demografia e ambiente



da l'unità

lunedi 12 gennaio 2004


 12.01.2004
Malthusianesimo alla rovescia e ambientalismo
di Giuliano Cannata

 Quasi dieci anni fa studiando le tendenze demografiche e di
sviluppo calcolai la fine della crescita a livello mondiale e l'inizio
della diminuzione entro il 2026 / 28. Quella previsione, all'intertempo del
2002 è verificata in modo molto esatto (l'Unità, 28/8/03).

Così come fu scarsa la reazione degli ambienti culturali dieci anni fa, così
ancora oggi, già scoppiato l'evento, non c'è in vista strategia per
governare la fermata improvvisa. L'unica "scoperta" che sembra aver colpito
l'attenzione è quella che quando si tornerà (calando) ai 6,2 miliardi
attuali (dopo esser saliti fino a 7 nel 2026) i musulmani, che oggi sono il
20 percento degli abitanti della terra (1,25 miliardi) saranno diventati il
40 %, cioè 2,5 miliardi (se queste "etichette" avranno ancora un senso).
Il tentativo di capire (per gestire) questa sorta di malthusianesimo alla
rovescia dovrebbe essere il cuore di quella voglia di futuro che è l'
ambientalismo, in particolare quello scientifico.Non è eludibile il nodo
antropologico culturale nel crollo mondiale delle nascite: c'è un elemento
comune, il rifiuto apparente della procreazione, che urta contro tutte le
"teorie" biologiche e culturali. Più incerto l'approccio economico, uno
scenario trascendente: che cioè alla diminuzione demografica "si aggiunga"
la diminuzione dei consumi individuali (di smaterializzazione: meno
trasporti, beni strumentali, rifiuti) e quella dei bisogni (di tecnologia:
meno energia, acqua, terra, materie prime, per prodotto).
Tripla diminuzione! Con la conseguenza di dover imputare per intero alle
"rendite di posizione" speculative il mancato (finora) "risparmio": e di
dover concentrare contro quelle rendite e quelle lobbies, prima che contro
il "modello economico" astratto, le lotte e gli sforzi: in quanto vere e
proprie "creatrici" di false scarsità. Risparmio di spazio, di ambiente, di
carrying capacity consentito dai cambiamenti "strutturali". Se ora la
soluzione sta "nel piano", ecco che il piano ha bisogno, per aver senso, di
una lunga fase di stato stazionario (in cinematica: velocità variabili da
punto a punto del sistema ma costanti nel tempo), Per la prima volta ce l'ha
(la crescita era un moto vario). Allora i sistemi politico-economici
necessari sono "dirigisti", in grado di gestire le "nuove scarsità" che sono
quelle ambientali e territoriali, e non più di risorse fisiche o
finanziarie, diventate tutte eccedenti. Del resto il paese che più
velocemente degli altri sembra aver risolto il nodo crescita/sviluppo sembra
la Cina, dove in realtà è sempre l'industria di Stato o collettiva (65
percento del PIL) il motore dell'incredibile accelerazione, che pare
avvenire a costi umani bassi (un'aspettativa di vita salita già a 72 anni,
la variazione più veloce che si ricordi). Mentre da noi (Tremonti) si
accredita la scemenza della concorrenza sleale per lavoro sfruttato, la Tcl
cinese compra la Thomson in Francia, (diventando il maggior gruppo al mondo)
per accelerare la disponibilità interna di televisori. A riprova che nell'
economia postindustriale produttività significa tecnologia, prima che bassi
salari.
Il caso dell'Italia è "estremo", con trent' anni di anticipo: 535.000 nati
contro 575.000 morti attuali e 730.000 morti "a regime" (per una vita media
di 78 anni); 1,2 figli per donna. E questo mentre le due fasce di età
fertile (15-29 e 30-44) contengono oggi quasi la metà di tutte le donne,
ossia 21 e 25% del totale: quando arriverà alla fertilità l'attuale fascia
infantile 0 -14, che ne contiene solo il 14 %, il crollo sarà evidentissimo.
(Sono oggi in età fertile 13,7 milioni di donne, di cui 1 milione straniere:
fra 20 anni scenderanno a 9 milioni, e i 535.000 nati di oggi sarebbero
360.000, la metà dei morti).
Il problema non ancora affrontato in termini socioeconomici riguarda gli
immigrati, il cui numero va verso i 3 milioni. Pochi ormai vanno all'
industria, come invece era successo nell' Europa del boom manifatturiero
labour intensive: l'assurdo vero è l'agricoltura, che rappresenta appena il
2 % del PIL e ne impiega 600.000 (metà degli addetti) per poter mantenere in
vita produzioni irrigue sovvenzionate spesso inutili e disastrose dell'
ambiente, consumando l'86% di tutta l'acqua d'Italia: uno scenario limite di
"rendita di posizione".
Mentre i 250 o 300 milioni di ettari irrigui oggi esistenti nel mondo (da
soli !) sfamerebbero tutti, e al costo infimo (sovvenzionato, s'intende) di
100 dollari per persona. Diamo ovviamente ai paesi nuovi un commercio equo,
dei "terms of trade" più giusti : serviranno anche a noi per far sparire le
nostre barbabietole, per ridurre un po' i nostri 5 o 6 milioni di tonnellate
di pomodori. Ma senza dimenticare che l'"economia di mercato", almeno in
agricoltura, non esiste più da 70 anni, e che il "dirigismo" che la seguì,
privato però della pianificazione, è diventato col tempo in Europa e in
America pura rendita. .