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in arrivo una nanorivoluzione
- Subject: in arrivo una nanorivoluzione
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 21 Feb 2003 06:41:45 +0100
dal sole24ore Martedì 18 Febbraio 2003 È in arrivo una grande nanorivoluzione DAL NOSTRO INVIATO PALO ALTO - Allacciatevi le cinture, si parte. Il viaggio verso i confini più remoti della natura, non nelle insondabili infinità dello spazio, ma nelle più prossime e invisibili dimensioni della materia, è cominciato. Le parole del premio Nobel Richard Feynman - «C'è un sacco di spazio verso il basso», titolo letterale di un suo celebre discorso tenuto al Caltech nel 1959 - non risuonano più come le bizzarre profezie di un genio della fisica moderna. Si stima che l'anno scorso siano stati investiti nel mondo, nella sola ricerca nanotecnologica, 2,5 miliardi di dollari, con una crescita prevista per quest'anno nell'ordine del 20%. All'ufficio brevetti americano ci vogliono ormai 18 mesi (il triplo del normale ) per ottenere risposta a una domanda di registrazione: le richieste sono troppe e gli esaminatori specializzati scarseggiano. Rivoluzione «nano». Nelle Borse Usa ci sono già nove aziende quotate con il suffisso "nano" nel nome, anche se il sito Nanoinvestornews.com elenca oltre 500 società di tutto il mondo - celebri come Motorola e Siemens, oppure emerite sconosciute - che stanno riversando risorse e attenzioni nella ricerca, giù per i confini del nanomondo. Un mondo che comincia, secondo una convenzione largamente accettata, sotto i 100 nanometri. Ovvero sotto i 100 miliardesimi di metro, a una distanza dove la frequenza della luce visibile - al contrario di quanto avviene con le stelle - non arriva a illuminare il cammino degli esseri umani: coi microscopi si può vedere il micromondo, non il nanomondo. «Non mi aspetto che la nanotecnologia si evolva in un'industria a se stante - commenta Ed Niehaus, della società di consulenza Niehaus Ryan Wong - ma in nuovo ingrediente, un nuovo approccio destinato a rivoluzionare l'elettronica, la medicina e, gradualmente, un po' tutti i settori industriali». Molto gradualmente, però. Le migliori promesse del nanomondo gravitano attorno a delle idee, come quelle della manifattura molecolate preconizzata da Feynman e teorizzata più avanti dal collega Eric Drexler, che non richiedono una sola scoperta scientifica, ma decine. Forse centinaia. «Le aziende del settore - osserva ancora Niehaus - possono essere divise in tre categorie: quelle che hanno già i primi prodotti sul mercato, quelle che sperano di avere un fatturato nel giro di qualche anno e infine quelle che perseguono sentieri scientifici totalmente inesplorati e che potrebbero non incassare mai un solo dollaro». Moda recente. Che la nanotecnologia sia (o stia per diventare) una moda, è testimoniato dall'ultimo libro di Michael Crichton, Preda, dove - secondo il collaudato schema di Jurassic Park - si narra di un nanorobot volante fuggito da un laboratorio di ricerca e poi moltiplicatosi in uno sciame di invisibili insetti meccanici che semina il terrore dove passa. «È vero - ammette Bo Varga, presidente di Nanosig, un istituto per la promozione della nuova scienza ospitato presso i laboratori della Nasa nella Silicon Valley - che il nanotech sta diventando una moda, tutti ne parlano. Ma non è neppure fantascienza: un gran numero di prodotti fabbricati su nanoscala è già arrivato o sta per arrivare». Gli esempi. Varga snocciola un po' di esempi. Forse è un po' troppo peculiare quello della Estée Lauder, il colosso della cosmetica che già da tempo ha sviluppato una tecnologia a colpi di laser e scosse elettriche per creare delle cavità nanometriche in alcuni prodotti, al fine di aumentarne le proprietà. Ma più concretamente la Nanotex sta fabbricando tessuti che, con un particolare trattamento, sviluppano delle "nanomolle" che respingono le molecole di qualsiasi liquido: in poche parole, quei tessuti (attualmente adottati nelle sale operatorie) non si sporcano mai. E intanto General Motors ha già montato su alcuni modelli sportivi dei componenti costruiti con nanomateriali che risultano più duraturi e più resistenti. «A conti fatti - osserva Steve Crosby, direttore di «Small Times», una pubblicazione dedicata al mondo del piccolissimo - le applicazioni sul mercato riguardano tutte la scienza dei nuovi materiali». Il che è vero, anche se il futuro prossimo dei nanomateriali è già abbastanza interessante. «La Nanosys - racconta Varga - si è alleata con la giapponese Matsushita per sviluppare una sorta di nanovernice che, spalmata sui tetti, sarebbe in grado di convertire l'energia solare in elettricità, con straordinaria efficienza». Pare che ci vorranno almeno altri cinque anni per concretizzare il progetto, ma le due aziende devono fare presto: al Mit e a Berkeley stanno già sperimentando nanotecnologie capaci di ottenere alti livelli di conversione energetica. «Più vicina alla commercializzazione è invece la Optiva - racconta ancora Varga - che ha trovato un nuovo nanosistema per produrre gli strati polarizzati degli schermi a cristalli liquidi con costi ridicoli: se si pensa che gli attuali strumenti di polarizzazione rappresentano il 40% del costo di un computer portatile, si può capire il potenziale successo di questa tecnologia». «Le occasione di investimento abbondano - ammette Pierluigi Zappacosta, l'italiano che ha fondato la Logitech e che è rimasto in California a fare il business angel in privato - i rischi sono elevati, ma le potenzialità di queste future tecnologie sono inimmaginabili». Anche i prefissi "nano" abbondano. Ed è assai facile che si moltiplichino come i nanorobot immaginati da Crichton (che entro un paio di anni saranno protagonisti, manco a dirlo, di un nuovo film). Ci sono i nanoswitch della Niophotonics (destinati ad aumentare la capacità di trasmissione dati), i nanocircuiti elettronici (che il Parc di Palo Alto spera di poter spalmare sulla carta o sui tessuti), o le nanomacchine basate su proteine progettate dall'università del New Jersey per applicazioni spaziali. Per non parlare dei nanotubi di carbonio, caratterizzati da grande resistenza e da peculiari capacità elettriche, ormai prodotti da almeno una trentina di società di tutto il mondo. «Talmente tante - osserva Niehaus - che i prezzi di produzione precipiteranno e molte saranno costrette a chiudere». La concorrenza incalza. Se gli Stati Uniti (anche grazie ai fondi stanziati dal Congresso ai tempi di Clinton) restano in prima linea, l'Unione Europea non sta a guardare. Ma soprattutto non stanno a guardare giapponesi e cinesi. Al punto che la comunità della Silicon Valley, sempre orgogliosa del primato tecnologico che ha goduto negli ultimi vent'anni, comincia a temere per la propria reputazione. Non basta che la Intel sia pronta a commercializzare quest'anno il primo chip da 90 nanometri, o che la Hp abbia annunciato lo sviluppo delle prime nanomemorie di massa. «I soldi e le iniziative non mancano - dice Varga - ma questa nuova corsa all'oro su scala globale rischia di creare un difficile clima di concorrenza: per assoldare un chimico da queste parti ci vogliono 120mila dollari all'anno. In Cina (dove vengono già investiti in ricerca 250 milioni di dollari in ricerca) ne bastano 6mila». Per parlare di nanotecnologia non bisogna soltanto misurare il mondo in miliardesimi di metro, ma - secondo una definizione recentemente coniata dalla Ibm - c'è bisogno anche di innovazioni che rompano radicalmente con le visioni e le concezioni del passato. «Sulla definizione c'è un dibattito in corso - ammette Varga - ma tutte le tecnologie a cui ho accennato hanno una caratteristica in comune: una volta spesati gli alti costi di ricerca, il costo unitario di produzione è basso, anche quando la produzione è su volumi ridotti. Sotto quest'ottica, il mondo fisico si avvicina fatalmente a quello digitale, dove la replica di un file ha costi marginali vicini allo zero». Il futuro deve ancora arrivare. Ma forse forse, è già cominciato. MARCO MAGRINI
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