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in quale stato e' il mondo
- Subject: in quale stato e' il mondo
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 04 Dec 2002 06:43:49 +0100
il manifesto - 29 Novembre 2002 In quale Stato è il mondo La crisi dello Stato rischia di mortificare l'essenza stessa della democrazia e dei suoi principi fondamentali, la rappresentanza politica e la tutela dei diritti. Ma gli scenari della mondializzazione invitano a ripensare il ruolo dello Stato piuttosto che negarlo. Per Città Aperta Edizioni, l'ultimo lavoro di Umberto Allegretti CLAUDIO DE FIORES All'indomani delle giornate fiorentine, il dibattito sulla dimensione dei diritti nella globalizzazione è più che mai aperto. A ricordarcelo è il recente contributo di Umberto Allegretti, Diritti e Stato nella globalizzazione (Città Aperta Edizioni). L'inserimento del termine «Stato» - già nel titolo del libro - non è casuale. La vicenda storica e giuridica degli Stati costituisce, infatti, per l'Autore la lente di comprensione della mondializzazione, il paradigma di riferimento in base al quale interpretare le tendenze globali in atto. Due sono gli assi che percorrono il libro. Nel primo Allegretti descrive la natura dei processi di mondializzazione, ne individua le origini (il passaggio dalla contrapposizione dei blocchi al mondo unipolare), le tappe storiche, i suoi connotati essenziali, descrivendo - in un incalzante succedersi di riflessioni, pensieri, teorie - il diabolico intreccio venutosi in questi anni consolidando tra i processi di globalizzazione militare e la globalizzazione dei mercati. La prima drammaticamente scandita dall'ininterrotto ricorso alla guerra nel «dopo `89» e imperniata sull'egemonia militare degli Usa. La seconda protesa, invece, ad affermare il «primato del profitto sull'interesse sociale e sui suoi equilibri distributivi». Un impianto argomentativo, questo, dal quale trae spunto e forza il secondo asse di riflessione del libro. Esso si sviluppa attorno ad un interrogativo di fondo: in che misura la mondializzazione oggi significa declino dello Stato? A tale interrogativo sono state date molte risposte. Spesso anguste, altre volte contraddittorie. Quasi sempre, comunque, insoddisfacenti. Secondo una certa vulgata, divenuta in questi anni prevalente, il soggetto Stato sarebbe destinato ad essere definitivamente travolto dalla globalizzazione e dagli attuali processi di dislocazione del potere politico (in senso sovranazionale e in senso locale). Si tratta, tuttavia, di una lettura parziale, «distratta», che elude non pochi nodi della questione: quale sarà, venuto meno lo Stato, la sorte dei diritti costituzionali? È possibile trasporre a livello sovranazionale la tutela dei diritti? Il dibattito, attorno a questi punti, si è rivelato fino a oggi assolutamente carente. Eppure il nodo dei rapporti tra crisi dello Stato e garanzia dei diritti è - più che mai - centrale e nevralgico. Vi è un dato che, collocato in questo contesto, mi sembra inconfutabile: lo Stato-nazione (pur con tutte le contraddizioni connesse al sistema di produzione) ha, fino ad oggi, costituito l'alveo naturale nel quale le libertà democratiche e l'eguaglianza hanno potuto inverarsi. Non è un caso che oggi la sua crisi rischia di ritorcersi e di mortificare l'essenza stessa della democrazia costituzionale e di alcuni dei suoi principi fondamentali, come la rappresentanza politica e la tutela dei diritti. A questo punto sorge spontanea una domanda: esiste oggi, rebus sic stantibus, un altro spazio in grado di coniugare sul terreno democratico rappresentanza e diritti, che non sia lo Stato? Il libro di Allegretti ha il pregio di intervenire con forza proprio su questo punto, ribaltando - attraverso un diffuso e coerente utilizzo di materiali e di dati (non solo giuridici) - le tradizionali ricostruzioni sulla globalizzazione e il declino dello Stato. La convinzione che se ne ricava è che, in assenza di valide soluzioni alternative, lo Stato oggi non vada negato, ma piuttosto ripensato: «certamente le sue funzioni e le sue strutture - scrive Allegretti - cambiano e il suo ruolo stesso non è più quello di prima. Ma il suo peso resta imponente». D'altra parte, in questi anni, le sole istituzioni della globalizzazione che hanno rivelato una efficiente capacità di funzionamento sono state solo quelle aventi natura non democratica: le organizzazioni militari (come la Nato) e le grandi istituzioni economiche (come il Wto e il Fondo monetario internazionale). Di converso, tutti gli altri tentativi miranti a definire più forti ed elevate istituzioni, nel rispetto dei principi democratici, hanno evidenziato percorsi ed esiti alquanto contraddittori. A cominciare dall'Unione europea, sulla quale il libro si sofferma più volte al fine di sottolineare le conseguenze perverse del cosiddetto deficit democratico. Il processo di costruzione dell'Unione europea è avvenuto - evidenzia in particolare Allegretti - sulla base di una «logica di puro economicismo» ostile per sua natura ad ogni forma di «riconoscimento e, men che meno, a una accettata supremazia dei diritti fondamentali sulle convenienze produttive e finanziarie». Né un'inversione di tendenza sembrerebbe rinvenibile nella Carta europea dei diritti, sottoscritta a Nizza nel 2000, relativamente alla quale l'autore - pur non disconoscendo «l'importanza simbolica» - evidenzia soprattutto la sua valenza «ricognitiva e non costitutiva» delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. I problemi che in questa fase si pongono sono, quindi, quelli derivanti non dalla fine dello Stato, ma dalle sue trasformazioni, prevalentemente indotte dalle latenti tensioni che in questi anni si sono abbattute sulla dimensione statuale dei diritti. Come dire, lo Stato costituisce ancora oggi l'ambito privilegiato di garanzia dei diritti, ma gli strumenti di cui attualmente dispone rischiano di rivelarsi, talvolta, un'arma spuntata. La questione dei diritti sociali è, da questo punto di vista, emblematica: il rispetto dei penetranti vincoli posti a livello sovranazionale è oggi alla base della debolezza economica degli Stati e, in modo particolare, del declino delle «tradizionali» politiche di intervento sociale a tutela dei diritti. Ma il libro di Umberto Allegretti, pur evidenziando i drammatici costi (umani e sociali) prodotti dalla globalizzazione neoliberista, vuole essere, innanzitutto - in un mondo umiliato dal dominio del capitale - un appassionato contributo al cambiamento e alla «speranza». Ciò presuppone però - secondo l'autore - una irreprensibile «onestà e lucidità intellettuale» nello studio dei processi di globalizzazione e la conseguente attivazione di veri e propri fronti di resistenza. Sia a livello interno (a difesa delle costituzioni democratiche degli Stati). Sia a livello globale (il libro si sofferma in particolare sul ritiro del progetto AMI e sul successivo fallimento del Millennium round avvenuto a Seattle). Sia, infine, individuando (e soprattutto praticando) momenti di raccordo tra i due precedenti livelli, al fine di imbrigliare - attraverso concrete proposte politiche - alcune tipiche manifestazioni della globalizzazione neoliberista (si pensi alla proposta di Attac di introdurre la Tobin Tax). Di qui l'esigenza di costruire un nuovo terreno di elaborazione e di ricerca incardinato sulla «difesa delle conquiste decisive del passato, sulla resistenza alle innovazioni inumane, sulla dissidenza dalle tendenze di potere oppressivo dell'economia e della società». L'impressione che se ne ricava è che ... «un altro mondo è possibile». (Il volume di Umberto Allegretti verrà presentato oggi, alle ore 9.30, presso la sala conferenze del Senato in via di Santa Chiara, 5 all'interno di un convegno organizzato dal Crs. Parteciperanno Mario Agostinelli, Flavia Lattanzi e Massimo Luciani)
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