il prezzo della maternità



da rassegna.it

Una ricerca dell'Istat / Donne e lavoro

Il prezzo della maternità

di Marco Togna

Costrette a dover scegliere tra avere un figlio o fare carriera. Oppure ad
abbandonare la propria occupazione mentre sono in gravidanza, quando non
vengono addirittura licenziate senza mezzi termini. Conciliare il lavoro e
la maternità è divenuto per le donne sempre più difficile. A svelare la
difficoltà, tutta femminile, nel districarsi tra lavoro e famiglia è un'
indagine dell'Istat, intitolata "Maternità e partecipazione delle donne al
mercato del lavoro: tra vincoli e strategie di conciliazione", presentata ai
primi di dicembre al Cnel e realizzata intervistando 50.000 neomamme a
distanza di 18-21 mesi dalla nascita dei figli, un periodo di tempo
particolarmente significativo, perché è quello in cui, in media, matura la
scelta di avere altri bambini in futuro. L'indagine fornisce il quadro
completo (relativo al 2002) dello status occupazionale delle donne con
figli. Il 51 per cento ha un impiego, il 4,5 è in cerca d'occupazione, il
resto si dichiara casalinga. La partecipazione attiva al mercato del lavoro
presenta notevoli differenze: lavora il 63 per cento delle madri del
Centro-Nord, contro il 32,5 di quelle residenti al Sud; il 76 per cento
delle laureate, contro il 56,6 delle diplomate e il 32,3 di quelle con un
titolo di studio inferiore; il 57 per cento delle primipare, contro il 44,7
di quelle con due o più bambini.
Ma cosa accade quando si è in gravidanza, o dopo la nascita del figlio?
Teoricamente, le donne dovrebbero essere in grado di poter decidere cosa
fare della propria vita, in base ai progetti di tipo familiare e
professionale. Non dovrebbero essere costrette a subordinare una scelta all'
altra. Spesso, tuttavia, non è così. Ben il 20,1 per cento smette di
lavorare: a lasciare sono, in maggioranza, le madri più giovani (fino a 30
anni) e le donne residenti nel Mezzogiorno e nelle isole. Di questo 20,1 per
cento, ben il 7 viene licenziato, il 24 vede non rinnovato il proprio
contratto (oppure cessa l'attività del datore), mentre il rimanente 69
abbandona il lavoro di propria volontà. In particolare, si licenziano di
propria volontà di più le donne del Centro-Nord e quelle con due o più
bambini. Tra le motivazioni, dominano il "voler stare più tempo con i propri
figli" (60,8 per cento) e l'inconciliabilità del lavoro con l'organizzazione
familiare.
A determinare la fuoriuscita dal mercato del lavoro sono anche altre
variabili. A cominciare dal titolo di studio, con una netta maggioranza
delle donne con bassi livelli d'istruzione, e dall'ambito lavorativo: a
interrompere la propria attività sono soprattutto le madri impegnate nel
settore privato o che lavorano in modo autonomo. O ancora, il tipo di
contratto: le fuoriuscite riguardano (oltre il 40 per cento) una larga parte
di impieghi a tempo determinato, part time, occasionali e stagionali, a
dimostrazione di come queste nuove tipologie d'impiego rappresentino più
delle situazioni di precariato che dei passaggi intermedi verso posti più
stabili e meglio pagati. A lasciare sono soprattutto quelle donne che più di
altre avrebbero bisogno di un sostegno economico: "Si tratta verosimilmente
di madri - spiegano le ricercatrici Martina Lo Conte e Sabrina Prati - che,
avendo un'occupazione precaria, poco retribuita e poco gratificante,
preferiscono in questa fase della vita dedicarsi alla famiglia piuttosto che
continuare a lavorare, condizione quest'ultima che, se non si hanno nonni
cui affidare i bambini o non si ha accesso ai servizi pubblici per l'
infanzia, spesso è senz'alcuna convenienza economica, quando non decisamente
svantaggiosa".
Un altro aspetto interessante dell'indagine Istat è l'analisi dei
cambiamenti tra prima e dopo la nascita. Il 21,8 per cento delle madri che
riprende il medesimo lavoro della gravidanza dichiara di aver vissuto delle
variazioni: la più evidente di queste (65 per cento) è il passaggio d'orario
dal tempo pieno al tempo parziale. In generale, va detto che laddove si
registra un mutamento, questo è un "peggioramento": minori responsabilità,
mansioni meno interessanti, diminuzione delle opportunità di carriera,
minore partecipazione a corsi di formazione. A subire più frequentemente le
conseguenze negative dell'assenza dal lavoro in seguito alla maternità sono
le donne con i titoli di studio più alti (diploma e laurea). Questo può
essere dovuto alle posizioni professionali che ricoprono, tendenzialmente
più alte, e pertanto alle loro maggiori aspirazioni di carriera, che, in
alcuni casi, vengono ostacolate dalla nascita dei figli.
Avere dei bambini, rimanendo fuori dal mondo del lavoro per un determinato
periodo di tempo, può rendere il rientro dalla maternità difficile, se non
frustrante, proprio a causa di questo peggioramento. "Dietro a questi
cambiamenti - concludono le ricercatrici - si nasconde, talvolta, un
desiderio inconscio di una piccola tregua. Circa il 40 per cento delle
donne, infatti, dichiara di aver volontariamente diminuito la propria
disponibilità nei confronti del lavoro. La difficile ambivalenza delle
neomamme lavoratrici potrebbe essere aiutata, almeno nel periodo iniziale
del rientro, dalla possibilità di ridurre gli impegni, senza per questo
subire discriminazioni. Una sorta di periodo d'adattamento che consenta alle
donne di conciliare, anzitutto con se stesse, i due ruoli: quello
professionale e quello di madre".

(Rassegna sindacale, n. 47, 18-24 dicembre 2003)