi di vecchie
lire e oggi valuta l'opera a consuntivo attorno agli 8.250 miliardi di
vecchie lire. Il WWF, insieme alla altre principali associazioni
ambientaliste, chiede alla Regione Toscana e agli enti locali interessati di
costituirsi parte civile contro i predatori dell'acqua, il ripristino
ambientale dei corsi d'acqua e interventi affinché sia garantito l'
approvigionamento idropotabile per le popolazioni della zona.

VAL CECINA: IL FIUME SCOMPARSO

Da tempo viene accreditata l'idea della crisi idrica della Val di Cecina nel
livornese. Niente di più falso, sottolineano gli ambientalisti, perché in
realtà l'acqua in Val di Cecina ci sarebbe se non fosse sprecata,
consentendo alla maggiore utenza industriale, l'industria chimica
multinazionale Solvay, di lavorare ancora a ciclo aperto. C'è chi invece
attribuisce strumentalmente la colpa della penuria della zona di acqua alla
siccità, ma il problema vero non è questo, ma la regolamentazione dei
consumi nel rispetto della normativa. In contrasto con la normativa, che
garantisce innanzitutto il deflusso regolare delle acque e gli usi
idropotabili e irrigui, in Val di Cecina invece non si tiene conto del
depauperamento del fiume, è l'acqua del rubinetto a venire razionata, poco
si fa nel settore irriguo e l'industria preleva senza controlli da parte di
terzi. Non mancano certo i problemi da inquinamento legati all'assenza dei
depuratori e all'attività industriale ed agricola, ma il problema
sostanziale sono i prelievi massicci di acqua dolce per uso industriale. Il
WWF Toscana è da tempo che cerca di contrastare l'uso incontrollato della
risorsa dicendo no a qualsiasi ipotesi di ulteriore sviluppo della maggiore
utenza industriale della Val di Cecina se prima quest'ultima non riduce
drasticamente i suoi prelievi di alveo e di subalveo. L'associazione
ambientalista ricorda che oggi sono disponibili tecnologie che consentono
di: ridurre i consumi di acqua, riciclare l'acqua di processo o quella
proveniente dai depuratori e dall'acqua di mare.

IL MERSE: LA FALDA A RISCHIO DI AVVELENAMENTO

L'alto corso del Merse, situato in una zona di elevato pregio naturalistico,
è interessato da un fenomeno di inquinamento delle acque e, soprattutto, dei
sedimenti fluviali, a seguito della dismissione e della chiusura della
miniera di Campiano, nel Comune di Montieri. Dall'aprile 2001 hanno iniziato
a riversarsi nel Fosso Ribudelli ingenti quantità di acque con pH fortemente
acido ed alto contenuto di vari metalli tossici, provenienti con molte
probabilità dai depositi di ceneri ematitiche localizzati nelle profondità
della miniera dalla Società Mineraria Campiano-ENI e da una vecchia miniera
limitrofa collegata ad essa da un tunnel, grazie al rialzo delle acque di
falda non più prelevate,. La contaminazione è stata contenuta a partire dal
settembre del 2001, grazie all'intervento di messa in sicurezza effettuato
dalla Regione Toscana che ha provveduto, a proprie spese, a realizzare un
apposito sistema di depurazione in grado di abbattere circa il 90% degli
inquinanti. Secondo il WWF Toscana la risoluzione del problema non può
fermarsi limitarsi alla messa in sicurezza di questi depositi ma dovrà
prevedere interventi di riqualificazione della zona e la bonifica di tutta l
'area mineraria. Gli ambientalisti chiedono all'ENI di farsi carico dei
costi del disinquinamento. La soluzione di "bonifica" attualmente
prospettata (chiusura idraulica delle Miniere di Merse e Campiano da
effettuarsi comunque dopo 5 anni di monitoraggio) secondo il WWF Toscana è
insufficiente: per il persistere dell'inquinamento della falda e perché
trascura il risanamento ambientale dell'ecosistema fluviale intorno alla
confluenza del Ribudelli nel Merse.

Lazio

IL SIMBRIVIO: EMERGENZA IDRICA NEL LAZIO?

La crisi idrica nel Lazio si è manifestata recentemente in particolar modo
nella valle dell'Aniene e in gran parte dei comuni serviti dal sistema
acquedottistico del Simbrivio, che ha origine nei Monti Simbruini nell'
omonimo parco regionale. I tre acquedotti consortili servono un'utenza di
500.000 abitanti distribuiti in 57 comuni di tre province (Roma, Frosinone,
Latina). La rete acquedottistica del Simbrivio è particolarmente
inefficiente a causa delle perdite dovute a condotte fatiscenti con perdite
che, ad esempio, nel Comprensorio dei Castelli Romani sono quantificabili
attorno al 60-70% del flusso. Invece di cercare di riparare a questa
situazione la Regione Lazio sta pensando di investire altri 9 miliardi di
vecchie lire per la captazione di nuove sorgenti che insistono sempre nel
territorio del parco regionale dei Monti Simbruini. Il WWF Lazio chiede al
Commissario Straordinario del Consorzio Simbrivio (il vicepresidente della
Provincia di Roma) di procedere invece, tra l'altro a: un'analisi dei
fabbisogni idropotabili in relazione alle risorse idriche utilizzate; il
monitoraggio della situazione idrogeologica; il ripristino della rete di
distribuzione.

Abruzzo

ANCHE DALL'ABRUZZO: NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA

In Abruzzo 5 Ambiti Territoriali Ottimali su 6 hanno votato la
trasformazione delle rispettive aziende pubbliche in SpA. Tale
trasformazione è il primo passo verso la loro privatizzazione: le
amministrazioni locali, infatti, potranno mantenere la maggioranza all'
interno della SpA solo per 3 - 5 anni, trascorsi i quali si dovrà
necessariamente consentire l'ingresso ai privati in maggioranza. l'Ente d'
Ambito composto dagli Enti Locali rimarrà nominalmente proprietario delle
reti, ma, come è avvenuto in tante parti del mondo, gli interessi dei
privati potranno prendere il sopravvento. Nel momento in cui si entra nella
logica privatistica diminuiscono le garanzie a tutela dei cittadini, siano
essi contribuenti, clienti o lavoratori. Infatti si c'è il rischio concreto
di: aumenti straordinari delle tariffe, diminuzione della qualità del
servizio, rimodulazione dei contratti in senso peggiorativo per i lavoratori
del settore e forte riduzione del personale. Dal punto di vista ambientale,
poi, l'affidamento della gestione ai privati può determinare la perdita di
quel minimo di attenzione verso il risparmio idrico e la tutela del
territorio che un controllo pubblico può assicurare. Il WWF, insieme ad
Abruzzo Social Forum e CGIL-FNLE Abruzzo, ha lanciato una campagna di
informazione e mobilitazione per chiedere alle competenti amministrazioni
locali di bloccare ogni altro passo verso l'ingresso dei privati nelle SpA,
anche in attesa della sentenza della Corte Costituzionale, chiamata a
pronunciarsi da diverse regioni sulla costituzionalità dell'art. 35 della
Finanziaria 2002. In particolare, all'ATO di Teramo - l'unico che ancora non
ha votato la trasformazione - si chiede di rinunciarvi, ricorrendo anche ad
un recente emendamento approvato nella finanziaria regionale che consente di
affidare direttamente la gestione del servizio idrico a società o consorzi a
prevalente capitale pubblico. Il WWF Abruzzo ribadisce la necessità che gli
Enti locali si facciano promotori di un'ampia consultazione dei cittadini
prima di prendere qualsiasi decisione sulla gestione dell'acqua: ingresso di
privati nelle SpA, modalità di gestione della risorsa, tariffazione,
risparmio idrico. Il tutto in un quadro più generale che porti ad una nuova
legge regionale di settore che porti ad una gestione delle risorse idriche
trasparente, efficiente e ambientalmente sostenibile.

GRAN SASSO: VOGLIONO TOGLIERE L'ACQUA A TRE PROVINCE

Il Gran Sasso d'Italia ospita la falda acquifera che rifornisce gran parte
degli acquedotti delle province di Teramo, L'Aquila e Pescara. In questa
zona importantissima e delicatissima, cuore del Parco nazionale del Gran
Sasso e Monti della Laga e individuata come sito di interesse comunitario
(SIC) per gli habitat e le numerose specie vegetali ed animali presenti,
nelle viscere della montagna a stretto contatto con l'acquifero profondo,
sono state realizzate negli anni passati due gallerie autostradali e tre
enormi sale sotterranee che ospitano i Laboratori dell'Istituto Nazionale di
Fisica Nucleare. La realizzazione di queste opere ha causato un danno enorme
alla falda acquifera che si è abbassata di 600 metri con conseguente
scomparsa di moltissime sorgenti. Il Ministro dei Trasporti e delle
Infrastrutture Lunardi - già progettista dei precedenti tunnel
autostradali - vuole realizzare una terza galleria di servizio ai Laboratori
e altre due sale laboratorio sotterranee: un nuovo colpo alla più importante
risorsa idrica d'Abruzzo con ulteriori perdite di preziosa acqua. Il WWF
Abruzzo, insieme a enti locali, associazioni e migliaia di cittadini, si
sono schierati contro il terzo traforo e l'ampliamento dei Laboratori di
Fisica Nucleare, riportando una prima importante vittoria davanti al
Tribunale Amministrativo Regionale che ha annullato l'autorizzazione
rilasciata da un'apposita conferenza di servizi. Sempre grazie agli esposti
del WWF, sono, inoltre, in corso due procedimenti giudiziari (uno penale ed
uno civile) per l'inquinamento incontrollato delle risorse idriche della
zona da parte dei Laboratori dai quali, il 16 agosto 2002, sono fuoriuscite
almeno 50 kg di 1,2,4trimetilbenzene ( una sostanza chimica cancerogena)
finiti in un torrente e ritrovato anche in pozzi ad uso potabile a decine di
km di distanza.

Puglia

DALL'ABRUZZO ACQUA "PRIVATA" IN PUGLIA

La captazione dai fiumi Pescara, Sangro e Vomano all'altezza dei territori
di Scafa, Casoli e Montorio al Vomano di 200-300 milioni di metri cubi di
acqua l'anno da dirottare alla Puglia: si tratta del progetto presentato in
un opuscolo "Quaderno 1" realizzato dal sottosegretario alle Infrastrutture
e Trasporti, il pugliese Guido Viceconte. Uno studio tecnico economico dal
titolo "Approvigionamento dell'acqua alla Puglia". Il progetto prevede che
l'Abruzzo intervenga in maniera risolutiva sui bisogni idrici della Puglia.
Mentre Basilicata e Campania inviano circa 50/60 milioni di metri cubi di
acqua, l'Abruzzo dovrebbe cedere alla Puglia da 200 a 300 milioni di metri
cubi. Tutto l'affare ruota attorno alla società inglese Binnie Black&Veadck,
una multinazionale del settore alla quale la Regione Abruzzo ha affidato lo
studio di fattibilità dell'opera più imponente degli ultimi anni. I vertici
della società inglese, la cui sede italiana è a San Felice di Pistoia, il 29
agosto del 2001 hanno inviato una lettera al presidente della Regione,
Giovanni Pace, offrendosi per l'incarico, senza che nessuno ufficialmente ne
avesse manifestato l'esigenza. La convenzione è stata firmata il 3 settembre
2002 e il giorno dopo Francesco D'Ascanio, direttore regionale dei Lavori
pubblici, firma l'ordinanza. Dai documenti si apprende che alla Binnie
Black&Veadck si affidano altri compiti: "La Bb&V avrà il compito di
programmare e definire il soggetto giuridico destinato ad acquisire la
concessione dell'acqua da addurre in Puglia, avente in proprio i requisiti
per provvedere alla costruzione delle opere ed alla relativa gestione
durante tutto il periodo dell'ammortamento dei finanziamenti". Il 26
febbraio 2002 è stata costituita proprio una società consortile per azioni,
la Amp, con sede in L'Aquila. L'oggetto sociale della Amp, come risulta
dagli atti, è il seguente: "La società ha per scopo (...) di provvedere alla
progettazione, finanziamento, costruzione e gestione delle opere necessarie
a trasferire dall'Abruzzo alla Puglia risorse idriche per un quantitativo di
almeno duecento milioni di metricubi all'anno". Una società costituita ad
hoc, insomma, per "ottenere" dalla Bb&V la gestione di uno degli affari più
remunerativi in circolazione; un'altra sorpresa arriva leggendo i nomi dei
consiglieri d'amministrazione: tra questi c'è Graham Thompson,
amministratore unico della Bb&V che a questo punto si appresta a diventare
il massimo responsabile del progetto ed anche il gestore dell'acquedotto,
per una prima concessione trentennale rinnovabile alla scadenza.

Campania

IL CILENTO: STOP ALLO SFRUTTAMENTO SELVAGGIO?

La vicenda delle derivazioni dal bacino del fiume Mingardo nel Parco
Nazionale del Cilento nella zona delle Sorgenti del torrente Faraone, è
complessa e controversa Numerosi sono i problemi che si sono accumulati
negli anni: la preesistenza da decenni delle captazioni, anteriori all'
istituzione del Parco; i nuovi progetti di captazione; la vastità del bacino
idrico interessato; la totale divergenza fra i Consorzi e gli enti pubblici;
il coinvolgimento di organi della UE e dello Stato, ecc. Nel 1996 il WWF
segnalava alle autorità la gravissima situazione di depauperamento idrico
del fiume Mingardo, uno dei più importanti dell'istituendo Parco Nazionale,
che nei mesi estivi rimaneva completamente asciutto. A quanto risulta, il
fabbisogno idrico era determinato anche dalla mancata attivazione dell'
acquedotto del Sammaro, già realizzato con la spesa di 50 miliardi di lire
che fino quel momento erano rimasti inutilizzati, a causa il divieto
giustamente posto alla captazione da quella sorgente. Le denunce del WWF
(gennaio 1997) facevano chiarezza su questa situazione, provocando l'avvio
di indagini giudiziarie che avrebbero poi avuto grandi sviluppi. Ma gli
esposti del WWF indicavano anche possibili soluzioni alternative quali la
realizzazione di alcune opere a bassa incidenza ambientale come una condotta
di allacciamento, prevalentemente esterna al Parco. Le iniziative
giudiziarie intraprese negli anni in corso stanno dando oggi qualche
risultato: i vari enti gestori degli acquedotti (non solo il Consorzio del
Cilento, ma anche quello degli acquedotti del Sele, Calore e Montestella)
sembrerebbero finalmente aver preso coscienza dell'impossibilità di
continuare con i vecchi sistemi, superando non poche preclusioni politiche,
culturali e ideologiche del passato scegliendo la strada della
collaborazione e dell'intesa istituzionale. Da quanto si è potuto apprendere
finora, già sarebbe stata istituita tra i vari Consorzi (e con la
benedizione della provincia e dall'A.T.O.) una società mista di gestione
idrica, che attualmente immetterebbe nelle reti ca. 200 lt/sec. di acque
derivate dal potabilizzatore dell'Alento. Nel prossimo futuro il
quantitativo dovrebbe essere elevato a 500 lt/sec. (pari all'intera capacità
del potabilizzatore), e a questo punto dovrebbe diventare possibile, anche
nei mesi estivi, il rilascio in alveo di gran parte delle portate
attualmente derivate dalle aree sorgentizie in via del tutto abusiva. La
messa in funzione del campo pozzi di Polla dovrebbe poi assicurare altri 500
lt/sec. senza gravi conseguenze per l'acquifero e, a questo punto, la
razionalizzazione delle reti di interconnessione e distribuzione dovrebbe,
assieme alla progressiva eliminazione delle perdite, permettere di ridurre
al minimo l'attingimento di acque sorgentizie e superficiali praticamente
nell'intero territorio del Parco.

Basilicata

BASILICATA: COME RIPARARE I DANNI

In Basilicata dal 1931 esiste il Consorzio di Metaponto nato per gestire la
bonifica idraulica del territorio e consentire la messa a coltura delle
terre che presentavano in alcune zone una cospicua falda acquifera. Tale
Consorzio ha consentito negli ultimi decenni enormi stravolgimenti dei corsi
d'acqua e impiegato ingenti capitali pubblici per la realizzazione di grandi
invasi o per le captazioni di sorgenti, oltre a non controllare gli sprechi
in agricoltura. La depurazione delle acque è affidata a impianti tanto
costosi quanto non funzionanti, mentre prolificano gli scarichi abusivi. L'
Agri e il Sinni non scorrono più nel loro alveo naturale e il loro corso è
continuamente stravolto e interrotto da saracinesche e chiavi d'arresto. Le
falde acquifere del Metapontino si impoveriscono per gli eccessivi prelievi
incontrollati. Le preziosissime falde idrominerarie del Vulture sono
minacciate dall'inquinamento e dalla costruzione di infrastrutture viarie
inutili e devastanti. Il WWF Basilicata ha salutato con favore la
costituzione il 25 gennaio 2001 (LR n. 2/2001) dell'Autorità di Bacino, che
dovrà finalmente pianificare e gestire gli interventi per il risanamento
idrogeologico della regione, e chiede a questa di intervenire subito per
cercare di riparare i danni provocati ai corsi d'acqua e al territorio e per
governare gli usi agricoli, civili e industriali (legati anche allo
sfruttamento dei giacimenti petroliferi della Val d'Agri).

VAL D'AGRI: IL TEXAS DEL SUD

Uno degli incidenti più gravi è stato quello avvenuto nella notte del 17
marzo 2002 quando, durante un violento temporale, venne sversato nel
torrente Parete, affluente del fiume Agri, di una notevole quantità di
petrolio fuoriuscito dal centro Oli dell'AGIP-ENI di Viggiano. La vicenda,
scoperta da una pattuglia dei Rangers d'Italia e denunciata dal WWF
Basilicata, ha provocato, come hanno attestato i il NOE dei Carabinieri e la
ARPAB, uno sversamento nel terreno con valori pari a 3.2020 mg/litro di oli
minerali e valori massimi nelle acque del torrente Parete di 148 mg/l e i
rischio di contaminazione delle risorse idriche per uso potabile. Per
chiarire la vicenda ci sono voluti dieci giorni, certamente troppi secondo
gli ambientalisti che chiedono più controlli, per una zona cronicamente ad
alto rischio. La Val d'Agri, secondo i piani governativi e regionali,
dovrebbe diventare tutta un immenso campo di estrazione del petrolio (sono
70 le torri di perforazione previste nella zona in prossimità anche di
sorgenti e bacini idrici), snaturando completamente un territorio a
vocazione agricola ad alta vulnerabilità sismica e idrica, che rifornisce di
acqua potabile e per l'irrigazione numerosi comuni pugliesi e lucani. Gli
ambientalisti chiedono di abbandonare un progetto faraonico che non tiene
conto dei fragili equilibri territoriali e che sottopone le popolazioni
locali e l'ambiente a continui rischi di incidente e di contaminazione,
senza che sia gestito alcun piano adeguato di monitoraggio e di intervento
in caso di emergenza.

Calabria

CALABRIA: LA DIGA SUL MENTA

La maggiorparte delle dighe costruite o in costruzione in Calabria (come la
diga sul Menta, sul Metrano, sull'Alto Esaro, ecc.) sono opere inutilizzate,
cantieri perenni e eterne incompiute e, considerando il prezzo ecologico e
quello economico, e spesso inutili e dannose. La Diga sul Menta, che può
essere assunta un po' come simbolo di questa situazione, è un'opera
colossale in pieno Parco dell'Aspromonte sorta tra un mare di polemiche. Il
progetto molto complesso venne approvato nel 1979, con un costo iniziale
stimato intorno ai 69 miliardi di lire che già nel 1991 risultavano
triplicati. La prima fase del progetto prevedeva uno sbarramento del
torrente Menta a quota 1426 m., alto 90 m. che avrebbe creato un invaso di
18 milioni di mc. La seconda fase prevedeva i deflussi dai bacini limitrofi
dei torrenti Amendolea, Aposcipo e Ferraine a quote superiori e il loro
trasferimento nel serbatoio del Menta con un sistema a gravità, comprendente
prese e gallerie. Il WWF e altre associazioni ambientaliste avevano
osservato a suo temp che l'opera non solo costituiva uno scempio ambientale
di enormi proporzioni, ma soprattutto non era giustificata sul piano
tecnico-scientifico; come rilevava uno studio prodotto dalle stesse
associazioni ambientaliste. Le denunce da parte delle associazioni furono
molteplici. Quando il progetto fu approvato: l'area era vincolata dalla
Legge istitutiva del Parco Nazionale della Calabria approvata il 2 aprile
1968. Legge, la quale escludeva categoricamente che si potessero realizzare
nel parco manufatti in cemento, strade, ecc. Come in altri casi analoghi si
è voluta costruire ad ogni costo la diga, non prendendo affatto in
considerazione dati oggettivi quali: le perdite di acqua del 50% negli
acquedotti di Reggio Calabria o le centinaia di prelievi abusivi sulle
colline vicino alla città. Nonostante le tante proteste e perplessità, le
tante vicende giudiziarie ed il continuo lievitare dei costi, l'invaso è
stato comunque realizzato, ma oggi la diga è vuota. A 24 anni dall'
approvazione del progetto, denunciano gli ambientalisti, l'invaso è pronto
ma non può essere riempito poiché non sono state realizzati a valle i canali
di adduzione per captare l'acqua dai torrenti circostanti.

Sicilia

IL LAGO DI PERGUSA: RISCHIA DI SCOMPARIRE

Il Lago di Pergusa in provincia di Enna è un bacino di 12.8 chilometri
quadrati con un perimetro (potenziale) di 4.7 chilometri quadrati e un
perimetro di bacino di 12.8 chilometri quadrati. Il lago, riserva naturale
"speciale" della Regione siciliana per i suoi fenomeni di solforiduzione e
per le sue particolari valenze biologiche, non avendo né immissari, né
emissari è sottoposto alla progressiva riduzione dello specchio acqueo a
causa dell'interramento dell'invaso (la profondità delle acque è passata dai
12 metri agli 0.30/1.70 metri attuali). La mancanza di manutenzione e tutela
del territorio che ha abbandonato le fonti all'interramento e il fenomeno
storico (oggi, per fortuna, interrotto) dell'emungimento incontrollato delle
acque hanno favorito l'attuale, precaria situazione. Il WWF ha contribuito a
scongiurare un progetto regionale che autorizzava la costruzione di un
autodromo nella zona e ha promosso insieme all'Associazione Italiana per l'
Ingegneria Naturalistica - AIPIN un progetto LIFE Natura per la protezione
dell'area.

L'ANCIPA: UN CASO NAZIONALE

L'acquedotto ANCIPA, ideato negli anni '50/60 con l'obiettivo di convogliare
in un unico invaso vari torrenti ed affluenti del Simeto per utilizzi
idroelettrici ed idropotabili, investe il Parco dei Nebrodi con opere di
sbarramento idrico ed enormi condotti. La realizzazione dell'Acquedotto
prevedeva tre lotti che avrebbero interessato il primo e il secondo la zona
A e B, ossia riserva integrale, il terzo lotto ricadeva sulla zona
archeologia di Cozzo Matrice (Enna)e la riserva naturale del fiume Imera
Meridionale. Tutti e tre i lotti interessano aree sottoposte a vincolo
paesistico ex legge Galasso. La realizzazione dei lotti avanzava incurante
delle necessarie autorizzazioni urbanistiche e paesaggistiche tanto da dare
il via ad un confronto durissimo tra chi chiedeva il rispetto della legalità
e chi mirava ad una sanatoria dei lavori realizzati abusivamente.
Numerosissimi sono stati gli interventi delle Associazioni ambientaliste,
come WWF e Legambiente che, con esposti, denunce, interventi di
sensibilizzazione richiamavano la responsabilità di chi consentiva la
realizzazione di opere abusive e di dubbia utilità. Paradossalmente a
costituirsi parte civile nei processi penali furono le suddette Associazioni
e non gli Assessorati regionali all'ambiente e ai beni culturali. Lo scempio
ambientale compiuto dalle opere di realizzazione dell'Ancipa è testimonianza
viva di una pessima politica di gestione della risorsa idrica in Italia. Tra
l'altro, per paura dei crolli, oggi la diga non può essere utilizzata per
più di un terzo della sua capienza anche se, spinto dalla emergenza siccità,
il presidente della regione Sicilia, Totò Cuffaro, ha innalzato per decreto
la soglia di sicurezza. per fornire ulteriori 3 milioni di metri cubi di
acqua. Il caso Ancipa è esemplare di una situazione comune ad altre grandi
dighe siciliane, come quella di Disueri (dalla capienza di 23 milioni di
metri cubi) e di Furore (mai entrata in funzione), il comune denominatore è
che si sono costruire infrastrutture mastodontiche spesso inutili,
inutilizzate o mal funzionanti, con il rischio che l'acqua nella regione non
ci sia o finisca in mare. Eppure ogni anno sull'isola piovono 7 miliardi di
metri cubi di acqua, quasi il triplo del fabbisogno, calcolato
In 2 miliardi e 482 milioni di metri cubi (per uso agricolo, industriale e
idropotabile).

Sardegna

SARDEGNA: SOLO PROVVEDIMENTI TAMPONE

Dal 1920 ad oggi la pioggia in Sardegna è diminuita del 50%, rendendo ancora
più reale il rischio della desertificazione: il mutamento cromatico della
macchia mediterranea e la diffusione di epidemie tra animali domestici e
selvatici (ved. blu tongue), legate al clima torrido, sono un primo segnale.
L'emergenza idrica nell'isola è ormai una costante degli ultimi quarant'
anni, affrontata da tutti i governi che si sono succeduti, senza però
trovare una soluzione, a parte i numerosi e costosissimi progetti.mai
realizzati. Ad impedire un'adeguata gestione della risorsa idrica è inoltre
lo scarso coordinamento fra i vari enti (oltre 40 sul territorio regionale)
deputati al governo delle acque. In questo poco rassicurante scenario, la
Regione Sarda cerca di correre ai ripari attraverso "soluzioni tampone",
molte delle quali discutibili sia sul piano dell'efficacia che su quello
della compatibilità ambientale. Tant'è che fra gli interventi programmati
dal Commissario Straordinario per l'Emergenza Idrica, l'unico ad essere
stato realizzato (a tempo di record) è il collegamento fra i bacini delle
miniere del Sulcis e le reti idriche del cagliaritano. Il WWF ha espresso
recentemente parere negativo sull'ipotesi di risolvere l'emergenza idrica
del capoluogo sardo con la realizzazione di un dissalatore, costosissimo in
termini gestione, impattante sul territorio (è previsto all'interno del
Parco del Molentargius) e non sufficiente a risolvere il fabbisogno di una
città che presenta una rete idrica "colabrodo" con perdite del 50-60%.
Approvato il progetto per l'interconnessione tra la diga del Tirso col
Flumendosa (il bando per i lavori è stato pubblicato recentemente), risulta
invece in fase di prima elaborazione quello per collegare i bacini del nord
Sardegna (dove l'acqua in eccesso viene scarica in mare) con quelli del sud.