malattie rare: offerta speciale



     
 
il manifesto - 03 Dicembre 2002 
 
Malattie rare in offerta speciale 
Ansia generica o sociale, disordine da stress post traumatico, shopping
compulsivo: le multinazionali del farmaco inventano nuove sindromi per
vecchie medicine. Un sistema geniale per fare affari. E negli Stati uniti
legioni di psichiatri televisivi sono già al lavoro: arrendetevi, siete
tutti ammalati
MARCO D'ERAMO
Le case farmaceutiche hanno trovato l'arma finale: invece di vantare i
benefici dei propri farmaci, propagandano le malattie che dovrebbero
curare. Prendi l'epidemia che colpì gli Stati uniti nella primavera 2001.
Come ha raccontato Mother Jones in un interessantissimo articolo, le tv
locali cominciano a riferire che ben 10 milioni di americani soffrono di
una malattia sconosciuta. «Si avvertivano i telespettatori di badare a
questi sintomi: irrequietezza, stanchezza, irritabilità, tensione
muscolare, nausea, diarrea, sudorazione. In molti di questi programmi
interveniva il dottor Jack Gorman, stimato psichiatra della Columbia
University. I testimonial erano alternati con scene serene di una donna che
giocava con un passerotto e un'altra che ingeriva pillole. La malattia in
questione era il `disordine di ansietà generalizzata' (Gad), una condizione
che secondo i rapporti lascia chi ne soffre paralizzato da paure
irrazionali». I programmi non citavano nessuna medicina particolare per
questa nuova sindrome. Ma, guarda caso, proprio il 16 aprile 2001 l'ente
che sovrintende all'introduzione di nuovi farmaci, la Us Food and Drug
Administration (Fda), aveva certificato l'antidepressivo Paxil, prodotto
dal gigante farmaceutico inglese GlaxoSmithKline (Gsk), per il trattamento
anche dell'ansietà generalizzata. Allora non ci stupisce più che lo stimato
psichiatra Jack Gorman sia stato per anni sui libri paga della Gsk come
consulente. C'è di più: quel 16 aprile, un gruppo di pazienti chiamato
Freedom From Fear («Libertà dalla paura») diffuse un sondaggio telefonico
secondo cui «le persone malate di Gad passano circa 40 ore a settimana - un
lavoro a tempo pieno - a preoccuparsi. Il rapporto non citava né il Paxil,
né la Gsk, ma il numero di telefono che indicava era quello della ditta di
relazioni pubbliche della casa farmaceutica, la Cohn & Wolfe.

La genialità della trovata consiste nel fatto che è lo stesso consumatore a
chiedersi se anche lui per caso non soffre di quella sindrome, e che poi va
a bussare dal medico perché gli prescriva quel certo farmaco che ha fatto
tanto bene a quel suo amico che gliene ha parlato. Per ottenere questo
risultato, basta lanciare e sponsorizzare campagne di «presa di coscienza
della malattia» (disease awarness). Insomma, si prende una sindrome minore,
che nella sua forma grave colpisce pochissime persone (il Gad per esempio
colpisce l'1,2% degli americani, cioè 3 milioni, non i 10 di cui parlava il
dottor Gorman), ma che presenta sintomi abbastanza generici; poi si cerca
di far certificare dalla Fda che un certo farmaco, già in produzione per
altre malattie, cura anche questa nuova sindrome. Con questo metodo si
risparmiano miliardi (di euro) e anni: per lanciare un nuovo medicinale ci
vogliono in media 8 anni perché passi dallo stadio della ricerca in
laboratorio alla commercializzazione in farmacia, mentre per ottenere una
nuova indicazione per un farmaco già in commercio bastano 18 mesi.

La corsa cominciò nel 1988 quando Eli Lilly lanciò l'antidepressivo Prozac,
il primo farmaco di massa della famiglia degli Ssri, «inibitori selettivi
di reuptake della serotonina» (sì, è proprio questo il termine «italiano»).
Da allora il mercato dei Ssri è cresciuto dell'800%, e fino a oggi ben 22
milioni di americani hanno usato il Prozac. Le altre case lanciarono ognuna
il proprio antidepressivo: nel 1989 in Europa - ma solo nel 1998 negli Usa
- il Celexa (della Forest Laboratories), nel 1992 il Zoloft (Pfizer), nel
1993 il Paxil (GlaxoSmithKline Beecham), nel 1994 il Luvox (Upjohn e Solvay).

Il mercato degli antidepressivi era però già saldamente presidiato dal
Prozac. Perciò gli strateghi della Gsk si misero a sfogliare il Manuale
diagnostico e statistico dei disordini mentali (Dsm), la bibbia degli
psichiatri, che però risente molto delle lobby farmaceutiche e del clima
culturale del tempo (prima del 1970 l'omosessualità era considerata un
«disordine psichico»).

I cervelloni della Gsk scoprirono nel Dsm alcune sindromi promettenti.
Abbiamo già visto che nel 2001 riuscirono a far certificare
l'antidepressivo Paxil come efficace anche nella cura del Gad, l'ansietà
generalizzata. Ma non era la prima volta che facevano il colpo. Già nel
1998 avevano scovato un'altra sindrome, il Sad, il «disordine di ansietà
sociale», una forma di timidezza patologica, però estremamente rara secondo
il Dsm. Anche qui, entro il `99 Gsk si assicurò la certificazione della
Fda. A quel punto però dovette propagandare la malattia stessa e per ciò si
rivolse alla ditta di Pr (public relations) di New York Cohn & Wolfe, che
coniò lo slogan «Immagina di essere allergico alla gente» sotto l'immagine
di un uomo derelitto che giocherella con una tazza da tè vuota: «Avvampi,
sudi, tremi, ti è difficile persino respirare. Ecco come ci si sente con il
disordine di ansietà sociale». Questi poster tappezzarono gli autobus di
tutti gli Stati uniti. Non facevano riferimento né al Paxil né alla Gsk, ma
recavano l'insegna del gruppo «Libertà dalla Paura», della «Coalizione per
il Disordine di ansietà sociale» e dei suoi membri volontari
dell'Associazione degli psichiatri americani e dell'Associazione dei
disordini di ansietà d'America. Questi gruppi erano stati organizzati da
Cohn & Wolfe che però non si limitava ai poster, ma rilasciava documentari
«indipendenti», certificazioni di illustri luminari (tra cui, guarda un
po', il dottor Jack Gorman che è consulente non solo di Gsk, ma di almeno
altre 12 farmaceutiche, tra cui Eli Lilly e Pfizer). Cohn & Wolf forniva ai
giornalisti anche pazienti più che disposti a riferire come erano riusciti
a uscire dall'inferno dell'ansietà sociale grazie ai farmaci. In pochi mesi
il Paxil superò il Zoloft e quasi raggiunse il Prozac; e nel 2000 la Public
Relation Society of America premiò Cohn & Wolfe per la campagna Sad, come
il «miglior programma di Pr del 1999».

La Pfizer non perse tempo a reagire: anche lei frugò nel manuale
diagnostico Dsm e nello stesso 1999 scoprì un'altra bella sindrome: il
disordine da stress post-traumatico (Ptsd) che fino ad allora aveva colpito
solo i veterani e le vittime di crimini violenti. Imparata la lezione del
Sad, Pfizer assoldò la ditta di Pr newyorkese Chandler Chicco Agency e
sovvenzionò la Ptds Alliance, che aveva sede negli uffici della Chandler
Chicco. La Ptsd Alliance metteva in contatto i giornalisti con esperti di
Ptsd, come Jewrilyn Ross, presidente e amministratore delegato dell'Anxiety
Disorders Association of America, un gruppo pesantemente finanziato da
Pfizer, Gsk, Eli Lilly. Quest'Alleanza fornì statistiche secondo cui tra i
bambini che avevano avuto l'esperienza della morte improvvisa di un amico o
di un parente, «uno su sei sviluppava la sindrome Ptsd». Secondo altri
articoli, un americano su 13 avrebbe subito questo disordine nel corso
della sua vita (il che fa 22 milioni di potenziali pazienti). Naturalmente
l'anno scorso, dopo l'11 settembre la Pfizer saltò sull'occasione: il 26
settembre la Ptsd Alliance emanava un comunicato secondo cui lo stress
post-traumatico può colpire chiunque abbia «assistito a disastri naturali o
altri inattesi, psicologicamente stressanti eventi catastrofici, come gli
attacchi dell'11 settembre». Nel mese successivo, secondo Psychiatric News,
Pfizer spese 5,6 milioni di dollari per pubblicizzare i benefici dello
Zoloft contro il Ptsd: il 25% in più di quanto aveva spesso in tutto un
semestre precedente. Ma il record dopo l'11 settembre toccò alla Gsk, che
nell'ottobre 2001 spese 16 milioni di dollari di pubblicità per il Paxil.

Pfizer e Glaxo non sono le sole case ad aver sfogliato il Manuale
diagnostico. Ogni casa si trova la sua bella sindrome che colpirebbe una 15
milioni di americani, un'altra 9 milioni. Sono statistiche manipolate,
spesso prodotte da centri studi finanziati dalle case farmaceutiche e che
estrapolano dalle situazioni lievi alle sindromi gravi. A credervi, alla
fine, ironizza Mother Jones, non c'è un americano che non sia preda di un
disordine di ansietà. Secondo uno studio del 2000, finanziato da Pfizer e
pubblicato dall'American Journal of Obstretrics, ben il 20% di tutte le
pazienti di ostetricia-ginecologia avrebbe bisogno di un trattamento
psichiatrico per sindromi che vanno dalla depressione ai disordini di ansia
alimentare.

D'altronde già nel 1994 Upjohn e Solvay avevano sovvenzionato la tournée
artistica di una californiana, Mary Hull, che aveva sofferto del disordine
compulsivo-ossessivo e che riferiva del gran bene tratto dai farmaci Ssri.
Uno studio, finanziato da Novartis e Aventis, ha trovato che i farmaci Ssri
possono ridurre il rischio di attacco cardiaco nei fumatori.

E anche la Eli Lilly, minacciata nel suo monopolio antidepressivo del
Prozac, è passata al contrattacco: il 15 marzo scorso, ricercatori della
Mayo Clinic (finanziati da Eli Lilly) affermarono sul Journal of Clinical
Oncology che il Prozac «è un'alternativa realistica alla sostituzione
estrogena per ridurre le vampate» nelle donne in menopausa.

Ma Eli Lilly punta al colpo grosso, a quella discussissima sindrome che è
il disordine disforico premestruale (Pmdd), un malessere femminile i cui
sintomi includono dolore fisico e sbalzi periodici. Il Pmdd fu incluso dal
Manuale nel 1987 tra quei «disordini potenziali proposti per ulteriore
studio» e colpirebbe tra il 3 e il 5% delle donne in mestruazione (1,5-3
milioni di americane). Intanto nel 2000 Eli Lilly ha ottenuto dalla Dfa che
il Prozac possa essere prescritto contro il Pmdd. E a questo scopo lo ha
riconfezionato in una pillola color rosa con il nuovo nome di Sarafem.

La ricerca di nuove sindromi non ha limiti. La più geniale è quella
«epidemia nascosta» presentata alla Convention annuale dell'Associazione
Psichiatrica Americana, il disordine di «shopping compulsivo»: la pulsione
a comprare senza freni. Secondo uno studio su questo disordine finanziato
da Forest Laboratories, lo shopping compulsivo colpirebbe 20 milioni di
americani, al 90% donne. Queste cifre sono state enunciate nella
popolarissima trasmissione tv Good Morning America da un illustre
specialista. Immaginate chi è? Ma il dottor Jack Gorman ben inteso, che è
consulente anche di Forest Laboratories che vuole trovare una nicchia per
il suo Celexa.