rischio petrolio nel mediterraneo



da econews 10 novembre 2003

LE PETROLIERE SOTT'ACCUSA - WWF E GREENPEACE: IL MEDITERRANEO È A RISCHIO.
Catania, 10 novembre - Dalla petroliera Prestige al caso dei rifiuti
italiani inviati in Turchia, Greenpeace e il Wwf denunciano, con due diversi
dossier, i trasporti pericolosi in mare.
Greenpeace, per esempio, ha presentato a Catania, in occasione della
Conferenza delle parti della Convenzione per la protezione del Mediterraneo,
il rapporto "Disastro Prestige, potrebbe succedere di nuovo?".
Prestige è il nome della petroliera naufragata un anno fa al largo delle
coste spagnole, provocando danni irreversibili all'ambiente e all'economia
delle popolazioni locali.
Dall'apertura del canale di Suez nel 1869 il Mediterraneo è diventato la
rotta favorita per le tante petroliere che trasportano petrolio grezzo e
raffinato. Oggi il 28% del traffico mondiale delle petroliere attraversa il
Mediterraneo, un mare che rappresenta meno dell'1% della superficie marina
globale. Di conseguenza, il rischio di incidenti con perdite di petrolio e
sostanze tossiche in mare è alto. Oltre al rischio incidenti esiste anche un
inquinamento sistematico provocato dal lavaggio delle cisterne e dalle acque
di zavorra che nel Mediterraneo si misura in almeno 20mila tonnellate di
petrolio alla settimana, l'equivalente della marea nera rilasciata dall'
incidente della petroliera Erika. E poi ci sono altre vicende, come quella
di migliaia bidoni di rifiuti tossici italiani, trasportati in Turchia e
gettati nel mar Nero 15 anni fa. La popolazione locale soffre ancora le
conseguenze di quell'inquinamento e Greenpeace chiede che il governo
italiano si riprenda i rifiuti e bonifichi l'area.
Se un disastro simile alla Prestige fosse avvenuto nel Mediterraneo le sue
conseguenze sarebbero state molto più drammatiche dato che il Mediterraneo è
mare circoscritto. Infatti sono necessari 80 anni perché le acque
superficiali si rinnovino.
Secondo l'UNEP-MAP, circa 600mila tonnellate di petrolio ogni anno vengono
rilasciate nel Mediterraneo e ci sono stati più di 1,300 incidenti che hanno
coinvolto petroliere negli ultimi 45 anni
Due dei più seri incidenti sono avvenuti nell'ultimo decennio: nel dicembre
1999 la petroliere russa Volgoneft-248, che trasportava 4.300 tonnellate di
carburante, collassò nel mar di Marmara, Istanbul, perdendo 1.200 tonnellate
di petrolio; nel 1991 l'Haven prese fuoco e affondò di fronte le coste
liguri, perdendo 144mila tonnellate. Circa un terzo di questo petrolio si
depositò sulle coste.
L'Italia, con i suoi porti che ospitano circa 179 milioni di tonnellate di
prodotti petroliferi ogni anno, è fortemente a rischio.
Nel febbraio 2003, il Ministero dell'Ambiente con un decreto ha vietato
l'ingresso in porto alle navi con più di 15 anni e alle petroliere con una
capacità superiore a 5mila tonnellate.
Nonostante le leggi nazionali costituiscano un passo in avanti per
contrastare e prevenire i danni dell'inquinamento da petrolio queste si
applicano solo in acque territoriali, ovvero con un limite di 12 miglia
nautiche dalla costa. Oltre a questo limite le leggi sono quelle del diritto
internazionale e la competenza è dell'International Maritime Organisation
(IMO). Sfortunatamente, il meccanismo di ricorso da parte degli stati
nazionali è poco applicato Questo è uno dei problemi principali del diritto
in acque internazionali.
Scarichi deliberati, regolari e illegali sono altamente inquinanti. Il WWF
ritiene che lo scarico annuo di idrocarburi nel Mediterraneo sia tra 700mila
e 1.500.000 tonnellate.
Questo inquinamento ha due origini:
scarichi da petroliere, che consistono in acque zavorra e da scarichi dovute
alle pulizie della petroliere. Una volta che un cargo è svuotato una
petroliera deve essere zavorrata. Durante questo processo, i tank vuoti sono
riempiti con acqua di mare per assicurare la stabilità della nave durante il
ritorno al porto d'origine. Prima di un nuovo carico la nave deve svuotarsi
dell'acqua adesso contaminata dal petrolio residuo. In teoria
quest'operazione dovrebbe essere effettuata in un porto specializzato ma il
più delle volte questo avviene illegalmente nelle acque antistanti al porto.
scarichi da tutti i tipi di navi (cargo e navi passeggeri così come
petroliere), da perdite di carburante e residui di carburanti e oli
lubrificanti. Questi scarichi sono conosciuti come residui oleosi.
Perché le navi scaricano in mare? In teoria le navi dovrebbero scaricare
nelle zone attrezzate dei porti. Il tipo di scarico e la certificazione
prodotta dalle compagnie sono registrate nell'Oil Record Book. In pratica,
una minima parte dello scarico è rilasciate nella zona attrezzata del porto
per diverse ragioni: il costo dello scarico è altissimo. In assenza di
controlli i capitani delle navi ricevono pressioni per scaricare in mare;
l'informazione riguardo lo scarico dei rifiuti oleosi nei porti è minima.
Inoltre, le aree destinate allo scarico sono a discrezione degli stati,
regioni e dal livello di attività del porto. In Croazia, per esempio, gli
scarichi di carburante sono raggruppati in modo da poter essere trattate e
poste in commercio. Tuttavia questo tipo d'iniziativa è molto limitata, dato
che la maggior parte delle nazioni mediterranee hanno scelto di non aver
infrastrutture.
La maggior parte della superficie del Mediterraneo si trova in acque
internazionali, oltre la giurisdizione degli stati individuali. Dato che le
leggi internazionali non vengono applicate per controllare coloro che
decidono di scaricare illegalmente non corrono virtualmente alcun rischio.
Secondo il Wwf, l'International Maritime Organisation (IMO) ha designato il
Mediterraneo come Zona di Mare Speciale nella quale lo scarico di
idrocarburi è strettamente proibito. Inoltre, ogni giorno, circa 2,500 navi
solcano il Mediterraneo e più di 300 sono petroliere. "E' assolutamente
necessario sviluppare una gestione rigorosa - dice il Wwf - per assicurare
che le navi siano sicure e che non passino attraverso aree a rischio di
danno ecologico".
Il Wwf raccomanda specialmente la crezione di Aree Particolarmente Sensibili
(PSSAs) con una severa regolamentazione, definita dall'IMO come un " area
che necessita di protezione speciale a causa del suo valore ecologico,
socio-economico e scientifico, che può essere messo in pericolo dalle
attivita navali internazionali". La definizione PSSA assegna un
riconoscimento internzionale all'importanza di alcune zone, informa i
marinai della necessità di attenzione particolare o li previene dalla
naviagazione.
Inoltre, assegna alle nazioni costiere la possibilità di applicare le
proprie leggi e le proprie regole oltre le loro acque territoriali (12
miglia nautiche).
Il Wwf ha identificato 9 aree ad alto rischio nel Mediterraneo, in base alla
ricchezza di biodiversità e alla loro posizione geografica in relazione alle
rotte delle petroliere:
Il mare di Alboran,
Le isole Baleari,
Il bacino Sardo-Corso-Liguro-Provençal e le bocche di Bonifacio (il
Santuario dei Cetacei),
Le coste nord della Tunisia, le coste ovest dell'Algeria,
Il canale di Sicilia e Malta, lo stretto di Messina,
Il mare Adriatico,
Il mar Egeo, il mar di Marmara e lo stretto di Dardanelli / Bosforo,
La baia di Iskenderun e le coste Cilicie,
La costa Cirenaica (Libia).
Per proteggere queste zone il WWF sollecita i governi del Mediterraneo a
presentare all'IMO proposte per la creazione di ulteriori Aree Sensibili
(PSSAs). IMO è la sola agenzia internazionale responsabile per
l'identificazione delle PSSAs e per l'adozione di misure di protezione.
Nonostante le numerose leggi per prevenire e contenere i danni causati
dall'inquinamento da idrocarburi purtroppo queste vengono raramente
rispettate, specialmente quelle che riguardano il monitoraggio delle navi.
Fra l'altro gli ecologisti chiedono il rafforzamento del monitoraggio
terrestre e aereo per scoprire perdite di petrolio nel Mediterraneo il
sistema satellitare dell'Agenzia Spaziale Europea in questo caso è vitale.
Il WWF è parte di un progetto pilota chiamato CLEOPATRA per la scoperta di
scarichi illegali di petrolio da satellite. Un sistema di controllo radio,
inoltre, simile a quello utilizzato negli aereoporti deve essere
implementato per controllare localmente e direttamente le rotte delle navi.
Questo sistema è noto come il Vessel Traffc Monitoring System (VTMS).
Un'ulteriore strumento indispensabile potrebbe essere un blue box system,
ovvero una scatola nera simile a quelle utilizzate dagli aerei e dai camion.
Sarebbe possibile grazie al satellite localizzare le navi e registrerebbe le
informazioni di tutte le operazioni di bordo incluso lo scarico
Una recente Direttiva Europea del 27 Dicembre 2002 incoraggia le autorità
portuali a installare spazi specializzati per il recupero degli scarichi.
Per il WWF l'unico sistema affidabile è quello secondo il quale gli armatori
sono obbligati per legge a non scaricare in mare. Inoltre il Wwf suggerisce
ispezioni rigorose di tutte le navi, in particolare le navi che si
avvicinano all'età di disarmo.Esemplare il caso della petroliera Prestige:
in Galizia 64mila tonnellate di petrolio versate, 13mila ancora nelle stive,
300mila uccelli marini uccisi, e soprattutto danni economici per 5 miliardi
di euro. Il pescato crolla dell'80%. Sono i dati del dossier del Wwf su
"Prestige, dopo un anno il disastro continua", presentato a Roma in una
conferenza stampa organizzata a un anno dalla partenza dalla Lettonia della
petroliera Prestige, affondata dopo sei giorni di agonia il 19 novembre 2002
davanti alle coste della Galizia. Alla conferenza hanno partecipato Antonio
Canu (Responsabile aree protette e Programma Mare WWF), Paolo Guglielmi
(Responsabile programma Mare WWF Mediterraneo), Ezio Amato, esperto
ricercatore dell'ICRAM.