banda larga per tutti



il manifesto - 07 Settembre 2003


Che la banda sia larga davvero
FRANCO CARLINI

Che la banda sia larga davvero
Per ora siamo lontani dai due megabyte che - come minimo - servono per
trasmettere contenuti multimediali fruibili in tempo reale. Molti gli
ostacoli: dal monopolio della rete ai costi troppo alti dei collegamenti.
FRANCO CARLINI
Il ministro dell'innovazione Lucio Stanca si è riunito a Viterbo con i
ministri della comunicazione dell'Unione Europea e il tema era quello delle
connessioni a banda larga. Con soddisfazione è stato rilevato che l'Italia è
al terzo posto in Europa e che il numero delle connessioni attivate ha ormai
raggiunto la cifra rispettabile di un milione e 700mila; se continuano gli
attuali tassi di crescita, alla fine del 2003 potrebbero essere due milioni
e mezzo. Questa tecnologia che permette connessioni veloci alla rete
Internet da casa o da ufficio e viene ritenuta da Stanca «condizione
essenziale per lo sviluppo del paese». In questo il ministro ha sicuramente
ragione, ma la questione merita di essere esaminata più da vicino. Intanto
non è affatto chiaro nella pubblicistica che cosa si debba intendere per
banda larga. Di solito nelle statistiche ufficiali si trovano valutazioni
eccessivamente generose, accontentandosi di chiamare larga ogni velocità di
trasmissione dei dati superiore ai 200 kbits (migliaia di bit al secondo),
ovvero 4 volte superiore ai normali modem su linea telefonica commutata. Ma
con 200 kbits si fa davvero poca strada e l'aggettivo «largo» sembra
francamente eccessivo e fonte di equivoci, al massimo si dovrebbe parlare di
banda «allargata». Secondo chi scrive una dignitosa banda larga deve essere
considerata soltanto quella che comincia con i 2 megabits e per un semplice
motivo: è solo con questo valore che comincia a essere possibile una seria
trasmissione di filmati «in diretta» (il cosiddetto streaming).

Se per esempio si considera l'offerta commerciale di Telecom Italia (Alice)
si vede che vengono offerte essenzialmente tre velocità in scaricamento
(download): 256, 640 e 1200 kbits, con tre diversi costi del servizio. Sono
utili per carità, ma sono tutte al di sotto della soglia significativa dei 2
mega. Lo stesso vale per molte statistiche americane e inglesi: in questi
paesi infatti molte delle connessioni avvengono attraverso il cavo coassiale
della televisione e anche in questo caso si viaggia a 250 kbits. Ovviamente
ci si può accontentare e sostenere che si tratta comunque di un
miglioramento rispetto alla lentezza dei modem, ma non è questo l'orizzonte
interessante «per lo sviluppo del paese».

A queste basse velocità il vantaggio della connessione non è tanto quello
della banda quanto quello di essere sempre in rete, senza dover accendere il
computer, collegarsi all'Internet con tutti i sibili del caso e poi
navigare. Se la connessione è «sempre su», allora la rete diventa uno
strumento della vita quotidiana perennemente a portata di mano, che si
tratti di consultare l'orario dei treni o di fare una ricerca scolastica e
questa mutata percezione dello strumento cambia le abitudini e incentiva
l'uso. Di fronte a banali osservazioni del genere Riccardo Perissich,
presidente del consiglio di amministrazione di Telecom Italia, ritenne a suo
tempo di risponderci malamente, lasciando intendere che erano sofisticherie
inutili, ma la realtà è ben diversa: se la società da lui guidata intende
davvero buttarsi sul multimediale e vendere filmati in rete, allora con 200
k non farà nulla, gli serviranno i mega e a questo stanno appunto lavorando.

Bando agli equivoci dunque: quale che sia la tecnologia utilizzata - cavo
coassiale, fibra ottica o doppino telefonico in rame - una banda larga
davvero è quello che ci si aspetta e quello che serve sia per usi di affari
sia per socialità e intrattenimento. Al di sotto dei 2 megabits siamo ancora
alla radio a galena.

La seconda condizione per lo sviluppo di massa della banda larga riguarda i
costi: un collegamento minimo costa in Italia 37 euro al mese (arrivando ai
65 per la connessione da 1,2 mega); in Inghilterra circa 39 euro, ma ben 41
negli Stati Uniti, che su questo fronte sono in netto ritardo, e soli 23
euro (25 dollari) in Corea del sud. La Corea? Proprio così: il paese che
conduce le classifiche è proprio lei, grazie a una politica di investimenti
pubblici assunta consapevolmente negli anni più recenti.

Un orizzonte serio di sviluppo deve dare per scontato che i prezzi scendano
e che ci sia una molteplicità di operatori. In Italia peraltro l'80 per
cento circa dei clienti a larga banda sono di Telecom Italia: l'azienda ex
di stato ha saputo muoversi mettendo a frutto la sua rete telefonica fissa
(che negli anni precedenti era stata modernizzata e che dunque è adatta alle
nuove prestazioni velocistiche), ma anche con una capacità di proposte
dinamiche al mercato che non era tipica della sua cultura monopolista. Ma
qui sono scoppiati i problemi regolamentari e anche in Inghilterra, se è per
questo, dove Bt (ex British Telecom) ha fatto lo stesso: le autorità di
regolazione chiedono infatti agli operatori «incombenti» di rivendere la
connettività sulle loro reti ai concorrenti a prezzi orientati ai costi del
servizio. Solo un po' di concorrenza infatti fa gli interessi dei
consumatori sia sul fronte dei prezzi che sulla qualità del servizio.
Proprio nei giorni scorsi, per esempio, l'autorità inglese (Oftel) ha
imposto una riduzione dei costi della rivendita all'ingrosso della larga
banda ai concorrenti, accogliendo un ricorso presentato anche dalla Tiscali
inglese.

Su questo fronte la polemica italiana è tuttora accesa: in prezzi alla
concorrenza sono scesi, ma non abbastanza secondo Wind - la quale peraltro
continua a essere un'anomalia tutta italiana, quella di un'azienda che corre
e investe nelle telecomunicazioni godendo della copertura del monopolista
elettrico di stato Enel, mai dismesso né privatizzato perché al centro di
troppi interessi partitici. Telecom Italia risponde alle polemiche dicendo
in sostanza: «di fronte all'innovazione siamo tutti uguali, se io investo e
gli altri no, devo poterne godere i frutti», ma certamente sarebbe più
inattaccabile se le sue attività «Alice» fossero gestite da una società
separata a cui Telecom Italia venda le connessioni agli stessi prezzi di
Tiscali o di Mclink.

Ma su tutto aleggia una domanda: Larga Banda per cosa? E' il tema dei
contenuti e dei servizi che le connessioni veloci rendono possibili e che
sono certamente l'orizzonte degli anni a venire. «Tirando» un altro po' i
cavi di rame, si possono raggiungere velocità ancora più sostenute e secondo
Maurizio Dècina, del politecnico di Milano, l'aDSL spinta, o ancora meglio
la fibra ottica, possono essere la vera realtà multimediale italiana, ben
più della fantasiosa televisione digitale terrestre, oltre a tutto a costi
minori.

Si capisce allora meglio il tetto alle attività televisive di Telecom Italia
contenuto nel disegno di legge Gasparri e sostanzialmente accettato, dopo
alcune flebili proteste, da Tronchetti Provera: sul doppino telefonico è
possibile fare quella televisione via cavo che l'anomala Italia non ha mai
avuto. E farne una davvero «on demand», con palinsesti personalizzati e
conseguente rottura del modello industriale del broadcasting. Potenzialmente
è una vera minaccia per il duopolio televisivo e per questo viene congelata.