[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
cina e nuovi scenari economici
- Subject: cina e nuovi scenari economici
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 21 Jan 2004 07:02:20 +0100
il manifesto - 07 Gennaio 2004 Dietro la sindrome cinese Dai desideri inconfessabili e mai realizzati della New Economy al bisogno di pace che si nasconde dietro la «convenzione Cina», da tre anni vincente sui mercati finanziari mondiali grazie alla vastità del suo mercato e alle sue potenzialità espansive. Tra processi economici e nuove soggettività, un cambio di tendenza che coinvolge in primo luogo l'Europa. Nuovo baricentro di inediti scenari CHRISTIAN MARAZZI Se negli anni `90 la «convenzione Internet» aveva determinato il corso degli eventi sui mercati finanziari, trainando la diffusione delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, a tre anni dalla crisi borsistica si può sostenere che la «convenzione Cina» sia riuscita ad imporsi su scala mondiale. Una convenzione, secondo quanto teorizzato da Keynes, è un modello di interpretazione della realtà, una costrizione cognitiva che si impone sulla razionalità dei singoli investitori. La forza di una convenzione consiste nell'innescare comportamenti di imitazione nella comunità finanziaria, determinando scelte di investimento che poco hanno a che vedere con il valore reale di questa o quella azienda o settore, ma molto con la ricerca di referenti collettivi in grado di rendere i mercati finanziari il più liquidi possibili, cioè facilmente negoziabili. Da alcuni anni la logica di una convenzione, dalla sua origine storicamente determinata fino all'esplosione della crisi che la sottende, è oggetto di studi da parte di economisti come Michel Aglietta, André Orléan o Robert Shiller. Inutile dire che queste interpretazioni del funzionamento reale dei mercati finanziari dimostrano la vacuità della teoria neoclassica delle aspettative razionali. Più interessante, invece, è l'importanza delle teorie del linguaggio per spiegare perché e come una convenzione riesca ad imporsi. Ad esempio, per capire come abbia potuto affermarsi una convenzione come quella internettiana, è molto utile capire come si diffondono la diceria e il pettegolezzo. «Di fronte a storie finte, - scrive Sergio Benvenuto - non ci è difficile confermare il nostro desiderio di sentircele raccontare: la clausola dell'irrealtà rende il nostro desiderio confessabile e riconoscibile (...) Ripetendo la diceria, esprimo qualcosa che mi fa piacere credere o pensare, ma eliminando da questo qualcosa il sigillo della mia soggettività: sono altri a dirlo, si tratta solo di un'informazione che graziosamente trasmetto ad altri». La diceria permette di far emergere qualcosa di socialmente rimosso, qualcosa che non ha posto nel discorso pubblico. E' il lato oscuro, non rappresentabile dei desideri e delle credenze della gente, che ne spiega la performatività sociale. «La diceria ci dice alla luce del sole, anche se spesso in forma indiretta e obliqua, quel che la gente non può dire né sa dire, ma che la motiva, la turba, la sprona» (Sergio Benvenuto, Dicerie e pettegolezzi, il Mulino, Bologna, 2000). I desideri inconfessabili che la new economy ha a suo modo attivato sono molteplici: desiderio di ricchezza sganciata dal lavoro, desiderio di democrazia assoluta (non rappresentativa), desiderio di ricompensa per i costi umani della flessibilizzazione e della precarizzazione del lavoro, desiderio di lavoro indipendente, desiderio di superamento della forma proprietaria tradizionale (dinastie familiari, vecchi monopoli pubblici e privati) attraverso la diffusione dell'azionariato. Si tratta di desideri socialmente determinati, nel senso che fanno tutt'uno con la rivoluzione tecnologica e la presa di parola dei movimenti sociali emergenti dalle rovine del regime fordista. Ma si tratta anche di desideri non realizzabili nel «discorso pubblico», desideri che non trovano posto nell'assetto politico della democrazia rappresentativa. Lo sviluppo e la crisi della new economy hanno infatti rivelato l'impossibilità di soddisfare questi desideri all'interno del modello liberista di società. L'analisi degli anni dell'amministrazione Clinton condotta da Robert Pollin nel suo libro Contours of Descent. US Economic Fractures and the Landscape of Global Austerity (Verso, 2003) dimostra ampiamente la contraddizione tra forma di una convenzione e realtà vissuta. «Negli Stati Uniti di Clinton, il rapporto tra il salario del lavoratore medio e quello dei quadri è passato da un rapporto di uno a 113 nel 1991 a quello di uno a 449 alla fine della sua presidenza... Anche con le possibilità alimentate dall'investimento finanziario e il consumo dei ricchi, i salari medi sono rimasti del 10% inferiori a quelli dei periodi migliori Nixon-Ford (1968-1976), nonostante che la produttività dell'economia fosse più elevata (del 50%) sotto Clinton che sotto Nixon/Ford. Il livello di povertà sotto Clinton è stato di poco superiore ai record raggiunti negli anni di Reagan/Bush». L'analisi di Pollin del passaggio, sotto Clinton, da conti pubblici deficitari a conti in attivo dimostra anche quanto fragile sia la critica all'attuale politica economica di Bush Jr., come ad esempio quella di Paul Krugman, basata sulla nostalgia di un keynesismo in realtà mai esistito. Di fatto, i due terzi dei miracoli fiscali di Clinton sono da addebitare ai tagli alle spese del governo in rapporto al PIL (per il 54%) e alle imposte sui guadagni dei capitali (per il 10%). La clintonomics è stata, semmai, una sorta di keynesismo finanziario basato sul deficit spending privato, con effetti redistributivi fortemente inegualitari. In questo senso l'esplosione della bolla speculativa ha siglato il ritorno all'indebitamento pubblico causato dagli sgravi fiscali per gli alti redditi e da una spesa militare fortemente espansiva, senza che la crescita economica indotta dal keynesismo militare di Bush Jr. permetta di migliorare la situazione occupazionale e reddituale della maggioranza dei cittadini americani. Dopo la crisi borsistica, infatti, le caratteristiche principali della new economy sono rimaste grosso modo le stesse (aumento del lavoro atipico, precarietà del mercato del lavoro, riorganizzazione flessibile dei processi produttivi e distributivi, digitalizzazione spinta del lavoro), mentre è cambiata radicalmente la divisione internazionale del lavoro e la direzione dei flussi di capitali. La «convenzione Cina» che si è imposta sui mercati finanziari negli ultimi tre anni riflette la crescita formidabile dei deficit (federale e commerciale) degli Stati Uniti e i surplus dei paesi asiatici, di cui quello cinese, se si tiene conto del flusso di investimenti diretti stranieri, supererà quest'anno il 5 percento del PIL. Riflette, anche, l'accumulazione di riserve monetarie da parte dei paesi asiatici, riserve che le banche centrali utilizzano per frenare la svalutazione del dollaro acquistando Buoni del Tesoro americani (ciò che, tenendo bassi i rendimenti sui BOT, permette ai mercati finanziari US di proteggersi dall'indebolimento del dollaro). Rispetto agli anni `90, si può dire che la situazione si è capovolta, perché i capitali esteri che allora andavano sui titoli azionari statunitensi oggi sono prevalentemente diretti su quelli asiatici. Fino ad oggi questa inversione di flussi di capitali non ha provocato scossoni particolari, e questo perché la svalutazione del dollaro ha fatto aumentare le esportazioni dei beni americani e ha avuto quale effetto monetario quello di aumentare i profitti delle filiali estere delle multinazionali statunitensi. Per quanto molto instabile, l'equilibrio che si è stabilito sui circuiti finanziari mondiali potrebbe non degenerare in una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Gli americani hanno bisogno di vendere BOT agli asiatici, e gli asiatici, pur esportando sempre di più, hanno bisogno di importare materie prime e beni strumentali dagli Stati Uniti (come i 30 aerei della Boeing che Beijing ha appena deciso di acquistare). Per il momento a fare le spese di questa inversione di tendenza è l'Europa. L'Euro è la valuta che si è rivalutata di più rispetto al dollaro e c'è da aspettarsi una recrudescenza delle misure di contenimento della spesa sociale e dei salari a tutto vantaggio dei settori d'esportazione. Il fallimento del progetto di Costituzione europea e la richiesta di Francia e Germania di ridurre il budget a favore di paesi come la Spagna e la Polonia dimostrano che, più che di costituzione, l'Europa ha bisogno di una costituente, un processo di definizione dal basso delle politiche economiche e sociali che prenda seriamente in esame l'affermarsi della «convenzione Cina». Da parte loro i cinesi hanno incominciato a manifestare un interesse concreto alla costruzione di dispositivi di difesa europea contro la strategia di politica estera americana. L'unico modo per contrastare le politica militare americana nell'area medio orientale sembra essere quello di rovesciare l'asse delle alleanze guardando alla Cina. Ma torniamo alla «convenzione Cina» cercando di capire meglio i suoi risvolti soggettivi, quel suo modo di funzionare da «finzione socialmente necessaria» tipico di ogni convenzione. Come nel caso di Internet negli anni `90, la «forza di convenzione» della Cina sta nella vastità del suo mercato, nelle sue potenzialità espansive, sta nel rivoluzionamento dei modi di lavorare indotti dallo spostamento su scala globale di milioni di posti di lavoro. Non solo in Cina, ma in India e in altri paesi asiatici si sta assistendo all'espansione di settori che fino a poco tempo fa credevamo esclusivi del mondo occidentale e degli Stati Uniti in particolare, come quello delle nuove tecnologie. La finzione sta nel fatto che una simile crescita è comunque destinata a produrre le sue crisi, crisi da eccesso di produzione rispetto ad una domanda insufficiente. L'insufficienza della domanda mondiale di beni e servizi non è dovuta soltanto alle disparità tra paesi ricchi e paesi poveri, ma anche ad una trasformazione sociale ed economica avvenuta in questi anni all'interno delle classi medie dei paesi occidentali. Due studiose americane hanno analizzato gli effetti di queste trasformazioni del ceto medio negli ultimi venti anni. Dal loro studio (Elizabeth Warren, Amelia Warren Tyagi, The Two-Income Trap. Why Middle-Class Mothers & Fathers Are Going Broke, Basic Books, 2003) emerge che le famiglie con due redditi, pur guadagnando il 75% in più rispetto a una generazione fa, in realtà possono spendere meno; oggi per una donna avere un figlio significa avere una probabilità molto elevata di fallire finanziariamente; la famiglia media americana non può più comprare una casa senza che entrambi i genitori lavorino; ormai il numero di figli che sperimentano la bancarotta dei genitori è superiore al numero dei loro divorzi. Al centro di questo collasso finanziario del ceto medio americano si ritrova l'aumento impressionante del costo dei figli dovuto all'educazione e l'impossibilità di farvi fronte a causa della rigidità verso l'alto del reddito delle famiglie con i due genitori al lavoro. Dietro l'aumento del disavanzo commerciale americano e la necessità di mantenere bassi i tassi di interesse, cioè dietro il nuovo assetto globale, si nasconde una società che per sopravvivere deve indebitarsi fino alla soglia del fallimento finanziario, che è costretta a lavorare ininterrottamente trascurando i propri figli, che per fuggire dalla paura del presente e del futuro va ad abitare nei quartieri dove ci sono le scuole «migliori», e così fa aumentare gli affitti e i costi della casa. Insomma, ben diversamente dalle teorie del sovraconsumo del ceto medio, la condizione reale della classe media americana dimostra quali siano gli effetti dell'eccesso di lavoro rispetto al tempo di vita. Rivela anche come dietro l'instabilità finanziaria le donne siano sempre sulle barricate a lottare contro il rischio del collasso familiare. Di solito una convenzione si afferma socialmente quanto più è vicina alla vita della gente, come è accaduto alla «convenzione Internet» nel momento in cui i computer hanno incominciato a far parte della vita di tutti i giorni. Il «socialmente rimosso» che si rispecchia, rovesciato, nella «convenzione Cina» è il desiderio di pace «qui e ora» contro cui congiurano il lavoro, la famiglia, la scuola, i debiti, la fatica di vivere della maggioranza della gente. Vincere la pace nel presente concreto è il nostro modo di credere nella convenzione Cina.
- Prev by Date: Corea del Nord: Rapporto di Amnesty International sulla negazione del diritto all'alimentazione
- Next by Date: 22/01 Bologna: Seminari su Globalizzazione ed Economia Sociale
- Previous by thread: Corea del Nord: Rapporto di Amnesty International sulla negazione del diritto all'alimentazione
- Next by thread: 22/01 Bologna: Seminari su Globalizzazione ed Economia Sociale
- Indice: