internet non è per tutti



da il manifesto - 14 Dicembre 2003


Internet non è per tutti

Non è sempre vero che le potenzialità della rete aumentano la democrazia.
Non basta un computer e un po' di alfabetizzazione informatica per dire la
propria: per destreggiarsi nel mare magnum del web torna centrale la cultura
Certo, però, la rete è sempre meglio della tv. I movimenti possono
comunicare partendo da un computer e un collegamento, la televisione è tutta
dei Berlusconi e dei Murdoch. E al telespettatore resta soltanto il
telecomando

FRANCO CARLINI

Quando la realtà imita sfacciatamente la fiction c'è da ridere ma anche da
preoccuparsi. Un po' di sere fa Neri Marcorè si esibiva nella parte di
Maurizio Gasparri. Era la serata romana a sostegno di Raiot e contro la
censura e così Marcorè-Gasparri inveiva contro Serena Dandini: «Voi di
sinistra siete analogici, cioè obsoleti, noi invece siamo digitali».
Mercoledì Silvio Berlusconi si è esibito nell'imitazione dell'imitazione di
Gasparri, dicendo in pubblico che i quotidiani sono obsoleti e che la
modernità sta nella televisione e nell'Internet, «che fornisce a domicilio
tutte le notizie immaginabili». L'eloquio del presidente del consiglio
nell'occasione era particolarmente fluido e insieme confuso, sommando
affermazioni di buon senso a falsificazioni e distorsioni interessate. Vale
tuttavia la pena di prenderlo sul serio, come del resto si sarebbe dovuto
fare quando, uscendo da un incontro con l'amico Putin, dichiarò al mondo che
Saddam Hussein non aveva più armi di distruzione di massa. Ai mentitori
professionisti capita sovente che nessuno li creda, anche quando dicono il
vero. Lo raccontava già Esopo. Allora con ordine: senza dubbio è vero che la
rete Internet offre una quantità sterminata di notizie, che prima non erano
disponibili. Un caso per tutti, assai interessante, è quello della supposta
diminuzione delle disuguaglianze a scala mondiale per effetto della
globalizzazione. Questa tesi è stata avanzata nel 2002 da diversi studiosi
americani e nei giorni scorsi rilanciata da Paolo Mieli: Xavier
Sala-i-Martin, un catalano della Columbia university (ma due anni fa
bocciato a Yale) affermò che la globalizzazione fa bene ai più poveri,
abbattendo la percentuale di coloro che vivono con soli due dollari al
giorno dal 44 al 18% della popolazione mondiale. Tesi analoga venne
sostenuta da David Dollar e Aart Kraay della Banca Mondiale (vedi link nel
box a parte).

Anche chi non fosse un cultore dell'argomento, grazie alla rete e ai suoi
motori di ricerca può facilmente apprendere che le cose sono un po' meno
lineari di come Mieli le ha descritte. Quei saggi hanno provocato un acceso
dibattito tra gli studiosi di macroeconomia; alcuni per esempio hanno
sottoposto a critica le metodologie e i dati utilizzati e hanno
letteralmente rovesciato l'argomento. In particolare è stato fatto notare,
cifre alla mano, che se dai conteggi si toglie il caso cinese, quegli stessi
modelli indicano un aumento anziché una diminuzione delle diseguaglianze.
Insomma c'è discussione seria e molta documentazione disponibile e questo
non sarebbe stato possibile dieci anni fa, prima del web. Buon per tutti
noi, per la democrazia e anche per i lettori di Mieli che non sono costretti
a dipendere solo da Mieli. Il pluralismo questo è.

Il problema semmai diventa un altro, di fronte a tanto ben di bit: che
occorrono tempo, fatica e cultura, per destreggiarsi attraverso questi
materiali. La vera alfabetizzazione necessaria per superare o colmare il
Divario Digitale dunque non consiste tanto nel saper maneggiare il mouse o
nell'aprire un browser, ma sta nella diffusione culturale che permetta di
trovare le cose e scegliere quelle utili e valide. Poi c'è la televisione,
che dal presidente del consiglio viene messa sullo stesso piano digitale
dell'Internet. E qui si può cominciare a dissentire fortemente, dato che il
mondo televisivo, così come è stato finora, costituisce un modello
esattamente opposto alla rete. O, se si preferisce, la rete costituisce da
tutti i punti di vista (tecnologico, economico, comunicativo e sociale)
l'esatto opposto della «vecchia» e obsoleta televisione, analogica o
digitale che essa sia.

Nella televisione servono enormi capitali per costruire un network e per
gestirlo, mentre un sito Internet si apre con meno di 100 euro e un computer
da 1000. Le reti televisive fanno broadcasting, dal centro verso la
periferia (da uno a molti, dal centro alla periferia) e i loro contenuti
piovono nelle antenne lasciando come unica possibilità quella di lavorare
con il telecomando. In rete invece la comunicazione è da molti a molti e il
diffondersi delle modalità P2P (peeer to peer) accentua questo fenomeno,
dato che singoli computer distanti possono trattarsi da pari l'uno con
l'altro, senza nemmeno bisogno di passare per un sito web di raccordo. Le
reti televisive poi, come del resto quelle telefoniche, sono strutturalmente
e tecnicamente centralizzate e piramidali, per assicurare un servizio
continuo e efficiente. L'Internet invece offre un servizio di connettività
«al meglio possibile», senza pretese di efficienza totale, ma proprio questa
sua apparente arretratezza, che talora genera ingorghi e ritardi, sta alle
radici del suo successo: flessibilità, ridondanza di percorsi, eventuali
lentezze e «sporcizia» del segnale sono compensate dalla universalità e
dall'assenza di livelli gerarchici di controllo. Nelle televisioni attuali
poi non c'è interazione possibile (salvo quella di telefonare per rispondere
ai quiz) e anche la nuova interattività prevista dalle sperimentazioni
attualmente in corso da parte della stessa Mediaset si dirige al più verso
gli acquisti online e qualche gioco interattivo. Anche sul web
l'interattività permessa e sollecitata è tutto sommato poca cosa, ma è
comunque sconvolgente rispetto alle misere prestazioni che la televisione
alla Gasparri, il cosiddetto digitale terrestre, proporrà. Se fossero
sviluppate davvero le potenzialità della rete, allora sì che Emilio Fede e
tutti gli altri network dovrebbero preoccuparsi per la loro televisione e
del resto tutte le statistiche segnalano che uso dell'Internet e consumo
televisivo sono spesso in contrapposizione, almeno nelle fasce di
popolazione più giovane: si abbandona la tv per navigare e socializzare
attraverso il web, assaporando un gusto di libertà che nessuna Rete
1,2,3,4,5,6,7 può offrire.

In altre parole la vera televisione digitale è quella che passerà sul web,
attraverso larghi cavi. Lo fa per ora Fastweb, lo offre RaiClick e senza
dubbio finirà per farlo anche Telecom Italia e questo spiega perché la legge
Gasparri abbia riservato un tetto più basso (il 10%) del Sic a Tronchetti
Provera.