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internet non è per tutti
- Subject: internet non è per tutti
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 7 Jan 2004 06:55:57 +0100
da il manifesto - 14 Dicembre 2003 Internet non è per tutti Non è sempre vero che le potenzialità della rete aumentano la democrazia. Non basta un computer e un po' di alfabetizzazione informatica per dire la propria: per destreggiarsi nel mare magnum del web torna centrale la cultura Certo, però, la rete è sempre meglio della tv. I movimenti possono comunicare partendo da un computer e un collegamento, la televisione è tutta dei Berlusconi e dei Murdoch. E al telespettatore resta soltanto il telecomando FRANCO CARLINI Quando la realtà imita sfacciatamente la fiction c'è da ridere ma anche da preoccuparsi. Un po' di sere fa Neri Marcorè si esibiva nella parte di Maurizio Gasparri. Era la serata romana a sostegno di Raiot e contro la censura e così Marcorè-Gasparri inveiva contro Serena Dandini: «Voi di sinistra siete analogici, cioè obsoleti, noi invece siamo digitali». Mercoledì Silvio Berlusconi si è esibito nell'imitazione dell'imitazione di Gasparri, dicendo in pubblico che i quotidiani sono obsoleti e che la modernità sta nella televisione e nell'Internet, «che fornisce a domicilio tutte le notizie immaginabili». L'eloquio del presidente del consiglio nell'occasione era particolarmente fluido e insieme confuso, sommando affermazioni di buon senso a falsificazioni e distorsioni interessate. Vale tuttavia la pena di prenderlo sul serio, come del resto si sarebbe dovuto fare quando, uscendo da un incontro con l'amico Putin, dichiarò al mondo che Saddam Hussein non aveva più armi di distruzione di massa. Ai mentitori professionisti capita sovente che nessuno li creda, anche quando dicono il vero. Lo raccontava già Esopo. Allora con ordine: senza dubbio è vero che la rete Internet offre una quantità sterminata di notizie, che prima non erano disponibili. Un caso per tutti, assai interessante, è quello della supposta diminuzione delle disuguaglianze a scala mondiale per effetto della globalizzazione. Questa tesi è stata avanzata nel 2002 da diversi studiosi americani e nei giorni scorsi rilanciata da Paolo Mieli: Xavier Sala-i-Martin, un catalano della Columbia university (ma due anni fa bocciato a Yale) affermò che la globalizzazione fa bene ai più poveri, abbattendo la percentuale di coloro che vivono con soli due dollari al giorno dal 44 al 18% della popolazione mondiale. Tesi analoga venne sostenuta da David Dollar e Aart Kraay della Banca Mondiale (vedi link nel box a parte). Anche chi non fosse un cultore dell'argomento, grazie alla rete e ai suoi motori di ricerca può facilmente apprendere che le cose sono un po' meno lineari di come Mieli le ha descritte. Quei saggi hanno provocato un acceso dibattito tra gli studiosi di macroeconomia; alcuni per esempio hanno sottoposto a critica le metodologie e i dati utilizzati e hanno letteralmente rovesciato l'argomento. In particolare è stato fatto notare, cifre alla mano, che se dai conteggi si toglie il caso cinese, quegli stessi modelli indicano un aumento anziché una diminuzione delle diseguaglianze. Insomma c'è discussione seria e molta documentazione disponibile e questo non sarebbe stato possibile dieci anni fa, prima del web. Buon per tutti noi, per la democrazia e anche per i lettori di Mieli che non sono costretti a dipendere solo da Mieli. Il pluralismo questo è. Il problema semmai diventa un altro, di fronte a tanto ben di bit: che occorrono tempo, fatica e cultura, per destreggiarsi attraverso questi materiali. La vera alfabetizzazione necessaria per superare o colmare il Divario Digitale dunque non consiste tanto nel saper maneggiare il mouse o nell'aprire un browser, ma sta nella diffusione culturale che permetta di trovare le cose e scegliere quelle utili e valide. Poi c'è la televisione, che dal presidente del consiglio viene messa sullo stesso piano digitale dell'Internet. E qui si può cominciare a dissentire fortemente, dato che il mondo televisivo, così come è stato finora, costituisce un modello esattamente opposto alla rete. O, se si preferisce, la rete costituisce da tutti i punti di vista (tecnologico, economico, comunicativo e sociale) l'esatto opposto della «vecchia» e obsoleta televisione, analogica o digitale che essa sia. Nella televisione servono enormi capitali per costruire un network e per gestirlo, mentre un sito Internet si apre con meno di 100 euro e un computer da 1000. Le reti televisive fanno broadcasting, dal centro verso la periferia (da uno a molti, dal centro alla periferia) e i loro contenuti piovono nelle antenne lasciando come unica possibilità quella di lavorare con il telecomando. In rete invece la comunicazione è da molti a molti e il diffondersi delle modalità P2P (peeer to peer) accentua questo fenomeno, dato che singoli computer distanti possono trattarsi da pari l'uno con l'altro, senza nemmeno bisogno di passare per un sito web di raccordo. Le reti televisive poi, come del resto quelle telefoniche, sono strutturalmente e tecnicamente centralizzate e piramidali, per assicurare un servizio continuo e efficiente. L'Internet invece offre un servizio di connettività «al meglio possibile», senza pretese di efficienza totale, ma proprio questa sua apparente arretratezza, che talora genera ingorghi e ritardi, sta alle radici del suo successo: flessibilità, ridondanza di percorsi, eventuali lentezze e «sporcizia» del segnale sono compensate dalla universalità e dall'assenza di livelli gerarchici di controllo. Nelle televisioni attuali poi non c'è interazione possibile (salvo quella di telefonare per rispondere ai quiz) e anche la nuova interattività prevista dalle sperimentazioni attualmente in corso da parte della stessa Mediaset si dirige al più verso gli acquisti online e qualche gioco interattivo. Anche sul web l'interattività permessa e sollecitata è tutto sommato poca cosa, ma è comunque sconvolgente rispetto alle misere prestazioni che la televisione alla Gasparri, il cosiddetto digitale terrestre, proporrà. Se fossero sviluppate davvero le potenzialità della rete, allora sì che Emilio Fede e tutti gli altri network dovrebbero preoccuparsi per la loro televisione e del resto tutte le statistiche segnalano che uso dell'Internet e consumo televisivo sono spesso in contrapposizione, almeno nelle fasce di popolazione più giovane: si abbandona la tv per navigare e socializzare attraverso il web, assaporando un gusto di libertà che nessuna Rete 1,2,3,4,5,6,7 può offrire. In altre parole la vera televisione digitale è quella che passerà sul web, attraverso larghi cavi. Lo fa per ora Fastweb, lo offre RaiClick e senza dubbio finirà per farlo anche Telecom Italia e questo spiega perché la legge Gasparri abbia riservato un tetto più basso (il 10%) del Sic a Tronchetti Provera.
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