[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
la terra vista da occidente
- Subject: la terra vista da occidente
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 20 Feb 2003 06:57:49 +0100
il manifesto - 14 Febbraio 2003 La terra piatta vista da Occidente Un saggio dell'economista francese Serge Latouche sulla crisi di un modello culturale e economico che voleva disegnare il mondo a sua immagine e somiglianza Uniformità culturale, cancellazione delle economie locali e distruzione delle risorse naturali. Questi i tratti distintivi de «La fine del sogno occidentale» MAURO TROTTA L'aspetto più evidente della globalizzazione è senza dubbio quello relativo alla sfera economica: prevalenza di colossi imprenditoriali transnazionali, finanziarizzazione dell'economia, mercificazione senza limiti, fattori che investono ambiti fino ad oggi considerati estranei al mercato. E poi, ancora, flessibilizzazione del lavoro, libera circolazione di capitali e merci, sfruttamento intensivo delle risorse naturali. La globalizzazione, però, non attiene semplicemente all'area economica, ma risulta strettamente connessa sia allo sviluppo tecnoscientifico, sia alla sfera culturale. Da un lato, infatti, è stato proprio l'irrompere sulla scena delle nuove tecnologie informatiche a rendere possibile, ad esempio, la creazione di un mercato finanziario globalizzato. Dall'altro, l'economia globalizzata richiede non soltanto stilemi culturali condivisi da un capo all'altro del pianeta - si pensi, ad esempio, alla necessità di conoscere anche superficialmente la lingua inglese per poter utilizzare un pc - ma necessita anche che vengano uniformati stili di vita, desideri, bisogni, mentalità. Ed è proprio l'uniformazione economica, tecnologica e culturale il carattere fondamentale dei processi di mondializzazione. Un'uniformazione declinata sotto il segno dell'universalismo occidentale - incarnato oggi principalmente dall'american way of life - e che mira ad edificare una società completamente razionale, senza «buchi neri» o altri spazi sottratti alla ragione. All'ombra della standardizzazione, infatti, tutto diventa misurabile e valutabile e si suppone possa essere controllato e governato. Sono queste le premesse da cui parte La fine del sogno occidentale. Saggio sull'americanizzazione del mondo (Elèuthera, pp. 178, ? 13), di Serge Latouche, l'economista francese già conosciuto dal pubblico italiano per i suoi precedenti studi, come I naufraghi dello sviluppo e La megamacchina, pubblicati entrambi da Bollati Boringhieri. Il presente volume è un saggio breve, ma denso, che indaga nuovamente quel sogno di dominio occidentale, quell'utopia modernista trasformatasi ormai in incubo per larga parte del pianeta. Un progetto antico che, secondo l'economista francese, affonda le proprie radici nell'alba della modernità e che ha sempre trovato impulso sfruttando concetti come «progresso» o «sviluppo», portando inesorabilmente alla distruzione di popoli, culture, forme di vita, di tutto quanto, insomma, potesse opporsi. Oggi, al di là dei venti di guerra che risuonano sempre più violenti, le strategie appaiono sensibilmente diverse, più soft da quelle attuate ai tempi dell'imperialismo classico. E agli eserciti coloniali si è soliti preferire la strategia del dono. Una strategia insidiosa da cui è quasi impossibile difendersi. Come si fa a rifiutare il cibo, la medicina che salva la vita o l'oggetto che dà prestigio? Così, donando, l'Occidente destruttura culturalmente le società con cui entra in contatto. Chi dona, infatti, acquisisce non soltanto prestigio, ma un credito inestinguibile. Del resto ogni dono può celare un fondo di maleficio. Forse non è casuale che la stessa parola, gift, che in inglese indica il dono, in tedesco significa veleno. E il dono avvelenato, secondo Latouche, è la vera arma usata dall'Occidente per distruggere le altre culture: «il neocolonialismo, con l'assistenza tecnica e il dono umanitario, ha fatto senza dubbio molto di più per la deculturazione che non la brutale colonizzazione». Ancora: «la favolosa società di Bali? È stata più destrutturata da trent'anni di turismo internazionale che da duecento anni di colonizzazione olandese». Per Lathouce, dunque, l'americanizzazione del mondo crea soltanto macerie e distruzione, perseguendo, al tempo stesso, la «deculturazione» delle altre società, lo sradicamento della loro identità culturale e l'annullamento delle radici che donavano senso all'esistenza. Ma qual è il fine ultimo di questo immane processo? Per poter rispondere occorre interrogarsi sulla natura profonda dell'Occidente, riuscire a definire l'artefice dei processi di uniformazione in atto. Insomma bisogna chiedersi cosa sia oggi l'Occidente. La risposta di Latouche a questo quesito è complessa ed articolata ed affronta aspetti storici, economici, sociali e culturali. In sintesi si può affermare che per secoli l'Occidente è esistito in sé e per sé. Aveva una missione civilizzatrice e si caratterizzava come cristianità e, al tempo stesso, come Europa dei Lumi. Rapine e saccheggi connessi erano, al limite, viste come eccessi, ma non veniva mai messa in questione l'espansione in quanto tale, identificata con la marcia trionfale della Storia. Poi si è insinuato il dubbio e questa fede è stata incrinata. E con il crollo degli imperi coloniali la situazione è completamente mutata. La decolonizzazione, con la fine della supremazia dei bianchi, non ha portato alla morte della civiltà occidentale: ha mandato in frantumi l'Occidente per sé, conservando integro l'Occidente in sé. In questo modo la civiltà occidentale ha cominciato a non esistere di fronte a se stessa, ma soltanto di fronte agli altri. Infatti l'Occidente non è più l'Europa, né dal punto di vista geografico né da quello storico. E non è neanche un insieme di credenze condivise. Appare piuttosto come «un'enorme macchina impersonale, senza anima e ormai senza padrone, che ha messo l'umanità al suo servizio». Una megamacchina tecnoeconomica volta soltanto al proprio sviluppo, alla sua autoaffermazione che, senza alcuna possibilità di controllo umano, prosegue la sua folle opera di sradicamento a livello planetario, strappando le persone dai loro luoghi d'origine e scagliandole all'interno di zone uniformemente urbanizzate, senza però integrarle all'interno dei processi di industrializzazione, burocratizzazione e tecnicizzazione che essa persegue. La macchina così genera differenziazione e distrugge il tessuto sociale. Al di là degli effetti concreti e visibili del suo agire che mettono in discussione la stessa sopravvivenza dell'uomo e del pianeta, è proprio questa frantumazione della società che annuncia il fallimento del sogno occidentale: frena seriamente, infatti, ogni possibilità reale di universalizzare qualsiasi modello. Non solo, la disgregazione ha investito anche lo Stato-nazione, cioè quella forma di patto sociale in cui si è sviluppata la modernità. Se il rullo compressore dell'americanizzazione sembra livellare e schiacciare tutto, in realtà esistono ancora resistenze e opposizioni: i dislivelli spesso si sono solo infossati e possono riemergere sotto nuove forme. Gli esclusi dai benefici della modernizzazione, per sopravvivere, sono costretti a inventarsi nuove soluzioni. Questi progetti alternativi possono anche assumere caratteri mostruosi oppure essere fagocitati e riciclati dall'Occidente, ma ce ne possono essere alcuni in grado di contribuire a bloccare la macchina e rappresentare l'inizio di un mondo dove al sogno universalista si sostuisca un pluriuniversalismo relativo, una vera «democrazia delle culture», all'interno della quale tutte abbiano la propria legittimità e il proprio posto. A questo proposito, Latouche cita esplicitamente le «reti neoclaniche», basate su forme forti di solidarietà tra poveri e lo sviluppo di un'economia informale fondata sull'autoproduzione e l'autoconsumo. Sviluppatesi soprattutto in Africa, ma presenti anche in Oceania e in America Latina, queste strutture socio-economiche recuperano in modo originale aspetti della tradizione - come la socialità della famiglia allargata, del clan o l'abilità artigianale - declinandoli in modi nuovi e originali, creando reti di mutua assistenza, ad esempio, o sviluppando tecniche efficaci di riutilizzo degli scarti della modernità. Naturalmente, afferma l'economista francese, la lotta di resistenza nei confronti della megamacchina senza volto, i cui rappresentanti si chiamano Fmi, Banca mondiale, Wto, Forum di Davos, non può investire soltanto gli emarginati e gli sconfitti, ma è un compito che spetta a tutti, in particolare alle nuove generazioni. Occorre creare contropoteri diffusi, stabilire regole nuove, trovare anche compromessi. In questo, un ruolo di primo piano spetta all'Europa, che potrà trasformarsi in «un'Europa sociale e basata su una vera cittadinanza» soltanto grazie all'azione di «forze vive e potenti movimenti». Testo complesso, ma ricco di spunti ed estremamente interessante, La fine del sogno occidentale privilegia forse in maniera eccessiva l'approccio culturale ad altre possibili prospettive di indagine. Tutto viene ricondotto a problematiche culturali: i processi di uniformazione, le resistenze, le strategie di dominio. È vero che Latouche in pratica definisce la cultura come «la risposta dei gruppi umani al problema dell'esistenza», ne dà quindi un'accezione in qualche modo materialista e molto estesa, per cui quasi tutto, e in particolare l'economia, rientrerebbe al suo interno. Questo, però, non evita che in alcuni passaggi il discorso rimanga troppo astratto, rifugiandosi in uno stile apodittico ed asseverativo. Inoltre, ma questo non è certo imputabile a questo libro, sarebbe interessante comprendere come lo studioso francese valuti l'attuale situazione internazionale, dove la minaccia della guerra contro l'Iraq è motivata anche dalla difesa della civiltà occidentale. C'è da dire, infine, che il titolo originale, La planète uniforme, sembra aderire meglio a un libro in gran parte incentrato sulla disamina dei processi di uniformazione planetaria di quello, senza dubbio di maggior impatto, scelto per la versione italiana.
- Prev by Date: [comunicati_lilliput] FORUM ALTERNATIVO MONDIALE DELL'ACQUA, INVITO ALLA CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE - FIRENZE 21 FEBBRAIO ORE 10.00
- Next by Date: Mi domando e domando quale deve essere il grado di autosostenibilità economica ed etica di un'economia solidale
- Previous by thread: [comunicati_lilliput] FORUM ALTERNATIVO MONDIALE DELL'ACQUA, INVITO ALLA CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE - FIRENZE 21 FEBBRAIO ORE 10.00
- Next by thread: Mi domando e domando quale deve essere il grado di autosostenibilità economica ed etica di un'economia solidale
- Indice: