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il prezzo della maternità
- Subject: il prezzo della maternità
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 8 Jan 2004 06:45:00 +0100
da rassegna.it Una ricerca dell'Istat / Donne e lavoro Il prezzo della maternità di Marco Togna Costrette a dover scegliere tra avere un figlio o fare carriera. Oppure ad abbandonare la propria occupazione mentre sono in gravidanza, quando non vengono addirittura licenziate senza mezzi termini. Conciliare il lavoro e la maternità è divenuto per le donne sempre più difficile. A svelare la difficoltà, tutta femminile, nel districarsi tra lavoro e famiglia è un' indagine dell'Istat, intitolata "Maternità e partecipazione delle donne al mercato del lavoro: tra vincoli e strategie di conciliazione", presentata ai primi di dicembre al Cnel e realizzata intervistando 50.000 neomamme a distanza di 18-21 mesi dalla nascita dei figli, un periodo di tempo particolarmente significativo, perché è quello in cui, in media, matura la scelta di avere altri bambini in futuro. L'indagine fornisce il quadro completo (relativo al 2002) dello status occupazionale delle donne con figli. Il 51 per cento ha un impiego, il 4,5 è in cerca d'occupazione, il resto si dichiara casalinga. La partecipazione attiva al mercato del lavoro presenta notevoli differenze: lavora il 63 per cento delle madri del Centro-Nord, contro il 32,5 di quelle residenti al Sud; il 76 per cento delle laureate, contro il 56,6 delle diplomate e il 32,3 di quelle con un titolo di studio inferiore; il 57 per cento delle primipare, contro il 44,7 di quelle con due o più bambini. Ma cosa accade quando si è in gravidanza, o dopo la nascita del figlio? Teoricamente, le donne dovrebbero essere in grado di poter decidere cosa fare della propria vita, in base ai progetti di tipo familiare e professionale. Non dovrebbero essere costrette a subordinare una scelta all' altra. Spesso, tuttavia, non è così. Ben il 20,1 per cento smette di lavorare: a lasciare sono, in maggioranza, le madri più giovani (fino a 30 anni) e le donne residenti nel Mezzogiorno e nelle isole. Di questo 20,1 per cento, ben il 7 viene licenziato, il 24 vede non rinnovato il proprio contratto (oppure cessa l'attività del datore), mentre il rimanente 69 abbandona il lavoro di propria volontà. In particolare, si licenziano di propria volontà di più le donne del Centro-Nord e quelle con due o più bambini. Tra le motivazioni, dominano il "voler stare più tempo con i propri figli" (60,8 per cento) e l'inconciliabilità del lavoro con l'organizzazione familiare. A determinare la fuoriuscita dal mercato del lavoro sono anche altre variabili. A cominciare dal titolo di studio, con una netta maggioranza delle donne con bassi livelli d'istruzione, e dall'ambito lavorativo: a interrompere la propria attività sono soprattutto le madri impegnate nel settore privato o che lavorano in modo autonomo. O ancora, il tipo di contratto: le fuoriuscite riguardano (oltre il 40 per cento) una larga parte di impieghi a tempo determinato, part time, occasionali e stagionali, a dimostrazione di come queste nuove tipologie d'impiego rappresentino più delle situazioni di precariato che dei passaggi intermedi verso posti più stabili e meglio pagati. A lasciare sono soprattutto quelle donne che più di altre avrebbero bisogno di un sostegno economico: "Si tratta verosimilmente di madri - spiegano le ricercatrici Martina Lo Conte e Sabrina Prati - che, avendo un'occupazione precaria, poco retribuita e poco gratificante, preferiscono in questa fase della vita dedicarsi alla famiglia piuttosto che continuare a lavorare, condizione quest'ultima che, se non si hanno nonni cui affidare i bambini o non si ha accesso ai servizi pubblici per l' infanzia, spesso è senz'alcuna convenienza economica, quando non decisamente svantaggiosa". Un altro aspetto interessante dell'indagine Istat è l'analisi dei cambiamenti tra prima e dopo la nascita. Il 21,8 per cento delle madri che riprende il medesimo lavoro della gravidanza dichiara di aver vissuto delle variazioni: la più evidente di queste (65 per cento) è il passaggio d'orario dal tempo pieno al tempo parziale. In generale, va detto che laddove si registra un mutamento, questo è un "peggioramento": minori responsabilità, mansioni meno interessanti, diminuzione delle opportunità di carriera, minore partecipazione a corsi di formazione. A subire più frequentemente le conseguenze negative dell'assenza dal lavoro in seguito alla maternità sono le donne con i titoli di studio più alti (diploma e laurea). Questo può essere dovuto alle posizioni professionali che ricoprono, tendenzialmente più alte, e pertanto alle loro maggiori aspirazioni di carriera, che, in alcuni casi, vengono ostacolate dalla nascita dei figli. Avere dei bambini, rimanendo fuori dal mondo del lavoro per un determinato periodo di tempo, può rendere il rientro dalla maternità difficile, se non frustrante, proprio a causa di questo peggioramento. "Dietro a questi cambiamenti - concludono le ricercatrici - si nasconde, talvolta, un desiderio inconscio di una piccola tregua. Circa il 40 per cento delle donne, infatti, dichiara di aver volontariamente diminuito la propria disponibilità nei confronti del lavoro. La difficile ambivalenza delle neomamme lavoratrici potrebbe essere aiutata, almeno nel periodo iniziale del rientro, dalla possibilità di ridurre gli impegni, senza per questo subire discriminazioni. Una sorta di periodo d'adattamento che consenta alle donne di conciliare, anzitutto con se stesse, i due ruoli: quello professionale e quello di madre". (Rassegna sindacale, n. 47, 18-24 dicembre 2003)
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