l'ultimo affare del disinquinamento



da clorofilla.it

lunedi 9 gennaio 2003



Sono cinquanta i siti inquinati che il ministero dell'Ambiente vuole
bonificare. Finora però si è solo fatta la perimetrazione. Oltre 5miliardi
di euro la spesa per lo Stato e molto di più per i privati. Ma gli
ambientalisti sono già sul piede di guerra...
Li chiamano brownfields, l'ultimo business del disinquinamento
di Alessio Iacona e Ulisse Spinnato Vega


Lo scenario in Italia
Roma - Mai più veleni nel piatto. Né sul territorio. E' da poco salito a 50
il numero delle aree inquinate italiane che il ministero dell'Ambiente ha
inserito nel piano di bonifica. Un progetto di "ripulitura ambientale" che
dovrebbe costare allo Stato oltre 5miliardi di euro, senza considerare le
spese dei privati. Una cifra che equivale a quasi un terzo di quello che
tutti gli europei, secondo Datamonitor, spenderanno nel 2006 per mangiare
biologico. Eco-business di fine millennio.

Non a caso c'è già chi sente puzza di bruciato in questa storia. «Credo che
il ministro Matteoli abbia preso queste iniziative in virtù degli affari che
si possono fare - dice il senatore Verde Sauro Turroni - questi decreti non
hanno altra matrice se non quella affaristica». Massimo Scalia, fisico
antinuclearista e fondatore del Movimento ecologista, non la pensa però
esattamente così: «Non resterei ingabbiato nel discorso pubblico-privato. E'
vero che le norme di interesse generale devono essere fatte dal pubblico, ma
poi la gestione può anche essere privata. Anzi in questo caso dovrebbe
esserlo, perché dovrebbero essere gli inquinatori a pagare. Putroppo non è
facile rintracciarli».

Le aree inquinate sono chiamate brownfields (letteralmente, campi marroni):
si tratta di comprensori devastati da scarichi industriali, dalla presenza
di residui di lavorazioni pericolose, da rifiuti smaltiti sia legalmente sia
illegalmente, da anni di attività di industrie ormai dismesse. Cinquanta
significa dieci in più di prima (1), ma anche migliaia in meno di quanti
dovrebbero realmente essere, come denuncia Legambiente nel suo dossier
"Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale". Se non altro, il
programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati
(Dm Ambiente 18 settembre 2001, n. 468), prende in considerazione i
brownfields a più alto rischio ambientale, a partire dal tristemente famoso
Porto Marghera. Ad oggi, però, le aree sono state soltanto "perimetrate": in
parole povere, ora sappiamo ufficialmente quali sono e quanto sono grandi,
nonché la loro individuazione precisa nello spazio, ma questo è solo l'
inizio.

La parte più complessa, e costosa, deve ancora venire e comprende la
"caratterizzazione" delle aree (l'analisi ambientale complessiva), nonché la
bonifica vera e propria. Un vero business, come insegna l'esperienza lungo
le rive del fiume Bormida: in quel caso, infatti, la sola caratterizzazione
del corso d'acqua inquinato dall'Acna di Cengio (Sv), è costata al
Commissario delegato ben 2 milioni di euro. E la "pulizia" vera e propria ne
costerà addirittura 180, un sesto dei quali finanziati dallo Stato. Il resto
graverà sulle tasche dell'azienda inquinante e quindi dell'Enichem, gruppo
petrolchimico al quale si deve una fetta consistente dei brownfields
italiani.

Capire che tipo di veleni ospita un sito inquinato, quali strategie e
tecniche di bonifica serve adottare per risanarlo, in che tempi sarà
possibile riqualificarlo, costa un occhio della testa. A tutti gli italiani.
Questo perché nel nostro Paese, diversamente da quanto succede per esempio
negli Stati Uniti, le spese vengono divise al 50 per cento tra azienda
inquinante e Stato. Oltreoceano invece, proprio nella nazione liberista per
eccellenza, le aziende che "sporcano" sono obbligate a pagare l'intera
operazione di bonifica. Non solo, ma è stato anche istituito, sempre con i
soldi dei privati, un Superfund per l'ambiente gestito dall'Epa, (l'Agenzia
per la protezione dell'ambiente), che in 15 anni ha permesso la bonifica
completa (nel 50% dei casi), o parziale dei brownfields "orfani", per i
quali cioè è stato impossibile perseguire i responsabili.



I numeri dei brownfields italiani
In Italia, come già detto, è un'altra storia. Secondo Legambiente, infatti,
i brownfields da bonificare non sarebbero meno di 15mila. Dal 1998, anno in
cui la legge 426 ha definito i primi 15 siti di interesse nazionale da
bonificare (tra cui Porto Marghera, Brindisi, il litorale domitio-flegreo
con le discariche dell'ecomafia campana, etc.), non molto è cambiato. E'
stato approvato il decreto ministeriale 471/99  e poi, a fine 2001, è stato
varato il Piano nazionale di bonifica che ha portato a 40 il numero dei siti
di interesse nazionale, stanziando per essi circa mille miliardi di lire.
Oggi, con gli ultimi decreti di perimetrazione, si aggiungono altri dieci
siti inquinati, ma non basta.

Ai già citati 50, che certo godono di priorità assoluta, vista la gravità
del deterioramento ambientale, se ne dovrebbero infatti aggiungere tra 5mila
e i 7mila dove sono presenti serbatoi di carburanti. Più circa 4.500 siti
nelle regioni del Nord e in Toscana (comprendenti discariche autorizzate,
siti industriali e sversamenti) a diversa priorità di intervento. Ci sono
poi le 2.500 discariche abusive nel centro-sud (il cui rischio reale è molto
variabile) e i siti potenzialmente inquinati dagli insediamenti industriali
e artigianali, tra mille e 2mila, sempre nel meridione. Senza dimenticare le
tante discariche utilizzate o autorizzate prima della metà degli anni '80
(prima dell'approvazione del Dpr 915/82, prima legge sui rifiuti in Italia).



Il giro d'affari
Per i 50 siti da bonificare con urgenza, lo stato italiano ha stanziato
circa 500milioni di euro. A questo denaro si sommano i fondi stanziati dalle
Regioni, dalle Province, dai Comuni e dall'Arpa (agenzia regionale
prevenzione e ambiente) e per interventi su altri siti inquinati pubblici o
senza più "padrone". In totale la spesa pubblica per la bonifica dei siti
inquinati dovrebbe arrivare a quasi 5miliardi e mezzo entro il 2005, pari a
11mila miliardi di lire di vecchie lire.

Poi c'è il finanziamento privato, divenuto obbligatorio in base al principio
del "chi inquina paga". Per quanto riguarda il costo degli interventi
limitato ai già citati 50 siti, dovrebbe aggirarsi intorno ad una cifra pari
a circa 5-6 volte il finanziamento pubblico, e quindi a oltre 3 miliardi di
euro. Inoltre, le spese dei privati per gli altri siti di loro competenza
possono essere stimate in una cifra che raggiunge i 5miliardi di euro, per
un totale di investimenti privati pari a circa 8 miliardi euro.
L'interesse alla bonifica da parte delle aziende risiede principalmente
nella possibilità che hanno di beneficiare dei siti "ripuliti" e del
plusvalore così generato. «Si può spingere la decontaminazione giusto fino
al livello compatibile con la destinazione dell'aria - spiega ancora Massimo
Scalia - Questo a volte è un metodo, non disprezzabile, per spendere un pò
meno».

Ricapitolando, la bonifica di 15 mila siti inquinati dovrebbe costare 13
miliardi di euro, 5 e mezzo dei quali finanziati dallo Stato. Un cifra che
secondo Legambiente difficilmente verrà realmente messa insieme e investita.



Dicono della bonifica...
Sauro Turroni, senatore dei Verdi:
Questo è uno dei temi più rilevanti che toccano il nostro Paese e c'è un
giro enorme d'affari. Credo che il ministro Matteoli abbia preso queste
iniziative in virtù degli affari che si possono fare. Questi decreti hanno
solo la matrice affaristica. Lui è contro l'ambiente. Non a caso si è deciso
di commissariare, dopo che quasi lo si voleva smantellare, l'Icram, che è
proprio l'istituto cui è demandato di stabilire come questi siti - per lo
più di interesse marino - vanno bonificati, l'ente cui spetta la funzione di
controllo. Toglierlo di mezzo dà proprio l'idea di quali siano gli intenti
di questo ministro.

Edo Ronchi, ex ministro dell'Ambiente e presidente dell'Issi:
Invece di proceder rapidamente vogliono cambiare il regolamento paralizzando
tutto. Adottano il modello della valutazione del rischio anziché il modello
tabellare, quindi non precisi parametri ma la stima sul rischio effettivo.
Con l'incertezza che c'è, il rischio è che la bonifica resti ferma.

Anna Pacilli, esponente dell'Esecutivo nazionale della Sinistra ecologista:
Si va verso una situazione che non dà certezze. Ci sono dei tempi lunghi
sull'approvazione della delega alle Camere, bisognerà poi scrivere i testi e
approntare i decreti attuativi. L'obiettivo del governo è quello della
discrezionalità, che viene accentuata dalle lacune normative. Questa delega
è stata tacciata di incostituzionalità per la vastità e l'indeterminatezza
degli scopi. Parlare di bonifiche in questa situazione è quantomeno
velleitario.
Altro aspetto è quello della centralizzazione. Già prima della presentazione
della delega, Matteoli aveva richiamato a sè gli esperti della Segreteria
tecnica con ordinanze d'emergenza. Adesso questa cosa diverrà legge e la
nuova Segreteria tecnica composta di 21 esperti sarà alle dirette dipendenze
del ministro. Prima invece, gli esperti lavoravano in stretto rapporto con
gli enti locali, agivano nell'ambito della Conferenza dei servizi. Il
ministro, dunque, si occuperà da solo degli interventi, con una grave
commistione, di fatto, della gestione politica e amministrativa.

Massimo Scalia, fisico antinuclearista e fondatore del Movimento ecologista:
Vorrei capire quanti sono i soldi a disposizione per fare il monitoraggio
dei siti e la caratterizzazione degli stessi per la contaminazione. O i
fondi sono stati moltiplicati o Matteoli non ha idea di quanto ha a
disposizione. Il problema non è la perimetrazione, ma tutte le costose e
complicate procedure che servono per la caratterizzazione di ogni sito dal
punto di vista delle sostanze inquinanti. Se prendiamo il caso dei siti per
le scorie nucleari, dobbiamo dire che spira aria prefettizia. Il
comportamento del duo Matteoli-Togni (Capogabinetto del ministero, ndr) è
alquanto grave. Si è proceduto infatti non come la Commissione rifiuti
indicava. Loro hanno risolto con un Opcm che commissaria tutti i siti
delegando Carlo Jean, presidente della Sogin, a curare tutta questa partita.
Vanno avanti a circolari, in modo prefettizio e ottocentesco. D'altro canto
queso modo di procedere apre la strada a progetti di holding dei rifiuti e
dell'ambiente, specializzate in rifiuti nucleari e bonifica ma pronte a
estendersi ovunque.





*****
(1) I 10 siti in cerca di bonifica indicati dai decreti sono
Brescia-Caffaro, che comprende le aree industriali dell'azienda chimica
sotto accusa per inquinamento da mercurio e Pcb e le discariche di rifiuti;
il sito Trieste, al cui interno sono incluse industrie siderurgiche,
raffinerie, centrali; le aree sulle lagune di Grado e Marano, inquinate da
scarichi industriali; l'area industriale del porto di Livorno; le aree
inquinate del basso bacino del fiume Chienti nelle Marche; il sito di
Sassuolo Scandiano interessato dall'industria delle ceramiche; il sito di
Falconara Marittima; l'area industriale della Val Basento; i fiumi Saline e
Alento in Abruzzo; il sito del Sulcis-Guspinese in Sardegna.
(lunedì 9 giugno 2003)