quale mercato?
- Subject: quale mercato?
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 13 May 2003 06:47:19 +0200
da fondazionedivittorio.it 6 maggio 2003 MARIO AMENDOLA *QUALE MERCATO 1. La convinzione che il mercato rappresenti la via maestra alla crescita e al benessere ha raggiunto in questi ultimi anni un tale grado di accettazione da apparire oggi quasi come una verità incontrovertibile. Il supporto ad una simile convinzione e’ offerto non solo dalla considerazione del progresso spettacolare realizzato nel secolo passato - pur se in modo più o meno pronunciato - dalle economie capitaliste più avanzate, ma anche da un apparato analitico che, partendo dal modello di equilibrio economico generale, e’ andato eliminando in modo inesorabile ogni visione alternativa a quella di un mercato inteso come concorrenza nella sua forma estrema. Così l’idea che alla fortissima crescita, al suo diffondersi ed agli eccezionali miglioramenti nella qualità della vita realizzati dal mondo occidentale possano aver concorso quel complesso di istituzioni e di politiche pubbliche che hanno operato in prevalenza in tale mondo, sbiadisce del tutto a fronte della rivendicazione delle virtù della concorrenza nella sua forma ritenuta più pura. Quasi che quelle istituzioni e quelle politiche, pur se impiantate solidamente in un’economia di mercato, invece che fattore positivo siano state in realtà ostacolo ad un ben più formidabile sviluppo. Questa visione ormai imperante, con il messaggio semplificato che da essa viene fatto discendere e le forti implicazioni di politica economica connesse, richiede un’adesione senza tentennamenti. Richiede in particolare che teorie e politiche elaborate nel tempo e fino ad ieri ritenute importanti passi avanti della conoscenza economica siano invece da cancellare come motivi di confusione e quindi ingombranti ostacoli al dispiegarsi delle virtù dell’unico e vero modello conoscitivo. I dettami fatti scaturire da tale modello, d’altro canto, sembrano ormai vivere una vita propria, distaccati dal corpo teorico e dal contesto analitico dal quale sono stati partoriti. * Università di Roma "La Sapienza"2 A chi non accetti l’idea che in economia esista un unico modello-verita’affermatosi come superiore, e pensi invece che diversi approcci analitici siano richiesti da problemi di diversa natura, rivalutando in tal modo la pluralità degli sviluppi del pensiero economico, si pone in primo luogo un problema di metodo. Il problema cioè – preliminare alla possibilità di enucleare un messaggio e quindi di trarre conclusioni operative da qualsivoglia schema teorico - della relazione fra le conclusioni stesse e le caratteristiche del modello da cui queste traggono, o pretendono di trarre, legittimazione. Questo al fine di comprendere l’ambito di validità del messaggio in parola e l’adeguatezza delle misure invocate. 2. Il messaggio trasmesso dalla visione del mercato imperante muove dalla considerazione degli impressionanti sviluppi recenti della tecnologia e dalla convinzione che tali sviluppi siano in grado di assicurare crescita e benessere all’umanità. Condizione perché ciò avvenga e’ l’esistenza di un’economia di mercato intesa come contesto che permetta il pieno operare della concorrenza, canale privilegiato di realizzazione degli sviluppi dalla tecnologia. Privatizzazioni, deregolamentazione di tutti mercati ed estrema flessibilità e’ quanto richiesto per dare forma all’economia invocata. Mantenimento di bilanci pubblici in equilibrio e lotta senza quartiere al minimo segno d’inflazione, con il fuoco su una politica monetaria centrata sul ruolo svolto dal saggio dell’interesse, sono i comportamenti virtuosi richiesti per accompagnare e permettere l’operare dell’economia così caratterizzata. Riforme strutturali ritenute necessarie al manifestarsi della flessibilità richiesta e smantellamento delle istituzioni e delle regole ritenute intralcio al gioco della concorrenza sono le misure prioritarie cui fare ricorso. Quale quadro teorico sta dietro a un simile ricettario? Per comprenderlo possiamo fare riferimento – in modo certamente schematico ma senza tradire l’essenza del discorso – ad un modello di equilibrio intertemporale che incorpora le caratteristiche essenziali delle versioni più recenti e più autorevoli del pensiero teorico dominante 3 Il riferimento fondamentale di tale modello e’ l’evoluzione delle variabilireali dell’economia quale determinata dalla risposta ottima data da agenti economici perfettamente razionali agli impulsi impressi dalla tecnologia. In particolare viene definito come ‘naturale’ il profilo temporale del prodotto che e’ possibile ottenere, a seguito di tali comportamenti, in presenza di perfetta flessibilità dei prezzi, inclusi naturalmente i salari. Le fluttuazioni del prodotto naturale, imputabili alla natura stocastica degli impulsi tecnologici, sono viste anch’ esse come manifestazioni caratteristiche della dinamica di equilibrio dell’economia. Così come un certo grado di inflazione, determinato dalla quantità di moneta in circolazione, è ritenuto compatibile con prezzi perfettamente flessibili. Ove tuttavia non esista da parte delle imprese la possibilità di adeguare continuamente i prezzi ed i salari in risposta agli shocks tecnologici, per la presenza di costi di aggiustamento o di imperfezioni di mercato e simili, si avrà una differenza fra prezzi correnti e prezzi ‘naturali’ (differenza definita come rigidità dei prezzi), una variabilità del tasso di inflazione ritenuta pregiudizievole ad un’efficiente allocazione delle risorse e, in conseguenza, la realizzazione di un prodotto effettivo minore del prodotto ‘naturale’. Ciò legittima l’uso di una politica monetaria volta a correggere sia la distorsione dei prezzi sia la distorsione di prodotto risultante da quest’ultima, e cioè volta a permettere la realizzazione del valore ‘naturale’ delle variabili reali. Tale politica consiste per la banca centrale nel seguire una regola in base alla quale il saggio dell’interesse risponde in modo stabilizzante all’apparire di disturbi di tipo inflazionistico, identificati appunto con il discostarsi dell’indice dei prezzi corrente da quello dei prezzi ‘naturali’ in presenza di rigidità. In particolare, la previsione di aumenti di produttività risultanti da shocks tecnologici positivi richiede un aumento del saggio dell’interesse oggi per rendere possibile – con la riallocazione temporale che questo implica – una maggiore domanda di beni di consumo domani, così da permettere a quella data di assorbire la maggiore capacità produttiva prevista e quindi la realizzazione dei livelli ‘naturali’ del prodotto. E ciò per surrogare il ruolo che le variazioni dei prezzi avrebbero svolto in assenza di rigidità. L’ottima politica 4 economica consiste quindi in un aumento (diminuzione) del saggiodell’interesse in relazione ad un aumento (diminuzione) della dinamica della produttività determinata dalla tecnologia. Ritroviamo in questo quadro tutti gli ingredienti della visione dell’economia di mercato dominante. La flessibilità da perseguire, l’inflazione da combattere in via prioritaria, il ruolo essenziale della politica monetaria ed il suo identificarsi con la leva del saggio dell’interesse. Il trasferimento dal modello al dettame concreto pone tuttavia dei problemi. Innanzi tutto un riferimento per lo meno improprio al concetto di flessibilità. La flessibilità definita nel contesto dei modelli di equilibrio e’ flessibilità dei prezzi in relazione al ruolo di segnale che questi svolgono nei modelli stessi. In questa ottica perfetta flessibilità vuol dire esistenza in qualunque momento di prezzi tali da generare una configurazione ottima dell’equilibrio (cui sono associati i valori ‘naturali’ delle variabili reali) e cioè prezzi che rispecchino i ‘fondamentali’ (tecnologia, preferenze) dell’economia. Questa definizione di perfetta flessibilità, per la quale i prezzi si trovano ad ogni istante al loro livello di equilibrio, ha un carattere tautologico, come sempre e’ il caso quando si configurano aggiustamenti istantanei. Un aggiustamento istantaneo non ha la caratteristica di un vero aggiustamento, che si attua attraverso un processo effettivo. Ma in un contesto di equilibrio la flessibilità dei prezzi rileva unicamente come uno degli elementi che permettono di definire un particolare stato di equilibrio: le forze che fanno sì che i prezzi siano quelli che sono non interessano. Come si vede si tratta di cosa diversa dalla flessibilità intesa come libertà di variazione dei prezzi in risposta agli squilibri esistenti ed al fine di attivare un processo di riassorbimento degli stessi squilibri invocata quale motivo delle riforme strutturali dei mercati richieste. Le proprietà di un processo di aggiustamento non possono essere semplicemente dedotte dal confronto fra due sentieri di equilibrio intertemporale, come avviene nel modello. Lo stesso riferimento improprio del messaggio al modello lo si ritrova per quanto riguarda l’inflazione e la politica monetaria. Nel modello, infatti, in 5 un’economia afflitta da rigidità dei prezzi l’inflazione - definita come divergenzafra prezzi correnti e prezzi naturali – è l’ostacolo principale alla realizzazione dei valori ‘naturali’ delle variabili reali. L’unica fonte di una simile inflazione è una politica monetaria non corretta, quale rappresentata da valori del saggio dell’interesse che rendano possibile il manifestarsi, o non permettano il riassorbimento, della divergenza menzionata. Qualora però si tenga presente che in un processo di aggiustamento ciò che effettivamente interessa è la comprensione della natura degli squilibri da correggere ci si può rendere conto che, pur mantenendo il fuoco sul saggio dell’interesse, l’interpretazione del ruolo di quest’ultimo può cambiare profondamente. In particolare, come si vedrà, ci si può rendere conto che nei processi di trasformazione dell’apparato produttivo richiesti dagli sviluppi della tecnologia le variazioni del saggio dell’interesse piu’ che a compensare eventuali rigidità dei prezzi, debbano essere viste in relazione ad altri obiettivi, quale ad esempio il problema dei vincoli di liquidità esistenti. 3. Quanto detto dovrebbe già rendere guardinghi riguardo alle virtù salvifiche di riforme e politiche proposte in base ad un simile quadro analitico. Il vero problema per quanto concerne l’interpretazione della natura e del ruolo del mercato, tuttavia, sta nella relazione fra tecnologia e crescita, da cui tale ruolo in ultima analisi dipende. Un problema dalla cui considerazione i modelli analitici dominanti essenzialmente prescindono basati come sono sull’idea, tipica degli schemi di equilibrio, che sia sufficiente soddisfare certe condizioni per avere automaticamente certi risultati. In particolare che, dati gli sviluppi della tecnologia, la semplice adozione delle tecniche produttive più avanzate permetta di ottenere gli aumenti di produttività a queste associati per definizione, e che la concorrenza, con il sistema di incentivi che essa comporta, rappresenti il contesto più favorevole a tale adozione. Ora, non può certo essere messo in dubbio che i progressi della tecnologia rappresentino un fattore essenziale di crescita, ma non e’ la tecnologia in se stessa, vale a dire il semplice fatto di scegliere di adottare certe tecniche produttive, ciò che determina la crescita. Non sono pochi gli 6 esempi di invenzioni ed innovazioni che avrebbero in teoria permessosostanziali aumenti di produttività e che si sono invece risolte in perdite di risorse ed impulsi negativi al funzionamento dell’economia. Il caso delle tecnologie dell’informazione ed in particolare degli investimenti nei settori collegati ad internet negli anni più recenti sono sotto gli occhi di tutti. La verità e’ che non esistono, né sono mai esistiti, risultati economici automatici di innovazioni scientifiche o tecniche. Perché dalla tecnologia si passi a rendimenti economici effettivi, e quindi alla crescita, occorre un processo di carattere economico, che e’ essenzialmente un processo di coordinamento. Il progresso economico consiste, infatti, nella comparsa di nuovi beni e servizi a seguito di qualche forma di innovazione (di tipo tecnico, organizzativo, di mercato….) Nuovi beni richiedono nuovi processi produttivi, quindi nuove attività che a loro volta richiedono nuovi tipi di interazione fra gli attori e le istituzioni esistenti o anche la comparsa di nuovi attori ed istituzioni. Tutto ciò avviene attraverso un processo che consiste in primo luogo nella costruzione/creazione di una nuova capacita’ produttiva e poi nel rendere questa operativa. Un tale processo può avere successo o meno e, in caso positivo, può avere sviluppi diversi in relazione all’operare di diversi meccanismi di coordinamento. Il ruolo del mercato, in una simile prospettiva consiste appunto nello svolgere l’attività di coordinamento richiesta per assicurare la fattibilità di un processo complesso e di natura sistemica, e non nel semplice fornire gli incentivi che dovrebbero assicurare l’adozione di date innovazioni tecnologiche, come avviene negli schemi analitici che da tale processo prescindono spostando l’attenzione sui risultati scontati di quest’ultimo. La prima conseguenza di questo cambio di prospettiva è che il coordinamento menzionato non è affatto privilegio di una forma specifica di mercato, in particolare la concorrenza indicata quale forma ideale. Accordi collusivi, oligopoli, concentrazioni di mercato, politiche discriminatorie di prezzi ed altre forme usualmente considerate come imperfezioni di mercato possono invece rappresentare meccanismi di coordinamento più efficaci ai fini della fattibilità di processi innovativi e dell’ottenimento di quei rendimenti che permettono un 7 effettivo accrescimento del benessere generale.Tutto dipende dall’avere chiaramente in mente quale e’ il vero problema che si ha di fronte. Cosi’ il ruolo svolto dai prezzi, e di conseguenza i regimi di prezzi consigliati, possono essere diversi qualora i prezzi stessi non siano più visti come segnali per effettuare una scelta cui e’ automaticamente associato un determinato stato dell’economia ma piuttosto come ingredienti di un meccanismo volto ad assicurare la fattibilità di un processo di costruzione di nuove opzioni produttive. 4. Vediamo pertanto quali sono i tratti essenziali del processo attraverso cui si genera crescita, ed in particolare, come si vedrà, occupazione. L’innovazione, pilastro essenziale della crescita, si realizza attraverso la creazione di nuova e diversa capacità produttiva ed implica quindi in primo luogo una modifica dell’operare dell’apparato produttivo da cui il funzionamento dell’economia essenzialmente dipende. Un cambiamento che riguardi tale operare implica pertanto rotture, distorsioni e quindi squilibri in ogni comparto dell’economia, ed in particolare sul mercato del lavoro. Il tentativo di eliminare tali squilibri, originanti dal lato della produzione, da’ luogo ad una serie di azioni e reazioni che hanno piuttosto l’effetto di nutrire e spesso amplificare squilibri successivi, determinando fluttuazioni erratiche di tutte le grandezze economiche rilevanti. Il problema essenziale consiste allora nel mantenere gli squilibri inevitabilmente associati ad un processo d’innovazione entro limiti tali da non porre in dubbio la fattibilità del processo stesso. La creazione di nuova capacità produttiva richiede investimenti, impiego di risorse produttive: essenzialmente risorse umane e risorse finanziarie che debbono soddisfare una certa relazione di complementarità. Accanto all’impiego ed alla gestione delle risorse, e complementare a questi, i regimi d’allocazione delle stesse risorse rappresentati dai sistemi di determinazione di prezzi e salari concorrono a determinare il funzionamento dei meccanismi di coordinamento richiesti. In particolare a questi regimi è demandato di evitare scosse troppo violente, spostamenti di reddito e di domanda troppo marcati a 8 seguito degli squilibri originariamente indotti dalle distorsioni della capacitàproduttiva conseguenti ad uno shock tecnologico. In quest’ottica una certa vischiosità di prezzi e salari è un modo per frenare processi cumulativi che potrebbero dar luogo a forti instabilità piuttosto che motivo essa stessa di distorsioni, come nell’analisi dominante. La flessibilità non è un dogma; le rigidità cui viene attribuito un intrinseco carattere negativo possono invece svolgere un ruolo positivo qualora si abbia chiaro in mente qual è il problema da affrontare. Quanto ora detto dovrebbe aiutarci a porre in una luce adeguata le ricorrenti affermazioni della necessità di procedere a riforme strutturali del mercato del lavoro per eliminare le rigidità esistenti ed in tal modo favorire l’occupazione. Se infatti l’occupazione è, come certamente è, una componente della capacità produttiva, il problema che essa comporta non può essere di ricondurre in equilibrio la domanda e l’offerta sul mercato del lavoro esistente facendo ricorso ad incentivi rappresentati da particolari normative (quale, ad esempio, la piena liberta’ di assumere e licenziare) o regimi salariali. L’implicazione di una simile visione è che i posti di lavoro ci siano, ma non sono bene allocati. Il problema in economie sottoposte a continui cambiamenti dimodo di operare è invece quello di creare posti di lavoro (al posto di quelliscomparsi insieme ad apparati produttivi obsoleti) costruendo nuova capacità produttiva di cui l’occupazione è un aspetto al pari di macchine, attrezzature, organizzazione, quadro di relazioni e così via. Si crea occupazione rendendo fattibili processi di ristrutturazione produttiva che richiedono sì in primo luogo investimenti ma anche meccanismi di coordinamento adeguati. I processi in questione sono attività complesse, di tipo sistemico, che coinvolgono imprese, organizzazioni, istituzioni, politiche, ed in cui i singoli mercati non possono essere isolati l’uno dall’altro. Quanto avviene sul mercato del lavoro – forme istituzionali e regimi salariali – è solo uno degli elementi determinanti l’occupazione, risultato in realtà del modo di evolvere dell’intero processo in atto. Ed in questa luce, come si è appena visto, le rigidità invece di essere un ostacolo alla creazione di occupazione possono rappresentare un fattore di stabilità e quindi aiutare la fattibilità di un processo di cui l’occupazione è la 9 risultante.Un’ultima breve considerazione infine per quanto riguarda la politica monetaria, da porre sempre in relazione alla natura del problema da affrontare. Nell’analisi di un processo caratterizzato da problemi di aggiustamento dell’apparato produttivo, l’investimento, e le risorse finanziarie che ne sono alla fonte, sono al centro dell’attenzione. Il compito essenziale della politica monetaria consiste quindi nel rimuovere i vincoli finanziari che possano rappresentare un ostacolo all’effettuazione degli investimenti necessari, contribuendo cosi’ ad evitare distorsioni della capacità produttiva tali da risultare in eccessivi squilibri di mercato. Un problema complesso, questo, che certamente richiede un capitolo a parte. E’ il caso tuttavia di soffermarsi ancora un momento, in tono con il tema fin qui svolto, sul ruolo attribuito al saggio dell’interesse visto come strumento essenziale della politica monetaria. Tale ruolo, quando il problema è la fattibilità di un processo di aggiustamento piuttosto che il confronto fra due sentieri di equilibrio intertemporale associati a diversi regimi di prezzi, non consiste più nel compensare eventuali rigidità di tali prezzi per potersi posizionare sul sentiero’naturale’, bensì, come si e’ appena sottolineato, nell’allentare i vincoli finanziari che possano intralciare il processo menzionato. In tale ottica si può dimostrare, ma è intuitivamente ovvio, che una politica monetaria accomodante rappresentata da una diminuzione del saggio dell’interesse, ancorché accompagnata temporaneamente da un certo grado di inflazione, e’ la più adatta alla realizzazione degli aumenti di produttività resi possibili dagli sviluppi della tecnologia ed al conseguente riassorbimento della disoccupazione indotta da tali sviluppi. Una conclusione opposta quindi a quella formulata nel diverso contesto analitico prospettato dal modello teorico dominante, dove si indica invece in un aumento del saggio dell’interesse la politica monetaria ottima volta ad eliminare le pressioni inflazionistiche ed in tal modo realizzare il livello ‘naturale’ del prodotto. Se il mercato è indubbiamente un essenziale meccanismo di coordinamento dell’attività economica e quindi fattore fondamentale di sviluppo, i compiti che gli sono attribuiti e le vie per realizzarli non possono 10 essere definiti una volta per tutte in base ad una visione data dell’economia edei suoi problemi, ma individuati volta a volta in base alla natura dei fenomeni economici da affrontare e risolvere. |
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