i nodi irrisolti del nucleare



da lexambiente.com
sabati 1 novembre 2003

C.E.A.G. Legambiente
spazio dei Centri di Azione Giuridica di Legambiente

Dottrina: Nucleare. Lo spettro del nucleare

 Lo spettro del nucleare
di Stefano Ciafani

Era l'8 novembre 1987 quando gli italiani furono chiamati a votare il
referendum sul nucleare. L'esito dello scrutinio non lasciò dubbi: l'80,6%
dei votanti si espresse per concludere la stagione "radioattiva" nel nostro
Paese. Fu quella una delle più importanti vittorie del mondo ambientalista
italiano, che pose l'Italia all'avanguardia tra tutti i Paesi
industrializzati. Si rinunciava una volta per tutte al più pericoloso tra i
metodi per produrre energia elettrica, così come aveva dimostrato solo un
anno prima il terribile incidente di Chernobyl.
A 16 anni di distanza da quel referendum, tra la scelta della localizzazione
del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e il "presunto" deficit di
produzione di energia che ha provocato i numerosi black-out degli ultimi
mesi (sia quelli programmati durante l'estate che quello paradossale di fine
settembre che ha lasciato la buio tutta Italia), lo spettro del nucleare è
tornato improvvisamente di attualità.
La querelle sulla discarica nucleare è esplosa negli ultimi mesi ma tutto ha
inizio alla metà degli anni '90 quando vengono istituite due commissioni,
quella "Grandi rischi" presso il dipartimento della Protezione civile della
Presidenza del Consiglio dei ministri e la task force dell'Enea. Il loro
obiettivo era quello di definire tecnicamente come e dove sistemare in
maniera definitiva i rifiuti, soprattutto quelli a media e alta
radioattività, e il combustibile nucleare irraggiato[1]. In effetti la
sistemazione di quanto lasciato in eredità dall'attività nucleare risultava
già allora assolutamente inadeguata e pericolosa: i rifiuti erano stoccati
all'interno delle centrali che li avevano prodotti, mentre molte barre di
combustibile erano ancora nelle piscine dei reattori in attesa di essere
inviate all'estero per il reprocessing o riprocessamento[2].
Mentre il gruppo di lavoro della Protezione civile scelse la soluzione
superficiale per la discarica, quello dell'Enea, una volta definiti i
criteri di esclusione e di preferenza, cominciò a stilare la lista dei siti
disponibili ad ospitare i rifiuti. Dagli oltre 8mila siti censiti all'inizio
si è passati a circa 200 per arrivare a qualche decina, molti dei quali
sembravano ricadere tra le regioni Puglia e Basilicata. La risposta di
cittadini, associazioni e amministrazioni locali non si è fatta aspettare,
anche alla luce della non ancora definita istituzione del parco nazionale
dell'Alta Murgia.
La decisione viene momentaneamente rimandata, nonostante la palese urgenza
di trovare una sistemazione definitiva all'"eredità radioattiva". La stessa
Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, allora
presieduta dal deputato verde Massimo Scalia, nel documento approvato su
questo tema il 29 aprile 1999 ammoniva che: "con il passare del tempo (.) si
determina il graduale deterioramento delle strutture e della componentistica
nucleare. Pertanto tale deterioramento, in un prossimo futuro, potrebbe
richiedere interventi sempre più onerosi e complessi, dai risultati non
sempre affidabili, dal punto di vista del livello di sicurezza".
Negli ultimi mesi, con la nomina del generale Carlo Jean, Presidente della
Sogin, la società nata per gestire lo smantellamento delle centrali, a
"Commissario straordinario per la messa in sicurezza dei materiali nucleari"
, la scelta della localizzazione del deposito nazionale subisce un'
improvvisa accelerata. L'operato del nuovo Commissario si fa notare subito
per la segretezza "militare" delle sue decisioni: vengono pubblicate sulla
Gazzetta ufficiale diverse ordinanze sul tema con numerosi e inquietanti
omissis; anche l'audizione del 24 giugno scorso davanti alla Commissione
parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti viene secretata; top secret
anche il contenuto del dossier elaborato per la localizzazione del deposito
nazionale dei rifiuti radioattivi, bocciato tra l'altro dalla conferenza
Stato - Regioni.
Solo poche indiscrezioni trapelano. Quelle sui criteri di esclusione per
individuare il sito scatenano un vespaio di polemiche. I gruppi di lavoro di
Protezione civile ed Enea avevano, infatti,  escluso la possibilità di
collocare il deposito nazionale nelle aree demaniali, nelle zone a meno di
50 km dalle frontiere e nelle isole. Nei nuovi criteri si perde traccia di
questi divieti: "L'esclusione delle isole - secondo il generale Jean - era
dovuta a valutazioni del momento che non trovano riscontri in criteri
adottati da altri Paesi". Si comincia quindi a ipotizzare che la scelta
finale possa ricadere sulla Sardegna, dove si scatena la sollevazione
popolare: sit-in, manifestazioni e addirittura nuove forme "elettroniche" di
protesta su internet. Non tardano ad arrivare le rassicurazioni di ministri
e politici nazionali, anche sardi, sul fatto che ancora nulla è deciso. Nel
frattempo le scorie radioattive e le barre di combustibile continuano
pericolosamente il loro "soggiorno" all'interno delle centrali.
L'unica informazione certa fornita dal Commissario Jean è quella sui
quantitativi in gioco: occorre trovare la sistemazione a circa 58-60mila m3
di rifiuti, di cui circa 35mila derivanti dallo smantellamento delle quattro
centrali nucleari (Caorso, Garigliano, Latina e Trino). Ma i conti non
tornano. Se infatti la stima del Commissario sui circa 25mila m3 di rifiuti
radioattivi derivanti dall'attività delle centrali fino al 1987 è confermata
dai dati ufficiali noti finora (le ultime stime dell'Apat, l'Agenzia
protezione ambiente e servizi tecnici, quantificavano i rifiuti in 26.405 m3
a fine dicembre 2001), non si può dire la stessa cosa sulla "montagna"
radioattiva che risulterà quando verranno smantellate le centrali. Lo studio
dell'Enea, infatti, aveva calcolato che i rifiuti della dismissione delle
centrali sarebbero stati pari a poco più di 90mila m3, mentre la Commissione
d'inchiesta  Scalia li aveva stimati in oltre 100mila m3, cifre di gran
lunga superiori a quella stimata dal generale Jean. E' un problema di stime
o si è già provveduto a "piazzare" da qualche parte questi scomodi rifiuti?
Tra un mistero e l'altro la discussione sulla scelta del sito continua: si
fa un sito unico o se ne costruiscono diversi? La proposta meno felice in
merito è stata sicuramente quella di Carlo Giovanardi, Ministro per i
rapporti con il Parlamento, durante un convegno che si è tenuto ad Erice a
fine agosto: "Visto che nessuno vuole ospitare il sito unico, se ne
potrebbero fare venti, uno per regione". La risposta trasversale, ma unanime
da parte del Commissario Jean, di diversi esponenti dei due schieramenti
politici e delle associazioni ambientaliste è stata perentoria: non se ne
parla nemmeno. Per ovvi motivi di costi e di sicurezza, visto che vigilare
un solo sito da eventuali attacchi terroristici è ovviamente più semplice,
ma anche perché è già complicato individuare un'area per il deposito,
figuriamoci trovarne venti.
Ma allora che ne facciamo dei rifiuti radioattivi, li spediamo tutti all'
estero? Detta così, questa proposta sembra inaccettabile. E così è sembrata
infatti a Domitilla Senni, direttore scientifico di Greenpeace, secondo cui:
"I rifiuti devono essere gestiti dal Paese che li produce". Concetto
assolutamente corretto in linea di principio, ma è necessario fare un
distinguo riguardo alla provenienza dei rifiuti radioattivi da trattare e
naturalmente è necessario porre precise  condizioni. Innanzitutto vanno
distinti i rifiuti a bassa radioattività, prodotti ancora oggi in Italia
dalle attività industriali, mediche e della ricerca scientifica, da quelli a
media e alta attività. Per i primi, la cui radioattività decade al massimo
in qualche anno, è necessario trovare un deposito entro i confini nazionali.
Per i secondi, se non è possibile trovare una collocazione in Italia,
potrebbe non essere troppo peregrina l'ipotesi di sondare la disponibilità
ad ospitarli da parte di un Paese straniero che ancora produce energia
elettrica dall'atomo e che sicuramente è già dotato di un sito ad hoc, di
sistemi di sicurezza e di controllo che in Italia dovrebbero essere creati
ex novo. Potrebbe anche essere una nazione europea ma non è da escludersi
anche la Russia. A patto che vengano rispettate almeno due condizioni. La
prima è che i rifiuti italiani vengano stoccati a secco: il riprocessamento
delle barre di combustibile irraggiato infatti permette di recuperare il
plutonio, elemento che non esiste in natura e il cui recupero è uno dei
principali obiettivi del trattamento delle scorie, anche e soprattutto alla
luce del suo possibile utilizzo a fini bellici e militari. La seconda è che
il compenso economico che ne trarrebbe la Russia venga destinato solo ed
esclusivamente a rendere più sicure le tante centrali nucleari ancora attive
in quel Paese, molto  più simili a bombe a orologeria che a impianti per la
produzione di energia elettrica.
Ma il vero  spettro del nucleare che torna a minacciare il nostro Paese è la
proposta che da più parti si ripresenta di tornare a produrre energia da
fonti nucleari. I nostalgici dell'energia dall'atomo infatti,  approfittando
dei numerosi black-out verificatisi nei mesi scorsi e della presunta mancata
copertura al fabbisogno energetico nazionale, sono tornati alla carica.
Discutibili come sempre le loro argomentazioni: il nucleare è pulito, sicuro
ed economico.
Definire pulito il nucleare, come qualcuno vorrebbe far credere, solo perché
non produce gas serra è a dir poco ridicolo, viste le quantità di rifiuti
radioattivi che vengono lasciate in eredità per migliaia di anni alle future
generazioni.
Sulla sicurezza nessun esperto si è mai sbilanciato più di tanto visto che a
tutt'oggi non esiste nessuna procedura o meccanismo che eviti la dispersione
di radioattività nell'ambiente esterno nel caso di un incidente (oggi quanto
mai all'ordine del giorno anche alla luce dei ripetuti allarmi su eventuali
attacchi terroristici lanciati dai potenti del mondo dopo l'11 settembre).
Senza considerare che ancora milioni di persone - comprese le nuove
generazioni -  pagano con la propria salute e con pessime condizioni di vita
l'incidente di Cernobyl del 1986!
Sulla sua economicità vale la pena ricordare che quando si fanno i conti per
fare il confronto di quanto si spende per produrre energia dai combustibili
fossili, dalle fonti rinnovabili e dal nucleare, per quest'ultimo non si
tiene mai conto della costosa gestione dei rifiuti prodotti né di quanto
occorrerebbe spendere per far fronte ai danni causati in caso di incidente.
Come non si tiene alcun conto delle sovvenzioni statali, a carico della
collettività, che vengono elargite a chi costruisce centrali di questo tipo.
E' anche e soprattutto per questi motivi che l'energia elettrica prodotta
dal nucleare in Francia è apparentemente più economica di quella prodotta da
altre fonti in Italia.
Un ritorno al nucleare sarebbe infine uno schiaffo a quei 30 milioni di
italiani che solo 16 anni fa hanno detto un secco no alla minaccia di una
centrale nucleare in esercizio a due passi da casa. In realtà una violazione
della volontà popolare è stata già compiuta dalla maggioranza e dal ministro
Marzano in Parlamento, visto che nel famoso decreto sull'energia che porta
il suo nome, ormai in via di approvazione, è prevista per le aziende
italiane la possibilità di costruire centrali nucleari all'estero, vietata
dopo il referendum del 1987. Una cosa è certa: i colpi di mano e le
decisioni prese dall'alto senza la necessaria trasparenza delle informazioni
e condivisione delle scelte con i cittadini non portano da nessuna parte. Lo
dimostrano le sollevazioni popolari contro la localizzazione del deposito
nazionale di rifiuti radioattivi. E' facile immaginare cosa potrebbe
succedere se qualcuno decidesse di dare un nuovo via libera alla costruzioni
di centrali nucleari sul territorio italiano.

[1] Ossia esaurito perché già impiegato nelle centrali nucleari.
[2] Tecnica di trattamento del combustibile irraggiato che consiste nella
separazione dei suoi elementi costituenti: i prodotti della fissione dell'
uranio, cioè i rifiuti veri e propri, l'uranio fissile residuo, che può
essere riutilizzato in un'altra centrale, e il plutonio.