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tasse bush e gli usa
- Subject: tasse bush e gli usa
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 11 Jan 2003 06:41:28 +0100
Da l'Unità del 09.01.2003 Tasse, così Bush frantuma l'America di Robert Reich, ministro del Lavoro durante la presi Il presidente Bush dice che il suo è un piano per «l’occupazione e la crescita»: in realtà non riguarda né l’uno né l’altro. La recente proposta di tagli alle tasse non creerà occupazione e non farà crescere l’economia. Raggiungerà solamente l’obiettivo della sua precedente manovra: far diventare i ricchi ancora più ricchi. Allo stato attuale il problema dell’economia americana è l’eccesso di capacità rispetto alla domanda. Troppe fabbriche sono inutilizzate, troppi macchinari non vengono usati, troppe persone sono senza lavoro. Il Paese incontra difficoltà a uscire dalla recessione perché non ci sono abbastanza compratori per tutti i beni e i servizi che l’economia americana è in grado di produrre. Ma c’è anche un problema di lungo periodo e si tratta di un problema tanto sociale quanto economico: ci stiamo spaccando in tre società separate. In cima una classe regale con più ricchezza e reddito di quanto non abbia mai avuto una qualsiasi aristocrazia. Ed ora stanno anche ricevendo la più grossa fetta di reddito americano degli ultimi 60 anni. In mezzo una grande classe ansiosa che se la passa appena meglio di una decina di anni fa, ma che ancora fatica a far quadrare il bilancio. Alla base della piramide una grande sotto-classe il cui reddito e la cui scarsa ricchezza sono andati declinando negli anni 80 e fino alla metà degli anni 90 per poi avere una ripresa sul finire degli anni 90 quando il tasso nazionale di disoccupazione era sceso al 4% e gli imprenditori dovevano faticare per trovare manodopera. Ora che il tasso ufficiale di disoccupazione è tornato al 6%, la sotto-classe sta battendo nuovamente in ritirata. Il problema a breve termine è strettamente connesso a quello a lungo termine. Per anni la produttività americana è andata aumentando secondo un ritmo più che soddisfacente. Le tecnologie informatiche e Internet hanno incredibilmente accresciuto la nostra capacità di produrre più beni e servizi. Questa è una delle ragioni principali per cui negli anni 90 l'economia è riuscita a crescere senza accendere l'inflazione. Ad Alan Greenspan va dato credito per aver riconosciuto questa realtà quando ha consentito il decremento dei tassi a breve e la diminuzione della disoccupazione. Malgrado la «irrazionale esuberanza» che ha causato l'aumento del valore delle azioni sul finire degli anni 90 e il loro tonfo tra il 2000 e oggi, prosegue la rivoluzione della produttività. È questa la ragione della straordinaria nuova capacità delle nostre imprese. Ma qui sta il problema. Tutti i beni e i servizi che oggi possono essere prodotti debbono essere acquistati da qualcuno. I singoli consumatori acquistano i due terzi di tutto quanto viene venduto nel paese. E a causa della rivoluzione della produttività, molti articoli possono essere prodotti a costi più bassi. Ma pur essendo più economici i consumatori, la cui busta paga è praticamente ferma a qualche anno fa, non possono permettersi di comprarli tutti. Le sole persone il cui reddito è aumentato in maniera vertiginosa sono quelle che si trovano in cima alla piramide. Costoro spendono somme principesche per vacanze esotiche, per lussuose ville negli Hamptons e per pullover di cashmere. Ma ciò nonostante spendono solo una percentuale del denaro che hanno. La classe media ansiosa e molto più numerosa non ha molto reddito disponibile dopo aver pagato le bollette, fatto la spesa e pagato l'affitto. La sotto-classe non ha praticamente reddito disponibile. La recessione appena terminata è stata relativamente mite in quanto la maggior parte dei consumatori della classe ansiosa e della sotto-classe hanno continuato a spendere a dispetto della fragilità delle loro finanze. Ma per farlo hanno dovuto indebitarsi ulteriormente e lavorare ancora di più. Ora sono preoccupati per la precarietà del posto di lavoro, per i risparmi per la pensione che vanno scemando e per la guerra. Sembra proprio che la baldoria sia finita. La fiducia dei consumatori è diminuita in sei degli ultimi sette mesi. La stagione natalizia è stata un fiasco per il commercio. Da dove dovrebbe arrivare la domanda per tutti i beni e servizi che gli Usa possono produrre? Gli stranieri non vogliono e non possono comprare quello che rimane sul mercato. La seconda economia del mondo per ordine di grandezza, il Giappone, è a terra; la terza, la Germania, sta scivolando nella recessione. Gran parte del resto del mondo non è certo in condizioni tali da acquistare le eccedenze produttive americane. Ed ecco arrivare il tanto vantato piano economico di Bush. Il piano sostanzialmente si limita a ridurre le tasse alla classe reale. La maggior parte delle azioni sono in mano a questi privilegiati, ragione per cui riducendo le imposte sui dividendi azionari si fa loro un ulteriore regalo. Secondo l'IRS, oltre il 60% del valore totale dei dividendi pagati ai singoli nel 1999 è andato nelle tasche del 10% dei contribuenti che si trovano in cima alla piramide. La classe reale trae anche enormi vantaggi dall'accelerazione dei tagli alle imposte sul reddito attuati nel 2001 in quanto gran parte dei benefici originariamente previsti per dopo il 2004 sono andati a favore dei contribuenti a più alto reddito. E sono poi quegli stessi contribuenti cui vanno quasi tutti i benefici della permanente abrogazione dell'imposta sui patrimoni immobiliari che riguarda gli immobili di valore superiore al milione di dollari. Ma i membri della classe reale spendono solo quanto vogliono spendere. Nessun regalo nei loro ben forniti portafogli può indurli a spendere molto di più. Non è un piano per «l'occupazione e la crescita». È un piano per premiare i ricchi in un momento in cui l'economia ha bisogno di maggiori consumi da parte delle persone che dispongono di mezzi modesti. Inoltre la manovra non fa altro che concentrare ulteriormente la ricchezza e il potere in un momento in cui ricchezza e potere sono già nelle mani di un numero sempre più ristretto di persone. Robert Reich è stato ministro del Lavoro durante la presidenza Clinton dal 1993 al 1997, oggi è professore di politica economica e sociale alla Brandeis University.
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