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riparte l'economia americana?
- Subject: riparte l'economia americana?
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 26 Oct 2003 08:14:26 +0100
da repubblica.it unedi 20 Ottobre 2003 Il ritorno della locomotiva americana FEDERICO RAMPINI La ripresa americana è una solida realtà. Si possono avere dubbi sulla sua sostenibilità nel mediolungo periodo, alla luce dei «deficit gemelli» (conti pubblici e commercio estero). E' d'obbligo la cautela riguardo ai benefici di questa ripresa sull'occupazione, che potrebbero tardare più del normale. Ma che la locomotiva americana sia ormai ripartita, non lo si può più negare. Tutti i dati più recenti convergono nel confermare questo verdetto. A settembre la Federal Reserve ha misurato un consistente aumento della produzione industriale: +0,4% mensile, in contrasto con il lieve calo (meno 0,1%) di agosto. Le vendite al dettaglio sono scese dello 0,2% a settembre, ma la colpa è tutta dell'automobile, se si esclude questo settore le vendite invece sono salite dello 0,3%. Inoltre il Commerce Department ha rivisto al rialzo i dati definitivi su luglio e agosto: l'aumento delle vendite al dettaglio in quei due mesi era stato superiore alle cifre iniziali, ora è misurato rispettivamente a +1,4 e +1,2%. La doppietta luglioagosto è significativa, perché è la prima volta che si verificano due mesi consecutivi con aumenti di vendite superiori all'1% dal marzo 2000, il mese in cui ebbe inizio la caduta del Nasdaq. La tenuta dei consumi dovrebbe prolungarsi nei prossimi mesi, anche perché le famiglie americane sentono sui loro redditi netti il beneficio dei nuovi sgravi fiscali e dell'aumento degli assegni familiari varati dall'Amministrazione Bush. L'inflazione rimane molto bassa e anche questo non guasta. A settembre l'indice dei prezzi al consumo è salito dello 0,3% ma quasi tutto il rincaro del costo della vita è dovuto a un'impennata della benzina. Se si escludono le voci di spesa che hanno una forte volatilità stagionale energia e generi alimentari l'indice dei prezzi a settembre è salito di un modestissimo 0,1%. La Federal Reserve ne deduce che nell'economia americana rimangono all'opera potenti forze deflazionistiche (aumento della produttività, importazioni dalla Cina), e quindi deciderà di mantenere invariati i tassi a breve in occasione del suo prossimo meeting il 28 ottobre. Al livello minimo degli ultimi 45 anni (1%) i tassi a breve sui federal funds contribuiscono a sostenere la ripresa economica e in particolare i consumi, perché si trasmettono alle famiglie attraverso bassi interessi sui mutui immobiliari, sulle carte di credito e su tutti gli acquisiti rateali (automobili in testa). A questi livelli dei tassi, perfino il rialzo di questa estate sugli interessi dei mutui non ha raffreddato il mercato immobiliare: sia le costruzioni di nuove case, sia le vendite di abitazioni già esistenti rimangono molto sostenute, malgrado i segnali di una "bolla speculativa" nei prezzi di molte aree urbane. Notizie moderatamente buone sono uscite anche dal mercato del lavoro. Il Labor Department ha rilevato che nella settimana dal 6 al 12 ottobre le nuove richieste di indennità di disoccupazione sono scese di 4.000 unità, attestandosi a livello di 384.000. La media mobile di questo dato misurata su quattro settimane (un indicatore meno volatile) è scesa di 4.250 unità a 390.750: è il più basso livello dal febbraio scorso. Il Beige Book pubblicato dalla Federal Reserve la settimana scorsa ha confermato questo quadro generale: il suo giudizio è che la ripresa sta acquistando velocità grazie alle spese dei consumatori e il rialzo nell'attività industriale ne è una chiara conferma. I chief executive delle più grandi imprese americane, riuniti nella Business Roundtable, prevedono ormai una crescita del Pil Usa pari al 3,3% nell'ultimo trimestre dell'anno e anche questo è un segnale di ottimismo: nel sondaggio precedente, effettuato a luglio, la loro previsione per il Pil di questo trimestre finale era del 2,3%. Gli analisti macroeconomici che partecipano al sondaggio trimestrale della Reuters sono anch'essi molto positivi, ormai prevedono una crescita media del Pil americano pari al 3,5% per l'intero 2003. Nessuno però si fa illusioni sugli effetti che questa ripresa può avere nel breve termine sul mercato del lavoro, che in fin dei conti è la cosa più importante per il benessere della nazione. A settembre c'è stata una creazione netta di 57.000 nuovi posti di lavoro (come saldo fra assunzioni e licenziamenti): è un modesto segnale di svolta, ma ci vuole ben altro. Tenuto conto della continua crescita demografica sostenuta anche dall'immigrazione l'America ha bisogno di creare dai 200.000 ai 300.000 posti di lavoro aggiuntivi ogni mese, per almeno sei mesi, per poter abbassare in maniera significativa il tasso di disoccupazione. Attualmente l'indice della disoccupazione è pari al 6,1% della forza lavoro. I 25 economisti sondati dalla Reuters prevedono che tra un anno si sarà a malapena mosso: 5,9%. Non è la prima volta che gli Stati Uniti sperimentano una "jobless recovery", una ripresa senza creazione di posti di lavoro: accadde nel 1991, e fu la ragione principale della mancata rielezione di George Bush padre alla Casa Bianca. Un intervallo di ritardo fra il momento in cui l'economia riparte, e quello in cui le imprese ricominciano ad assumere in proporzioni significative, è normale. Questa volta però si ha l'impressione che l'intervallo sia diventato più lungo, e la colpa sarebbe del forte aumento di produttività, che consente alle imprese di rispondere all'incremento della domanda senza dover aumentare i dipendenti. L'altra incognita che pesa su questa ripresa sono i due gravi squilibri macroeconomici del sistemaAmerica. Il deficit dei conti pubblici federali raggiungerà il livello record di 500 miliardi di dollari nell'anno fiscale 2004, cioè quasi il 5% del Pil. Il deficit nei conti con l'estero sarà ancora superiore: quest'anno si avvia a toccare i 570 miliardi di dollari, l'anno prossimo si prevede che sfonderà la soglia dei 600 miliardi. L'esistenza di questi deficit gemelli significa che la ripresa americana dipende dalla fiducia degli investitori stranieri, dalla disponibilità del resto del mondo a continuare a finanziare gli Stati Uniti. Una fiducia che può essere incrinata dalla debolezza del dollaro: cioè proprio da quel deprezzamento che Washington incoraggia al fine di rilanciare le esportazioni...e la crescita.
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