energia strategia nuova



il manifesto - 01 Ottobre 2003


Ma non è il momento di una nuova strategia?

MASSIMO SERAFINI*

Il blackout che ha paralizzato l'Italia si è verificato nel momento in cui
era minima la domanda elettrica, nella notte fra sabato e domenica: è
ridicolo sostenere che si tratti di un problema risolvibile costruendo nuove
centrali termoelettriche. Solo persone in malafede possono utilizzare
quell'evento per tentare di accelerare la costruzione di nuove centrali o,
peggio ancora, per riaprire la porta al nucleare. Nel nostro paese non
mancano le centrali: certo poco efficienti e ambientalmente molto
inquinanti, ma in grado teoricamente di far fronte ad una domanda molto
estesa. La potenza installata infatti supera i 76.000 MW, di cui il gestore
della rete, senza chiarire il perché, ci dice esserne effettivamente
disponibili solo 50.000. Anche questa disponibilità però era tuttavia
largamente sufficiente a coprire i 20.000 MW necessari la scorsa notte. Il
problema è che non è conveniente far funzionare le nostre centrali, perché
l'energia che esse potrebbero produrre costa almeno tre volte di più di
quella che compriamo da francesi e svizzeri. E infatti alle tre e venti di
domenica gran parte delle centrali italiane erano ferme e non funzionanti,
proprio perché si riteneva inutile e troppo costoso tenerle in servizio.

Si tratta quindi di una scelta politica, non di mancanza di centrali.
Inoltre il blackout è stato provocato da un incidente accaduto in Svizzera
(caduta di un albero su una linea di alta tensione) e quindi, più che sulle
centrali, è interessante rivolgere l'attenzione alla rete distributiva, al
suo stato, agli investimenti che in questi anni (non) sono stati fatti per
ammodernarla e magari renderla meno inquinante.

Si impone una domanda: come mai, diversamente dal sistema elettrica
svizzero, che ha prontamente reagito per risolvere il problema in casa
propria, il sistema elettrico italiano non è stato in grado di compensare il
disservizio provocato da questo guasto tutto sommato comune, lasciando che
si propagasse in tutta Italia?

Una risposta la si può trovare nelle battute ironiche dei tecnici che
lavorano presso i gestori delle reti estere: si può essere certi che i
tecnici del gestore della rete italiana saranno già al lavoro per modificare
le procedure di gestione, in modo da evitare il ripetersi di situazioni
simili, ma non c'è alcun dubbio che ci si muove in ritardo e solo in seguito
ad un incidente di portata gravissima. Tutto ciò evidenzia lo stato di
abbandono, scarsa manutenzione ed innovazione in cui, colpevolmente, è stata
lasciata la rete. Se fossimo un paese governato seriamente, Bollino (gestore
della rete) e Marzano (ministro dell'industria) dovrebbero già esser stati
rimossi dai rispettivi incarichi.

Ma è sufficiente, mi chiedo, affrontare l'evento di domenica limitandoci a
individuare le responsabilità, o contestando le nuove centrali che si
vogliono costruire, o l'idea di alimentarne qualcuna delle vecchie col
carbone, oppure battendosi per ritagliare un po' di spazio alle fonti
rinnovabili e al risparmio energetico?

In buona sostanza: il nostro sistema energetico - basato largamente su
petrolio e combustibili fossili - con alcune innovazioni e correzioni quali
una maggiore diversificazione delle fonti, un po' di risparmio ed infine una
migliore gestione, può funzionare oppure è necessario trarre, proprio da
questi segnali d'allarme, la forza e la convinzione per progettare una
svolta radicale nelle politiche energetiche? una svolta che porti il paese
fuori dal petrolio e più in generale dai combustibili fossili?

Non è una domanda né retorica né ideologica. Nella discussione di questi
giorni è rimasta in ombra la dimensione epocale della questione energetica.
Si è molto discusso e altrettanto polemizzato su come fronteggiare
l'emergenza dei blackout; se sia meglio farlo ritornando all'assetto
pubblico o proseguendo con la privatizzazione; ci si è scontrati
sull'utilità o meno delle maxicentrali, sul ritorno al nucleare, sul
«carbone pulito» (che pulito non può essere).

Tutte cose importantissime, ma che non colgono né i nodi di fondo né
l'urgenza di scelte radicali, che la notte al buio e più in generale la
questione energetica sollevano: la sostenibilità sociale ed ambientale dei
nostri consumi, l'impazzimento del sistema climatico planetario e le sue
drammatiche conseguenze sulle popolazioni. Temi che, per essere affrontati,
sollecitano il superamento dei modelli energetici attualmente vigenti e la
centralità che in essi hanno i combustibili fossili.

Insomma, dopo il fallimento della guerra irachena per il controllo delle
riserve petrolifere, dopo che numerosi blackout hanno reso più evidente a
milioni di persone il collasso del sistema energetico liberalizzato, dopo
che comincia a farsi strada nella testa dell'opinione pubblica la
convinzione che ci sia una connessione fra petrolio, sua combustione e
surriscaldamento del pianeta, non è giunto il momento di andare oltre una
discussione su scelte programmatiche tutte interne all'attuale modello
energetico, e contestarne invece i tre pilastri su cui regge: ineluttabilità
di un ulteriore aumento dei consumi nei paesi industrializzati, egemonia per
ancora molti anni del petrolio e dei combustibili fossili, liberalizzazione
dell'energia per ridurne i costi?

1) L'aumento dei consumi non è inevitabile. Anzi, qualora si realizzasse, si
tratterebbe di uno spreco, di consumi sempre più irrazionali, quasi tutti
indotti per ragioni di profitto e speculazione. Non è possibile che i
consumi elettrici e di calore crescano in società nelle quali la popolazione
non aumenta e l'economia è concentrata su attività sempre meno bisognose di
energia (servizi e informazione).

2) L'egemonia del petrolio può essere superata affermando quella delle fonti
rinnovabili e l'uso razionale dell'energia. Esse sono già possibili
alternative ai combustibili fossili, non solo perché le loro tecnologie sono
affidabili, ma anche perché sarebbero economicamente concorrenziali se solo,
nei costi del petrolio, fossero conteggiati anche quelli relativi
all'inquinamento e all'effetto serra che la sua combustione produce, oggi
invece scaricati sulla collettività.

3) Infine la privatizzazione dell'energia non ha portato, in nessuno dei
paesi in cui è stata realizzata, una riduzione stabile delle tariffe, ma
solo un servizio elettrico peggiore, meno affidabile e più pericoloso
proprio perché aggrava e accelera il cambiamento climatico.

Le alternative al vecchio modello energetico ci sono e non partono da zero.
L'uso razionale dell'energia, il risparmio energetico, l'informatica
applicata all'energia, le fonti energetiche rinnovabili sono tecnologie che
all'estero stanno facendo passi da gigante, imponendosi sul mercato con
invidiabili tassi di crescita a volte superiori al 30% ogni anno. Oltre ai
benefici ambientali, queste nuove tecnologie sfruttano risorse energetiche
locali disponibili sul territorio, riducono la dipendenza energetica
dall'estero e creano nel contempo nuova occupazione. In Giappone si
installano ogni anno 100 volte più impianti solari fotovoltaici che in
Italia, la Danimarca ricava il 20% del proprio fabbisogno di elettricità dal
vento, la Germania conta 130.000 nuovi occupati nel settore delle fonti
energetiche rinnovabili.

Solo se si riuscirà a dare questo respiro e questi contenuti alla
discussione sull'energia, che la notte di buio ha alimentato, sarà
concretamente possibile far crescere la diffusa opposizione che sul
territorio è cresciuta contro le nuove centrali e le politiche energetiche
del governo; ma soprattutto cominciare ad affrontare le grandi sfide che la
questione dell'energia propone: la pace, la sua disponibilità per tutti i
popoli e il governo del clima.



*segreteria Legambiente