man bassa sui medicinali



da le monde diplomatique luglio 2003

PROFITTO CONTRO SALUTE
Man bassa sui medicinali

Il panico suscitato dalla scoperta in Cina, tra marzo e aprile 2003, di una
nuova emergenza sanitaria, il virus della polmonite atipica (Sars: Severe
Acute Respiratory Syndrome), non ha riscontri nella storia. L'umanità teme
nuove epidemie, ma le decine di milioni di morti evitabili, provocati
dall'Aids o da malattie comuni, non fanno più notizia. Mentre tutti gli
occhi erano puntati sulla Sars, Haiti viveva, nella più totale indifferenza
da parte della stampa internazionale, una gravissima crisi sanitaria,
risultato dei giochi ambigui dell'amministrazione americana sulla
concessione di prestiti destinati alle infrastrutture per sanità e acqua
potabile. Il consolidarsi a livello mondiale del sistema dei brevetti,
considerati essenziali per finanziare la ricerca farmaceutica, finisce di
fatto con il negare ai poveri, cioè a coloro che ne hanno più bisogno, la
possibilità di curarsi ... La diseguaglianza di fronte alla salute è forse
la più insopportabile delle ingiustizie. Perché il mondo sa condividere le
malattie, ma non sempre le cure.

Germàn Velàsquez

Il problema del costo dei medicinali, drammaticamente urgente per i paesi in
via di sviluppo, nel corso dei prossimi dieci - venti anni rischia di
estendersi all'intero pianeta. Anche i paesi industrializzati, le cui
popolazioni da quasi cinquant'anni godono dell'accesso sistematico e
gratuito ai farmaci necessari, potrebbero vedere questo diritto ridursi
progressivamente. Fino a che punto, infatti, i sistemi sanitari dei paesi
industrializzati potranno continuare a sostenere l'aumento dei costi di
fronte alla necessità, per esempio, di rimborsare nuovi medicinali contro le
malattie cardiovascolari o il cancro? Per non parlare dei trattamenti che
saranno sviluppati e brevettati a partire dalla ricerca sul genoma umano -
peraltro condotta grazie a fondi pubblici (1) - , o delle terapie legate
all'invecchiamento... Negli Stati uniti, gli esperti dei programmi pubblici
di assistenza sanitaria alle persone anziane (Medicare) e ai poveri
(Medicaid) prevedono che la spesa sanitaria nazionale, quantificata in 1.400
miliardi di dollari del 2001, raggiungerà i 2.800 miliardi di dollari nel
2011 (2).
Nello stesso periodo dovrebbe triplicare la spesa per i prodotti
farmaceutici che si ritiene toccherà, sempre nel 2011, i 414 miliardi di
dollari. Di conseguenza, le società assicurative private dovranno scegliere
tra ridurre le prestazioni o aumentare i premi. Il che approfondirà il
divario tra gli assicurati in grado di finanziare la propria salute e quelli
cui non resterà che una ridotta copertura sanitaria.
Già oggi in molti paesi europei la percentuale di spesa sanitaria stanziata
per i medicinali è superiore a quel 10% che le riservano gli Stati uniti:
17% in Francia (3), 16,3% in Belgio, 17,1 in Grecia e 12,8% in Germania. La
tendenza è la stessa in tutti i paesi ricchi: in Canada, per esempio, nel
2000 i medicinali costituivano il 15,2% del bilancio della sanità, contro
l'11,4% di dieci anni prima (4).
E in Giappone l'andamento è identico.
Da quando, nel 1995, è nata l'Organizzazione mondiale del commercio (Wto),
il prezzo dei medicinali è sempre più subordinato alle decisioni
dell'Adpic - un accordo commerciale che protegge «gli aspetti del diritto
della proprietà intellettuale in relazione al commercio».
Tuttavia, è stato necessario attendere tre anni perché il settore della
sanità «si svegliasse» e l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms)
pubblicasse un rapporto in cui si denunciavano le possibili conseguenze
dell'accordo sull'accesso ai medicinali (5). In breve tempo, a questo lavoro
e alle preoccupazioni espresse da molti paesi in via di sviluppo, si sono
affiancate le campagne di mobilitazione condotte, in particolare, da Medici
senza frontiere (Msf) e Oxfam.
Quando, nel 2000, 39 industrie farmaceutiche hanno intentato causa al
governo della Repubblica sudafricana chiedendo la soppressione di una legge
sui farmaci ispirata alle raccomandazioni dell'Oms, l'opinione pubblica si è
ribellata. Dopo un'intensa campagna internazionale di appoggio alla
posizione di Pretoria, e grandi mobilitazioni della società civile
sudafricana - condotte in particolare attraverso la Campagna per l'accesso
alle cure (Tac) (6) - , finalmente, il 20 giugno 2001, il problema è esploso
all'interno del Wto su iniziativa di un gruppo di paesi africani. Dopo
lunghe discussioni, nel novembre 2001 si è arrivati alla Dichiarazione di
Doha nella quale i membri del Wto affermano: l'accordo sugli Adpic «può e
dovrebbe essere interpretato e realizzato in modo da appoggiare il diritto
dei membri del Wto a proteggere la salute pubblica e, soprattutto, a
promuovere l'accesso di tutti ai medicinali». Frase talmente ovvia che anche
un bambino avrebbe potuto pronunciarla.
Il prezzo dei farmaci e il fattore «lentezza» La logica del sistema -
ammesso che vi sia qualcosa di logico in questo circolo vizioso - pretende
che la generalizzazione del sistema dei brevetti (la cui durata minima è di
vent'anni), imposta dall'accordo sugli Adpic, sia indispensabile per
permettere alle società farmaceutiche private di continuare a fare ricerca.
La tesi è questa: la ricerca è costosa, ma può essere finanziata dai
brevetti che, garantendo un monopolio alle industrie farmaceutiche,
permettono loro di mantenere alti i prezzi.
Ma sono proprio questi prezzi che impediscono alla maggior parte delle
persone che ne hanno bisogno di procurarsi i nuovi prodotti! Ora, se è
indispensabile proteggere la ricerca e lo sviluppo di nuovi medicinali, è
altrettanto essenziale che questi ultimi salvino vite umane fin dal momento
della loro scoperta, e non vent'anni dopo...
a meno di non voler perpetuare l'assurdo della situazione attuale, in cui
milioni di persone muoiono per mancanza di medicinali, malgrado il fatto che
i medicinali esistano e che la società sia in grado di garantirli a tutti.
La ricerca e lo sviluppo di nuovi trattamenti, per lo più in mano al settore
privato, dipendono dal mercato potenziale del prodotto, e non dai bisogni
sanitari delle popolazioni più povere. Nel corso degli ultimi vent'anni,
dunque, si può dire che quasi non vi sia stata ricerca sui flagelli che
colpiscono milioni di persone nei paesi in via di sviluppo come, ad esempio,
la malattia di Chagas, la leishmaniosi, la schistosomiasi o la malattia del
sonno...
Sembrava che la catastrofe annunciata dell'Aids dovesse accelerare le cose,
e invece l'accesso ai medicinali continua a essere una chimera, come se non
avessimo imparato niente dall'inizio dell'epidemia. Nel 1986, il direttore
dell'Oms, Horst Mahler, riconosceva di aver perso quasi quattro anni perché
«non si era reso conto» della gravità della situazione.
Il suo successore, il dottor Hiroshi Nakajima, di fronte a giochi di potere
e a complessi intrighi politici, si è visto costretto a smantellare il
programma mondiale di lotta contro l'Aids (Gpa) ideato da Jonathan Mann.
Tutto quanto si era fatto fino ad allora è stato dunque «buttato alle
ortiche», come afferma uno dei partecipanti al programma. Alcuni anni dopo,
il dottor Peter Piot, responsabile dell'Onusida, il programma delle Nazioni
unite per la lotta contro l'Aids, ha dichiarato che la transizione dall'Oms
all'Onusida ha fatto perdere altri quattro o cinque anni...
La lentezza rimane una caratteristica peculiare del problema; quasi dieci
anni dopo l'uscita sul mercato dei primi trattamenti antiretrovirali...
il 99% dei malati che può usufruirne vive nei paesi sviluppati.
A Doha, nel novembre 2001, la riunione ministeriale del Wto ha dato un anno
al suo Consiglio sugli Adpic per trovare una soluzione a quello che è stato
chiamato il «paragrafo 6»: studiare come i paesi che non sono in grado di
produrre medicinali in quantità sufficiente possano fare uso di «licenze
obbligatorie», cioè di quei meccanismi giuridici previsti dall'accordo, che
in alcuni casi permettono di aggirare il monopolio conferito dai brevetti.
L'anno è trascorso in un dialogo tra sordi, senza alcun risultato
concreto... se non la dimostrazione che i negoziatori hanno perso la
coscienza della gravità della situazione (7). Lo sappiamo bene, l'articolo 6
non era la risposta ai mali dell'umanità e il problema dei prezzi non è
l'unica difficoltà... La selezione razionale dei farmaci autorizzati alla
vendita in un determinato paese, la realizzazione di meccanismi di
finanziamento, il mantenimento e lo sviluppo di sistemi e infrastrutture
sanitarie affidabili, sono anch'essi fattori determinanti. Ma non possono
essere organizzati se non viene prima risolta la questione dei prezzi.
L'accordo più importante degli ultimi anni per la riduzione dei prezzi degli
antiretrovirali nei paesi in sviluppo, è stata l'Iniziativa per accelerare
l'accesso (Iaa) che ha permesso di diminuire il costo annuo per paziente dai
12.000 dollari del 2000 ai 420 dollari del 2003. Avviata nel maggio 2000
dall'Onusida, in partenariato con diverse agenzie delle Nazioni unite e
cinque imprese farmaceutiche (Boehringer Ingelheim, Bristol-Myers Squibb,
Glaxo SmithKline, Merck & Co e Hoffman La Roche), la mastodontica impresa ha
partorito un topolino: in 3 anni, 80 paesi si sono dichiarati interessati;
di questi 80 solo 39 hanno realizzato piani di attuazione, e meno della metà
di questi (19) ha poi concluso un accordo con un'industria. In definitiva,
il numero di pazienti che riceve antiretrovirali nei 19 paesi è inferiore
all'1%. Complessivamente, in Africa vengono curate 27.000 persone, mentre il
continente conta 30 milioni di sieropositivi (8)! Il Fondo globale per la
lotta contro l'Aids, la malaria e la tubercolosi, creato nell'aprile 2001 su
iniziativa del segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Annan, a oggi
ha ricevuto solo il 20% dei fondi necessari. In Cina, dove le autorità
calcolano che un milione di persone sia colpita dal virus
dell'immunodeficienza umana (Hiv), un'industria farmaceutica occidentale ha
offerto, con grande battage pubblicitario, antiretrovirali gratuiti per un
periodo di otto anni.
Ahimè: la «donazione» riguardava solo 200 pazienti! In ogni caso tutte
queste iniziative, anche se fossero in grado di superare le insufficienze,
non costituirebbero una soluzione a lungo termine, né per i paesi in via di
sviluppo, né per i paesi avanzati.
Come si può pensare, infatti, che il costo dei medicinali possa mantenere
nel tempo una crescita esponenziale che eccede ampiamente quella del resto
dell'economia?
Bisogna sperare che l'iniziativa internazionale per la ricerca di un vaccino
contro l'Aids (Iavi) - che riunisce industrie farmaceutiche (alcune delle
quali possiedono grandi laboratori tra i più importanti del mondo),
laboratori pubblici e organizzazioni non governative - abbia rapidamente un
esito positivo. Il vaccino, infatti, dovrà essere messo a disposizione del
maggior numero di persone al prezzo più basso possibile e in tempi
brevissimi: il che, evidentemente, si potrà realizzare solo passando per una
soluzione esterna all'attuale sistema dei brevetti.
«A chi appartiene una lettera? A chi la spedisce o al destinatario - o forse
al postino, se non altro durante il tragitto?» Così inizia El Dueño de la
herida, l'ultimo romanzo di Antonio Gala (9). Un abitante del pianeta su tre
non ha regolarmente accesso ai medicinali, i tre quarti di queste persone
vivono in paesi in via di sviluppo nei quali l'acquisto di prodotti
farmaceutici rappresenta solo l'8% delle vendite mondiali. Eppure la
capacità tecnica e finanziaria per produrre medicinali esiste. Dei 10
milioni di bambini di meno di cinque anni che muoiono ogni anno, l'80%
potrebbe essere salvato se avesse accesso ai medicinali essenziali. Il solo
aspetto positivo del fallimentare «processo di Doha» è stato mettere fine
alle astuzie giuridiche sulle regole internazionali del commercio,
riportando il dibattito sul piano etico. Oggi ovunque, nei diversi ambiti
interessati, la domanda importante è la stessa di Antonio Gala: a chi
appartiene un farmaco salvavita - a chi lo ha inventato, al paziente che ne
ha bisogno o all'intermediario che lo compra e lo rivende?
Una società malata Per due anni il processo di Doha ha contrapposto salute a
commercio: lo scontro mirava ad affermare la priorità dell'uno o dell'altro
e a stabilire quali eccezioni sanitarie si potessero concedere. Oggi ci si
accorge che il diritto alla salute è una cosa e l'espansione del commercio
un'altra. Promuovere il diritto alla salute implica che sia garantito il
diritto di poter usufruire dei progressi tecnologici e il riconoscimento del
valore supremo della dignità umana, principi riconosciuti in molti trattati
internazionali e accettati dalla stragrande maggioranza degli stati. Le
regole del commercio, come quelle dell'economia in generale, devono
contribuire al benessere della società. Non possono in alcun caso costituire
un ostacolo che impedisca a gran parte della società di beneficiare di
quella ricchezza e prosperità, che, per principio, il commercio ha il
compito di offrire. L'accesso alle cure, concepito come diritto
fondamentale, deve essere protetto in modo attivo dai poteri pubblici. Non
farlo, vuol dire accettare una società malata. Dopo Doha, ormai è chiaro: se
i medicinali sono solo merci, la salute non potrà mai essere altro che
un'estensione del mercato - dove cure e terapie saranno accessibili solo a
chi dispone di un potere d'acquisto sufficiente.
Fin d'ora, bisogna dunque considerare il farmaco essenziale un bene pubblico
su scala mondiale. Un cambiamento di prospettiva che provocherà a molti
livelli modifiche sostanziali di diversa natura, alle quali la comunità
internazionale e i poteri pubblici dovranno trovare risposte.
Sarà ancora possibile che un bene ritenuto di pubblica utilità a livello
mondiale possa essere brevettato, cioè che qualcuno possa detenerne il
monopolio creando un danno diretto a milioni di persone?
E ancora, l'oggetto (il farmaco) che rende possibile esercitare uno dei
diritti fondamentali può essere sottoposto a regole che ostacolano il
diritto di tutti... addirittura per vent'anni? Quale nuova forma
organizzativa si dovrà pensare per la ricerca e lo sviluppo di nuovi
prodotti farmaceutici, in modo tale che siano disponibili e immediatamente
accessibili a tutti coloro che ne hanno bisogno? Come riorientare
l'industria farmaceutica perché, invece di occuparsi esclusivamente di
espansione economica e profitto, punti a obiettivi compatibili con il
miglioramento della salute e della qualità della vita? In che modo la
società di domani garantirà la produzione, su scala mondiale, dei medicinali
essenziali? Visto che queste sono le domande a cui dovremo rispondere nei
prossimi dieci anni, il modo migliore di prepararsi è provare a formularle
subito con grande chiarezza.
Siamo di fronte a un problema particolarmente complesso, nel quale
intervengono attori, interessi e discorsi di natura e origini molto diverse,
e che esige un approccio integrale e multidisciplinare.
Va visto in un'ottica che permetta di conciliare la legalità internazionale
in vigore e i rispettivi ordini giuridici interni e che consenta di
associare l'esercizio del commercio al rispetto dei diritti umani.
Non ci sono risposte che siano nello stesso tempo immediate e durature.
In che modo evitare che, come per l'Aids, ogni passo avanti sembri destinato
più a recuperare il tempo perduto che ad avanzare?
Alcuni, come Mfs, ritengono che l'Organizzazione mondiale della sanità,
«essendo il solo organismo intergovernativo internazionale legalmente
incaricato di proteggere la salute nel mondo, (...) dovrebbe predisporre
un'agenda di priorità per ricerca e sviluppo» dei futuri medicinali (10).
Che vengano studiate dall'Oms o da un consorzio pubblico internazionale, le
priorità per la ricerca di nuovi medicinali dovranno essere fissate in
funzione di reali bisogni sanitari e non di scelte di mercato.
Come finanziare questa grande impresa? Oltre ai contributi e agli
investimenti che molti stati potranno fornire, il dottor James Orbinski -
che nel 1999 ha ricevuto, per Medici senza frontiere, il Premio Nobel per la
pace - ha lanciato l'idea di una tassa sulle vendite mondiali dell'industria
farmaceutica per finanziare un'istituzione pubblica che si faccia carico
della ricerca (11). Una via complementare potrebbe essere quella di
destinare una parte delle tasse nazionali sul tabacco a un fondo pubblico
internazionale, il che permetterebbe la partecipazione di alcuni paesi in
via di sviluppo, assicurando in questo modo anche la ricerca sulle malattie
tropicali.
Più che attaccare l'industria farmaceutica o puntare il dito sui suoi
oppositori, dobbiamo cercare di esplorare i bisogni e, perché no, inventare
per i farmaci nuove soluzioni che premettano continuità nei processi di
ricerca degli scienziati, di produzione degli industriali e di cura dei
pazienti. Restare inattivi o immersi in liti sterili ci porterà a crisi
ancora più gravi - se è possibile - dell'attuale pandemia di Aids. Crisi di
fronte alle quali non si potrà più protestare né sorpresa né ignoranza.



note:

* Coordinatore del Programma di azione per l'accesso ai medicinali dei paesi
in sviluppo in seno all'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a
Ginevra. Le opinioni espresse nell'articolo impegnano solo l'autore.

(1) Si legga John Sulston, «Il genoma umano salvato dalla speculazione», Le
Monde diplomatique/il manifesto, dicembre 2002.

(2) Stephen Heffler, Sheila Smith, Greg Won e al. «Health Spending
Projections for 2001 - 2011. The latest Outlook», Health Affairs, Bethesda,
marzo-aprile 2002, pp. 207-218.

(3) Il 19 aprile, il governo francese ha annunciato la diminuzione del tasso
di rimborso per 617 medicinali. Le Monde, 23 aprile 2003.

(4) «Eco-Santé Ocde 2002», Organizzazione di cooperazione e di sviluppo
economico, Parigi, 2003.

(5) Germán Velásquez e Pascale Boulet, «Mondialisation et accès aux
médicaments. Perspectives sur l'accord Adpic dell'Omc», Organizzazione
mondiale della sanità, Ginevra, 1999.

(6) Si legga Philippe Rivière, «Vivere a Soweto con l'Aids» Le Monde
diplomatique/il manifesto, settembre 2002.

(7) Si legga James Love, «I paesi ricchi boicottano l'accesso ai
medicinali», Le Monde diplomatique/il manifesto, marzo 2003.

(8) Cfr. uno studio richiesto dall'Oms a Cheri Grace, Ginevra 2003, in via
di pubblicazione.

(9) Antonio Gala, El Dueño de la herida, Edizione Planeta, Madrid, 2003.

(10) Medici senza frontiere, «Recherche médicale en panne pour les maladies
des plus pauvres», Ginevra, settembre 2001.

(11) Op. cit.